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Il dizionario di Paleostories: Ectoderma, Mesoderma, Endoderma e lo sviluppo embrionale

Questo post de “Il Dizionario di Paleostories” è un ibrido tra il breve, classico, post di definizioni e un più lungo post di paleostories.
Oggi parliamo di tre termini che ho usato nell’ultimo post dell’atlante di anatomia gnathostomata, ectoderma, mesoderma e endoderma. Ma per farlo, appunto, farò il giro un po’ più largo, cominciando dall’inizio vero e proprio della formazione di un organismo.

Attenzione: il post è stato corretto grazie all'intervento del lettore "Michelangelo", che ringrazio. Se dunque qualcuno ha letto il post prima del 12/03/2014 potrebbe trovare delle differente. Questa è la versione aggionata dopo le correzioni.

La vita di quasi tutti gli animali presenti sulla terra (a parte gli asessuati) comincia con la fertilizzazione della cellula uovo (l’ovulo, il contributo femminile) da parte della cellula spermatica (contributo maschile).
Queste cellule, aploidi (ossia, che possiedono una copia del codice genetico di chi le produce) si uniscono portando alla formazione della prima cellula del nostro nuovo animale, lo zigote, una singola cellula diploide (ossia, che ha una copia del cromosoma della madre più una copia del cromosoma del padre).
Successivamente, lo zigote inizia a moltiplicarsi, senza differenziazione cellulare, fino al raggiungimento di circa 128 cellule. In questa fase è come se la “fabbrica zigote” si prepari, aumentando il numero dei suoi “operai”, per quella che sarà poi la fase operativa in cui le cellule verranno differenziate e separate in compartimenti per la produzione di specifici tessuti.

Una volta arrivato al numero necessario, lo zigote si trasforma in modo tale che si forma uno strato esterno di cellule (il blastoderma) che circonda uno spazio (blastocele), che può essere vuoto, rimepito dal tuorlo o da una soluzione salina, o assente. In questa fase lo zigote è detto blastula e il processo blastulazione.


A questo punto, alcune cellule dello strato esterno della blastula migrano all’interno del blastocele e si differenziano in diversi strati, uno più esterno, l’ectoderma, uno più interno, l’endoderma, e uno strato in mezzo, mesoderma, i protagonisti del nostro post. Questo processo si chiama gastrulazione e il risultato finale (cellula differenziata in strati) è detto gastrula.
Da notare che non tutti gli animali posseggono una gastrula con tre strati: le spugne posseggono infatti un solo strato, cnidari e ctenofori (meduse, polipi, idre) posseggono solo ectoderma e endoderma, mentre il medoserma è presente in tutti gli altri animali. Quando la gastrula possiede tutti e tre gli strati si dice che è tropiblastica, altrimenti diblastica se ne possiede solo due.


Paleodoctor Why

Visto che nella blogosfera vanno molto di moda i quiz ho deciso di proporne uno anche io, sperando che abbiate voglia di partecipare.

La domanda è: cos'hanno in comune il teropode cretaceo Struthiomimus e un odierno camaleonte?















La risposta, a tempo debito (finita la serie sull'estinzione devoniano), su questo blog...

Le straordinarie capacità difensive delle missine e la loro gelatina.

Lo devo ammettere, adoro le missine!
Da quando ho cominciato ad occuparmene seriamente sto scoprende tutto un mondo che non avrei mai pensato di poter trovare così incredibilmente interessante.
Non solo le missine sono animali oscuri e misteriori, di cui si sa ancora molto poco sia nel campo della paleontologia che della genetica, ma riservano anche sorprese meravigliose ogni volta che si riesce a catturarle e ad osservarle. 
La loro anatomia così bizzarra, il loro comportamento a volte schivo a volte esuberante (ricordatevi del caso di predazione che abbiamo visto qui), non possono che non creare un profondo interesse e una forte volontà di conoscienza.
Almeno, questo è quello che accade in me.

Oggi vorrei parlarvi di un nuovo esaltante capitolo delle conoscienze che piano piano la comunità scientifica sta acquisendo per quanto riguarda la biologia e il comportamento delle missine.
In un post precedente, lo stesso citato sopra, avevo parlato delle nuove scoperte sulle abilità predatorie di questi animali, ritenuti fino a quel momento capaci solo di nutrirsi di carcasse o di piccoli invertebrati.
Avevamo visto come l'atto predatorio fosse attuato grazie alla sinergia tra il peculiare apparato boccale circolare delle missine e la loro capacità di secernere una particolare sostanza viscosa, una sorta di gelatina, che intrappolava e soffocava l'animale fino alla morte.

La sostanza gelatinosa (slime in inglese) prodotta dalle missine, ha sempre costituito argomento di grande interesse tra i biologi, che si interrogavano su quale potesse essere la sua funzione.
Abbiamo visto come essa possa essere utilizzata appunto per predare. 
Inoltre si conosce come essa sia utilizzata per "sgusciare via" quando si tenta di tenere in mano questi animali (e che quindi è utilizzata dalle missine per liberarsi quando si trovano ad esempio incastrate in anfratti o in cavità nel substrano), e infine che essa costituisca un potente ed efficace mezzo difensivo contro la predazione da parte di altri pesci.


              Un esemplare di "cernia americana" Polyprion americanus nell'atto di catturare un esemplare della missina Epatretus sp.          Immagine presa dalla figura 2 di Zintzen et al., 2011

La rivincita dei cyclostomi!

Il mio rapporto con lamprede e missine è sempre stato di neutrale indifferenza. Ho cominciato a conoscerle in dettaglio all'università, nei documentari e nei libri di zoologia. In quanto allevatore e studioso dei pesci, le ho sempre trattate con rispetto e viste con un leggero alone di mistero.
Ma, un pò per sentimenti miei, un pò forse a causa di quello che mi è sempre stato insegnato su questi due gruppi di animali, non ho mai pensato potessero essere particolarmente speciali.
Da circa un anno dedico la mia attenzione e i miei studi ai pesci fossili, in particolare agli "agnati" e, per mia fortuna, sto riscoprendo un mondo magico che nessuno fin'ora mi aveva insegnato.
Lamprede e missine (chiamate "affettuosamente" cyclostomi, o pesci dalla bocca circolare), sono molto più speciali di quanto avrei mai detto.
Eppure, ai più sembrano solo bizzarri animali con il corpo allungato e senza bocca, con disgustose abitudini parassite e poca attrattiva dal punto di vista scientifico (per non parlare di quello estetico – non sono di certo i soggetti più ricercati per i documentari-).

Credo che questo problema nasca da cosa viene sovente insegnato riguardo ai cyclostomi.
Spesso si pensa che l'evoluzione dei vertebrati sia una storia raccontata solo da spettacolari fossili, da passaggi evolutivi straordinari, da forme di vita complesse e meravigliose. Per tanto, cosa volete che siano due miseri gruppi di animali che strisciano (meglio, nuotano), non hanno la bocca e si nutrono di piccolissimi animali o sono parassiti?
Pensate che il buon Linneo nel 1758, anno della pubblicazione del suo Systema Naturae, classificò le missine come vermi intestinali e le lamprede come vertebrati degenerati. Non un bel giudizio, che diamine!
Ma il più grande problema è che gli scienziati non sono mai stati d'accordo sulla posizione filogenetica di questi due gruppi, e, quindi, sulla loro importanza dal punto di vista dello studio dell'evoluzione dei vertebrati.

La settimana scorsa ho partecipato ad un convegno, organizzato dall'Università degli Studi di Milano, sulla variabilità fenotipica e in particolare sui ciclidi (un gruppo di pesci d'acqua dolce molto plastici, con un numero spropositato di specie tutte filogeneticamente molto vicine) e sulle piante. In quell'occasione, ho avuto modo di provare (grazie anche al mio contributo) come siano lontane le metodologie e le idee di chi studia la filogenesi dei fossili e di chi invece si occupa dei viventi.
Il "problema cyclostomi" racchiude in se questa (a volte feroce) diatriba.

Agnato è bello!

Quando si guarda alla vita sulla Terra nel passato, spesso ci si trova davanti a forme assolutamente bizzarre e peculiari. A volta, alcune di queste forme non hanno un corrispettivo attuale, presentano pochissime similitudini con gli animali che conosciamo oggi e, per tali ragioni, ci paiono quasi fuori contesto, come se fossero aberranti esperimenti dell’evoluzione.
Il gruppo di animali di cui inizierò a parlare oggi, rientra sicuramente in questa categoria.

Nella nostra simpatica intervista a lamprede e missine abbiamo conosciuto gli unici due gruppi di vertebrati attuali che non presentano una bocca, e che sembrano perciò così diversi quindi da tutti gli altri vertebrati viventi.
Questa caratteristica è così distintiva che, guardando al presente, tutti gli altri vertebrati sono raggruppati in un gruppo monofiletico Gnathostomata, caratterizzato appunto dalla presenza di una bocca vera e propria, formata da mascella e mandibola. Se guardassimo solo i taxa attuali, considereremmo quindi lamprede e missine come “esperimenti” della natura, come se inizialmente avesse provato questa soluzione (una testa con una bocca circolare, senza mandibole) e poi, accortasi della relativa scomodità di questa via, avesse virato invece sulle mandibole, favorendo poi la biodiversità “mandibolata” e relegando lamprede e missine a casi isolati.
E invece, se andiamo nel record fossile, ci accorgiamo che esiste tutta una serie di “pesci” senza mandibole (i così detti Agnati, dal greco gnathos, per mandibole, e con alfa privativa davanti) fossili, alcuni con delle forme assolutamente strane, che durante buona parte del Paleozoico medio spopolavano ed erano organismi abbastanza di successo. Non più un esperimento andato a male quindi, ma una vera e propria radiazione adattativa.

Circa 400 milioni di anni fa, nel Devoniano, la situazione era completamente differente rispetto ad oggi: vi erano presenti numerose specie di agnati, delle più disparate forme, e le proporzioni tra pesci con e senza mascelle erano molto diverse rispetto ad oggi, con gli agnati che costituivano molto più della metà dei pesci esistenti, mentre gli gnathostomi erano ancora relativamente pochi.

Buona parte di essi possedevano, oltre ad una bocca senza mascelle, anche una serie di piastre dermiche molto dure, che ricoprivano il loro scheletro, tale da formare una sorta di corazza dermica. Fino a qualche tempo fa, tutte queste forme venivano riunite nel grande gruppo degli Ostracodermi, proprio sulla base di questa caratteristica. Attualmente però , tale gruppo è considerato parafiletico, soprattutto in base alle divergenze morfologiche dei loro rivestimenti dermici e ad altre caratteristiche, soprattutto craniali.

Nonostante un mondo dominato da pesci senza mandibole, corazzati, spesso lenti e in vari casi senza pinne, dove la nutrizione era attuata soprattutto per filtrazione o per abbuffata di detriti, possa sembrare assai poco movimentato e interessante,  gli agnati furono i pesci più abbondanti della Terra per quasi cento milioni di anni, sia in mare che in acque dolci, essendo comparsi all’incirca 480 milioni di anni fa, nell’Ordoviciano inferiore, ed essendo durati fino alla fine del Devoniano, circa 370 milioni di anni fa.

E in tutto questo periodo, svilupparono una serie di morfologie veramente straordinarie, un risultato che non potrà non affascinarvi, così come ha affascianto me (e che ora occupa buona parte dei miei studi paleontologici).

In questa serie di post, ci addentreremo dunque nel magico mondo degli ostracodermi.

Intervista con... Missine e Lamprede


Da qualche post stiamo ripercorrendo le fasi che hanno portato gli animali ad acquisire i caratteri tipici dei vertebrati. Nel precedente post, abbiamo osservato da vicino il tessuto osseo, le sue funzioni, i suoi “affini” e abbiamo provato a ipotizzarne l’origine. 
Oggi, continuando il nostro cammino lungo l’evoluzione dei vertebrati, ho intervistato per voi una lampreda e una missina, che ci spiegheranno le loro caratteristiche principali, la loro storia, il loro significato evolutivo. Spero di avergli posto le domande giuste… 

B (blogger): Buon pomeriggio ad entrambe, è un onore avervi qui. Potete presentarvi ai nostri eventuali lettori?

M (missina): Ciao a tutti, il mio nome scientifico è Myxine glutinosa e rappresento qui un po’ tutto il mio gruppo, quello delle missine.
L (lampreda): Ciao a tutti quanti, mi chiamo Petromyzon marinus, più comunemente conosciuta come lampreda di mare, e sono qui a nome di tutte le mie compagne lamprede per farvi conoscere un po’ il nostro mondo. 

B: Dove vivete? 
M: Io sono distribuita più o meno in tutto l’Oceano Atlantico, ma il mio gruppo è presente anche negli altri mari del nostro pianeta. Amiamo acque fredde e siamo molto sensibili ai cambi di salinità, visto che non abbiamo un sistema di osmoregolazione. Siamo animali esclusivamente marini, ci piace vivere vicino al fondale, spesso infossati nel sedimento. Siamo particolarmente golose di invertebrati e di carne di animali in decomposizione. A discapito di quanto si dice in giro, non siamo parassiti, visto che, specialmente di sera, ci dilettiamo con passione nella caccia attiva alle nostre prede (piccoli invertebrati).

L: Noi lamprede siamo animali piuttosto diffusi sia in acqua dolce che in acqua salata. La maggior parte di noi vive nell’emisfero nord, con solo due generi che vivono sotto l’equatore. Siamo animali tendenzialmente di acqua dolce, dove ci riproduciamo e passiamo gran parte della nostra vita. Chi di noi vive in mare da adulto, vi migra una volta raggiunta l’età matura e poi ritorna nelle acque dolci quando si deve riprodurre. Io vivo nell’Oceano atlantico, nel Mar Mediterraneo e sono presente anche in alcuni dei grandi laghi nordamericani. Il nostro cibo preferito è il sangue dei pesci, che riusciamo a succhiare tramite la nostra particolarissima bocca. Non è però del tutto vero che siamo solo parassiti, visto che, se ci capita l’occasione, prediamo anche piccoli invertebrati acquatici.


Anatolepis e l’origine del tessuto osseo

Qualche post fa abbiamo conosciuto i primi vertebrati fossili noti, Myllokunmingia e affini, e ne abbiamo assaporato con gusto le caratteristiche distintive e la loro importanza all’interno dello studio sull’origine dei primi vertebrati. Tuttavia, non abbiamo ancora incontrato quello che comunemente caratterizza i vertebrati rispetto agli altri animali, ossia il tessuto osseo. 
Oggi, senza addentrarmi troppo nello specifico, cercherò di mostrarvi com’è fatto un osso, da quali sostanze è composto e cosa si pensa della sua origine.

In generale, l’osso è un tessuto composto da fibre di collagene, (una particolare proteina) sulle quali vengono a depositarsi sottili cristalli, solitamente di forma prismatica –esagonale, di un minerale chiamato idrossiapatite (composto da fosfato di calcio). A livello funzionale, l’osso costituisce lo scheletro e ha funzione di sostegno e protezione, sia di organi che dell’intero corpo, a seconda della sua posizione. Possiamo perciò distinguere uno scheletro interno, endoscheletro, come il nostro o quello di moltissimi vertebrati, e uno scheletro esterno, come ad esempio il carapace delle tartarughe. 
L’osso, come saprà bene chi si è rotto un braccio o una gamba almeno una volta (ad esempio il sottoscritto), è un tessuto vivo, in continua sostituzione, grazie a particolari vasi sanguigni, insiti in canali, che aiutano il tessuto osseo a portare all’interno o all’esterno della struttura fosfato di calcio in soluzione. Quando vi rompete un osso, questi canali, che servono anche a portare il sangue, fanno arrivare all’interno dell’osso il materiale necessario per ricostruire la zona lesa dal trauma. 
Inoltre, le ossa fungono da deposito di calcio che, quando esso è carente sotto forma di ione nel sangue, viene richiamato da questo tessuto e rimesso in circolo. Insomma, anche se sembra un tessuto relativamente statico e inerte, anche l’osso nasce, vive, cresce e muore. 
A proposito della nascita, essa è regolata da particolari cellule, gli osteoblasti, ricchi di organuli per la produzione di proteine che, una volta secreta la matrice che compone le ossa, rimangono all’interno di questa in quiescenza (in questo stadio prendono il nome di osteociti), mentre vengono riattivati se l’osso subisce danno (e sono dunque pronti a ripetere la secrezione).

Gli osteoblasti danno origine anche ad un altro tipo di tessuto mineralizzato, per certi aspetti molto simile alle ossa: la dentina. Come si intuisce dal nome, la dentina è uno dei tessuti che costituiscono i denti dei vertebrati, insieme allo smalto. La sua composizione è molto simile a quella delle ossa, ma la sua struttura invece differisce soprattutto per una diversa disposizione e tipologia di canali interni. Essi sono generalmente collegati con la cavità della polpa (che si trova sotto la dentina) e, sopra, con lo smalto, un altro tipo di tessuto mineralizzato ricco di cristalli di apatite ma meno di collagene e proteine rispetto agli altri. Attualmente la dentina si trova solamente nei denti dei vertebrati e in due particolari tipi di scaglie dei “pesci” (scaglie placoidi e ganoidi), tuttavia, come vedremo, essa sarà la protagonista della nostra storia sull’origine dell’osso.

Un ulteriore tessuto è la cartilagine, presente anche nel nostro corpo e, anche al contatto (toccate la punta del vostro naso, composta di cartilagine, per verificarlo), molto diversa rispetto al tessuto osseo. Essa è composto principalmente da collagene, non presenta idrossiapatite, che è sostituita da grosse molecole di zucchero, non ha al suo interno i tipici canalicoli delle ossa ed è molto elastica. La cartilagine è presente anche nel nostro corpo e costituisce gran parte dello scheletro interno dei “pesci” del gruppo dei Chondrichthyes (squali, razze, mante, detti appunto pesci cartilaginei). 
Quando abbiamo parlato di Millokunmingia e dei suoi affini, abbiamo visto che alcuni erano dotati di strane strutture simili a vertebre, formate di cartilagine. Dunque, è possibile che la cartilagine sia apparsa come primo materiale di sostegno del corpo dei vertebrati. 
E il tessuto osseo?
Forse, la soluzione a questo “mistero” è stata fornita dal misterioso Anatolepis (Brockelie & Fortey, 1976). I reperti riferiti a questo taxon, rinvenuti in giacimenti del Cambriano Superiore di Wyoming (U.S.A.) e Groenlandia , non sono molto ben conservati, tant’è che ancora oggi ci sono dubbi sul suo effettivo stato di vertebrato basale (anche se alcune recenti analisi, ad esempio Sansom et al., 2010 confermano la sua posizione tra i vertebrati basali). Tuttavia, quello che interessa veramente è che questo taxon mostra un esoscheletro formato da minerali di idrossiapatite, una caratteristica non presente in nessun cordato non vertebrato, in nessun vertebrato più basale di Anatolepis e mai rinvenuta in fossili più recenti del Cambriano Superiore!
Ma la cosa più sorprendente è che la struttura dell’esoscheletro di Anatolepis somiglia maggiormente a quella dei nostri denti che delle nostre ossa. L’armatura dermica di Anatolepis, costituita da una serie di piccoli tubercoli, è come se fosse una schiera di denti veri e propri, costituiti da dentina e cavità della polpa. Insomma, è come se i primi vertebrati avessero originato per proteggersi prima un rivestimento “di denti” e poi uno scheletro vero e proprio. Lo stesso tipo di struttura dell’armatura dermica di Anatolepis la troviamo anche negli squali d’oggi, le cui scaglie sono composte in prevalenza da dentina, ma comunque posseggono una struttura molto più complessa. 

Frammento di armatura dermica di Anatolepis. I tubercoli (quelle sferule in rilievo) possiedono la stessa composizione dei denti dei vertebrati. In pratica, è come se Anatolepis avesse un rivestimento cutaneo formato da una serie di piccolissimi denti.

Con Anatolepis gli scienziati hanno potuto avere un idea dei primi animali dotati di apatite, ma ricercando invece l’origine del tessuto osseo vero e proprio, che informazioni abbiamo?

I vertebrati più basali  attuali sono lamprede e missine, due gruppi che abbiamo incontrato qualche post fa. Entrambi questi due gruppi non presentano tessuto mineralizzato, ma un tessuto cartilagineo particolare, molto povero di collagene.
Altri (possibili) vertebrali basali, come i conodonti, posseggono invece tessuto mineralizzato.
Quindi?

Un’ipotesi è che il tessuto osseo si sia formato dall’incontro tra un endoscheletro formato da cartilagine ed un esoscheletro formato da apatite, come quello di Anatolepis.
In questo modo, per induzione, si sarebbe originato all'interno del corpo dei vertebrati uno scheletro formato da collagene e cristalli di idrossiapatite.
Anche oggi, in molti vertebrati (ad esempio in tutti i tetrapodi) alcune ossa si formano per endocondrosi, ossia per ossificazione di tessuto cartilagineo, tramite l’impregnazione di matrice cartilaginea con cristalli di apatite.
Non è improbabile dunque che anche le ossa dei primi vertebrati si siano formati così, per invasione dei cristalli di apatite dallo scheletro esterno, formato da dentina.

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Bibliografia:
- Benton, M. J. (2005), Vertebrate Paleontology, 3rd ed. Blackwell Science Ltd
- Brockelie T. and Fortey. R. A., 1976, An early Ordovician vertebrate, Nature 260: 36 - 38
- R.S. Sansom et al., 2010, Taphonomy and Affinity of an Enigmatic Silurian Vertebrate, Jamoytius kernwoodi (White), Palaeontology 53 (6): 1393 - 1409

Non chiamateli Pesci!

A me non piacciono le categorizzazioni.
Sia nell’ambito delle scienze naturali, come può esserlo in parte la sistematica linneana, sia nella vita, nell’arte, nella musica, etc. Categorizzare spesso vuol dire prendere una linea generale di riferimento, che secondo il nostro principio descrive in maniera univoca una particolare qualità, e adattarla ad una serie di cose che, sempre secondo la nostra linea di riferimento, apparterranno dunque alla nostra categoria.
Benché indubbiamente la categorizzazione, lo smistamento in comparti ben distinti e definiti, sia utile e necessaria in alcuni campi, spesso questo modo di vedere le cose ha portato ad una percezione non esattamente corretta, ad una generalizzazioni superficiale e troppo dettata dalla comodità che non dalla vera essenza delle cose.

Oggi vorrei parlarvi della “categoria” che io reputo più fuorviante in assoluto (all’interno del mondo animale) e che, da qualche tempo a questa parte, sto cercando di abbattere nell’ideologia delle persone che frequento.
Tale categoria ha il comunissimo nome di “pesci”.

Con questo termine vengono definiti solitamente tutti i vertebrati dotati di branchie, pinne, idrodinamicità, buona capacità di nuotare, scaglie, assenza di arti e varie caratteristiche, che, può o meno giustamente, vengono considerate così particolari da poter essere attribuite a questo gruppo leggendario.
Tralasciando la questione che oggi, nel linguaggio comune, come ad esempio nella ristorazione, viene chiamato “pesce” anche ciò che pesce non è, come gamberetti (che sono crostacei), cozze (che sono molluschi bivalvi) e seppie (molluschi cephalopodi), la situazione è meno complessa di quanto sembri.

A livello evolutivo, il gruppo dei “pesci” non ha significato, poiché esso rappresenta un raggruppamento artefatto dall’uomo e non naturale, in quando non esiste un gruppo monofiletico che racchiuda tutto quello che oggi noi chiamiamo pesce. O meglio, ci sarebbe, ma non è quello che viene solitamente inteso.
Per capire meglio, prendiamo un albero filogenetico dei vertebrati, che punti in particolare a far vedere la biodiversità dei pesci (che, per altro, coprono almeno il 50% di tutte le specie di vertebrati attualmente esistenti).



Come potete vedere visivamente, la situazione all’interno di quello che è considerato “pesce”, che io ho ripassato in rosso, è molto complicata. Non solo il gruppo in questione è parafiletico, perché “ad un certo punto si interrompe”, per dirlo in maniera semplice, ossia non include tutti i discendenti dell’antenato comune al gruppo (segnato con il pallino verde), ma inoltre i vari sottogruppi al suo interno non sono così omogeneamente imparentati tra di loro. Ad esempio, le lamprede o le missine (pesci agnati, ossia senza mascelle, non presenti nel grafico ma considerati a tutti gli effetti pesci, tale che il nome inglese per missina è hagfish - fish=pesce -), dal punto di vista evolutivo sono estremamente lontane dai dipnoi o dai tonno o dallo storione. Oppure, gli squali e le razze, che vengono considerati pesci al pari di salmoni, tinche o sogliole, nonostante abbiano avuto un' evoluzione completamente a se stante, pur avendo (siamo tutti cugini!)  un antenato in comune con salmoni & Co.

I pesci dunque non esistono? No, o meglio, non come li intendiamo noi.
Se volessimo per forza di cose instaurare un gruppo dei pesci che rispetti ciò che oggi viene considerato tale, dovremmo inserire tutte le specie che hanno un antenato comune con i pesci cartilaginei, con le lamprede, con i tonni e con gli storioni. Volendo dare grado monofiletico a Pisces, il risultato sarebbe che tutti i Vertebrati sarebbero in realtà pesci!  E’ una soluzione, ma una soluzione che comunque risulterebbe fuorviante, perché non si sarebbe fatto altro che includere gruppi ancora più diversi tra di loro in una categoria standard.

La soluzione dunque è un’altra.
Da un punto di vista evolutivo, è sbagliato raggruppare tutti questi animali in un unico grande gruppo (potremmo dire in una grande insalata mista) solo perchè hanno, apparentemente, caratteristiche così simili tra loro e così diverse dagli altri vertebrati (pinne, branchie, scaglie, silhouette). Ed è anche abbastanza fuorviante perché porta a pensare ad un evoluzione comune, ad una parentela stretta che in realtà non è così stretta.
La realtà è che tra l’origine dei vertebrati e l’origine dei tetrapodi (che abbiamo visto quiqui e qui), è avvenuta l’evoluzione di un vastissimo numero di gruppi, non così simili da poterli chiamare banalmente pesci. Di alcuni, conosciamo solo taxa fossili tale che possiamo solo immaginare come fossero in vita. Troppo poco per poterli etichettare come i soliti pesci.

I “pesci” comprendono un'immensa diversità di specie, che hanno sviluppato una serie di variegati adattamenti nel corso della loro lunghissima storia evolutiva, che dura da circa 530 milioni di anni, seguendo spesso percorsi imprevedibili e ben lontani gli uni dagli altri.
Quindi, per favore, non chiamateli pesci.

I tesori di Chengjiang e l'origine della corda

Nello scorso post abbiamo conosciuto ascidie e anfiossi, i più famosi rappresentati di  Urochordata e Cephalochordata.  Questi due gruppi rappresentano i più stretti parenti dei vertebrati, di cui stiamo cercando di ripercorrere la storia evolutiva.
Come ho detto l’altra volta, è fondamentale conoscere i rapporti filogenetici tra Vertebrata e i suoi gruppi affini, proprio per poter tentare di ricostruire come doveva essere il primo vertebrato.
Le relazioni tra Urochordata, Cephalochordata e Vertebrata sono un argomento che per lungo tempo ha infuocato le discussioni tra biologi molecolari ed evoluzionisti. Molti studi sono stati proposti nel corso degli anni, sia su basi morfologiche (ossia, studiando i tre gruppi attraverso le caratteristiche morfologiche che condividono) sia su basi molecolari (analizzando le loro somiglianze genetiche). Attualmente recenti studi (Delsuc et al., 2006 e Delsuc et al., 2008), basati sia su analisi molecolare che morfologiche e approvati dalla maggioranza degli studiosi, affermano che Urochordata rappresenta il gruppo più vicino a Vertebrata, con Cephalochordata posto in posizione più basale.
Diciamo quindi che noi siamo più parenti delle ascidie che non dell'anfiosso.

Quindi, per cercare le caratteristiche che il primo (ideale) vertebrato doveva avere, dobbiamo guardare alle caratteristiche delle larve di ascidia e dell'anfiosso? Forse, ma non è quello di cui parlerò oggi.
Oggi, faremo un ulteriore passo indietro. Indietro fino a cercare di far luce sull’origine dei chordati.
Appurato quali sono i chordati più primitivi attuali, ossia le ascidie, andiamo a vedere quali informazioni possono essere ricavati dallo studio del record fossile. 

Mia cugina è un'ascidia!

Con questo post inizio un lungo (e spero continuativo) cammino che ripercorrerà l’evoluzione dei primi vertebrati, con un occhio di riguardo soprattutto al record fossile. Spero di essere chiaro e comprensibile (la base della divulgazione). Se non dovessi esserlo, sgridatemi.
Partiamo dunque.
I vertebrati sono tutti quegli animali che sono dotati di uno scheletro interno, in molti taxa osseo (come il nostro), in altri composto in larga parte da cartilagine, come negli squali. Attualmente i vertebrati sono tra gli animali più conosciuti, e anche nel mondo paleontologico sono un gruppo che ha riscosso grande successo, così che sono state studiate molte specie e si è potuto ricostruire la storia evolutiva di molti gruppi.
Tuttavia, ciò che sappiamo sulla loro origine è ancora troppo poco per avere un quadro completo.

Prima di prendere in considerazione l’origine dei vertebrati, dobbiamo però fare un discorso preliminare su quelli che oggi sono i più prossimi parenti dei vertebrati. Il gruppo dei vertebrati è incluso in un gruppo più grande, Chordata, attualmente rappresentato dai vertebrati, appunto, e da due bizzarri gruppi di animali, Cephalochordata e Urochordata, di cui fanno parte rispettivamente il famoso anfiosso e le simpatiche ascidie.
La caratteristica principale di Chordata è il possesso di una notocorda, una struttura rigida, formata da un rivestimento esterno di collagene che ricopre una specie di tubetto fibroso di tessuto connettivo, che ha la funzione di rendere rigido, ma allo stesso tempo flessibile, il corpo dell’animale che ne è dotato. Entrambi i tre gruppi di Chordata sono dotati di questa struttura, nonostante non sempre sia così evidente.

Thinking like a Fish!

Quando, all’età di 5 anni, cominciò la mia passione per le Scienze Naturali, ero affascinato soprattutto dai dinosauri e dai grandi mammiferi del Cenozoico, forse proprio perché incredibilmente grandi rispetto al mio essere piccino. Crescendo, mi sono sempre orientato verso i dinosauri e ho progettato la mia carriera scolastica per far si che un giorno diventassi un esperto in questo campo.
Quando si è giovani (ma ho scoperto che è pensiero comune anche di molti aspiranti paleontologi e paleontologi affermati) si ha una preferenza assoluta per certi tipi di animali preistorici, tale che alcune categorie vengono indegnamente tralasciate, come se fossero roba poco interessante o inutile da studiare.  Una di queste categorie è sicuramente quella dei pesci.
Ora, il mio rapporto con i pesci è sempre stato relativamente neutrale, non mi sono mai interessato ad essi da giovane, né mi sarei mai immaginato che un giorno sarebbero diventati parte integranti delle miei passioni paleontologiche e della mia vita (e, aggiungo, della mia casa).
Tuttavia, 4 anni fa cominciai a nutrire un forte interesse verso alcuni tipi di pesci tropicali e a voler allestire un acquario, all’inizio più per prova che per vera passione. Ora ne ho 4, e il desiderio di averne uno nuovo ogni giorno è costantemente insito in me (ed è il terrore di mia mamma).
Ora, dopo 4 anni di convivenza con questi animali (ho allevato varie specie, sia di pesci che di invertebrati d’acqua dolce) e aver cominciato anche ad interessarmi delle specie fossili (attualmente sto lavorando su dei nuovi esemplari mai descritti provenienti dal Triassico Italiano) posso dire che trovo il gruppo dei pesci (che, filogeneticamente parlando è parafiletico, con tutti i problemi che ne conseguono) uno dei più affascinanti del regno animale.  A volte, quando torno a dilettarmi con letture sui dinosauri, li trovo in qualche modo noiosi rispetto a questi animali….
Oggi però non voglio parlarvi di pesci fossili ma di un particolare, e triste, pensiero popolare sui pesci, ossia che essi siano stupidi e che la loro capacità cerebrale sia tremendamente bassa. In particolare, affronterò la questione parlando di quello che considero il più interessante pesce tropicale attualmente vivente: Betta splendens


Il mito della conquista della terraferma Parte 1: i pesci e l'antropocentrismo.

Per quanto mi riguarda, credo che uno dei compiti principali della divulgazione scientifica, a qualsiasi livello, sia quello di abbattere i grandi miti paleontologici che (ahi noi!) sono ormai radicati nella cultura popolare.  La visione distorta dei dinosauri che la gente si è fatta guardando Jurassic Park (bellissimo film, sia chiaro, ma scientificamente abbastanza fuorviante), o ciò che si pensa sull'evoluzione dell'uomo, spesso vista in maniera semplicistica e con una direzionalità finalizzata a noi,  o ancora al mito dell'esplosione dei mammiferi dopo l'estinzione (parziale) dei dinosauri, etc etc... Tutti questi sono miti, radicati nella cultura popolare ormai da molto tempo, creati dai documentari scientifici (o, spesso, pseudoscientifici), dalle notizie parziali e spesso superficiali che si ritrovano sui giornali e in giro per il network, e dalla mente umana, più attratta dalle suggestioni che queste storielle portano inevitabilmente con loro che non dal fatto, dal dato scientifico.

Proprio per questo, come promesso, oggi vi parlerò di uno dei più grandi miti paleontologici: la conquista della terraferma da parte degli animali dotati di zampe.
I vertebrati che oggi popolano le terre emerse sono tutti inseriti in un gruppo chiamato Tetrapoda, letteralmente “quattro piedi”. Di esso fanno parte tutti gli animali muniti di zampe con dita, quindi ad esempio lucertole, rane, piccioni, mucche, cani, serpenti (derivati da parenti con dita, che poi hanno perso nel corso della loro storia evolutiva), balene, delfini, pipistrelli e, ovviamente, anche noi uomini.

Come tutti sanno, anzi, come tutti pensano di sapere, gli arti dei tetrapodi si sono evoluti  per permettere agli animali di camminare sulla terraferma, in modo da occuparne gli ambienti. I tetrapodi quindi (così racconta il mito) si sono evoluti da pesci che hanno sviluppato piano piano delle zampe con lo scopo di avventurarsi fuori dall’acqua.
Benché questa storia abbia certamente un suo fascino, essa è falsa, poiché si basa sull’assunto che l’evoluzione debba avere uno scopo, una finalità. 

Sull'origine della simmetria bilaterale

Nella precedente PaleoStoria abbiamo ragionato sull'importanza della corporeità e su quali possono essere stati i passaggi evolutivi che portarono allo sviluppo di questa fondamentale proprietà della vita.
Oggi invece, parlerò di un'altra grande conquista evolutiva, un altra innovazione che cambiò in modo significativo la vita degli animali: lo sviluppo della simmetria bilaterale.

Come abbiamo visto nel post Nozioni fondamentali di PaleoStories Parte 1, gran parte degli organismi dotati di corpo possono essere separati in due grandi categorie, quelli il cui corpo può essere diviso in due parti speculari da due o più assi, e quelli invece il cui corpo può essere diviso in due parti simmetriche (destra e sinistra) da un solo asse di simmetria ( la situazione è un po' più complicata, ma ve lo spiegherò dopo). I primi vengono detti animali a simmetria raggiata (o radiale) e sono, ad esempio, gli attuali cnidari (tra cui le meduse) e gli ctenofori, un bizzarro gruppo di animali marini tentacolati. Nei secondi, gli animali a simmetria bilaterale, troviamo quasi tutti gli animali più noti, dall'uomo al cobra, dalla seppia al canarino, dal lombrico all'anfiosso.
A dirlo così, sembra che il problema stia solo nel concetto geometrico di simmetria, che di per se, potrebbe sembrare indifferente dal punto di vista anatomico.
Invece, se si analizza l'anatomia interna degli animali a simmetria raggiata e a simmetria bilaterale, ci si accorge subito che tra le due diverse forme c'è un gap veramente significativo di complessità anatomica, con gli animali bilateri che possiedono varie caratteristiche anatomiche che i radiati non hanno e che sono di estrema importanza dal punto di vista funzionale. Dati alla mano, possiamo notare che oltre il 99 per cento delle specie di metazoi viventi sono bilateri e che essi possiedono una struttura molto più complessa e una distribuzione ed un ecologia molto più differenziata rispetto ai radiati.
Essere un bilaterio quindi, è una cosa non da poco!

Ma se la simmetria bilaterale ha permesso agli animali di sviluppare un sistema anatomico molto più complesso rispetto a quello radiato, come si è passati da un piano corporeo all'altro? Si possono rintracciare le origini della simmetria bilaterale, tentare di capire quando e come è avvenuto questo passaggio?
La risposta è si, ma la questione è alquanto complicata.

La base di partenza per ogni analisi filogenetica (e quindi per tentare di capire qualcosa sull'evoluzione dei vari gruppi) è il riconoscere quali caratteristiche distinguono un gruppo da un altro. In questo caso quindi, dobbiamo considerare i tratti apomorfici che ci permettono di separare i bilateri dagli altri animali.
Non tutti gli studiosi sono concordi nel riconoscere un numero stabilito di sinapomorfie per i bilateri, ma, in ordine di importanza, possiamo dividere le caratteristiche distintive (o meglio, reputate distintive) dei bilateri in tre grandi gruppi, in ordine di consenso:

1. Quasi tutti gli studiosi e le analisi filogenetiche riconoscono che tutti i bilateri possiedono due assi ortogonali (uno anteroposteriore e uno dorsoventrale) che rendono appunto questi animali “bilateralmente simmetrici”, un sistema nervoso con una concentrazione di cellule nervose nella parte centrale, da cui si dipartono poi i nervi in direzione posteriore, e la triploblastia (durante lo sviluppo genetico si forma un terzo strato, il mesoderma, deputato alla formazione di alcune particolari strutture, come lo scheletro assiale, la muscolatura, l'apparato escretore, e altri. Negli animali non triploblastici abbiamo solo due strati, ectoderma e endoderma, mentre nei triploblastici ai primi due si aggiunge, in mezzo, il mesoderma. Non voglio dilungarmi troppo su queste questioni biologiche, spero però di essere stato abbastanza chiaro).
2. Altre caratteristiche che vengono talvolta considerate distintive per i bilateri sono la presenza di un apparato escretore, di un vero canale stomacale (cioè, con bocca e ano), di occhi primitivi e di un corredo di geni Hox comprendente almeno 7-8 geni. I geni Hox sono particolari tipi di geni che svolgono l'importante funzione di far crescere le cellule e gli organi al loro posto giusto. Ci sono geni che regolano lo sviluppo anteroposteriore del corpo, quelli che regolano lo sviluppo dorso ventrale, quelli che “dicono” agli arti dove cresce, o dove “devono essere sistemati” gli occhi, etc. (sui geni Hox verrà trattato un post specifico in seguito).
3. Infine, secondo alcuni sarebbero da considerare sinapomorfie di Bilateria anche il possesso di una cavità celomatica, di un cuore, di appendici e un corpo segmentato. Su questo terzo punto però, pochi studiosi sono d'accordo e considerano queste caratteristiche più derivate e non diagnostiche per Bilateria.

Perché vi ho fatto questo elenco? Perché sulla diagnosi delle caratteristiche distintive di Bilateria girano tutte le ipotesi riguardanti l'origine della simmetria bilaterale. Numerose analisi filogenetiche indicano la presenza di un antenato comune condiviso tra i bilateri e gli cnidari, quindi, per capire l'origine dei bilateri dobbiamo tentare di ricostruire le caratteristiche di questo antenato comune.
In particolare, in base a quali caratteristiche prendiamo in considerazione avremo due diversi scenari:

- A.   L'antenato comune dei bilateri era un animale semplice, non segmentato e senza celoma, simile alla planula degli cnidari, e le caratteristiche distintive dei bilateri sarebbero comparse gradualmente. In questo caso quindi, le caratteristiche dei primi bilateri sarebbero state quelle del gruppo 1, mentre quelle dei gruppo 2 e 3 sarebbero comparse successivamente. Importante notare che la planula degli cnidari, che rappresenta uno dei loro stadi giovanili, presenta simmetria bilaterale. In figura possiamo vedere un organismo acelomato, munito di simmetria bilaterale, mesoderma, ma ancora semplice.

-B.   L'antenato comune dei bilateri era un animale piuttosto complesso, con le caratteristiche complesse dei bilateri, derivato da una larva di cnidario o da uno cnidario adulto. Da questo antenato comune si sarebbero poi sviluppati tutti gli altri bilateri, alcuni dei quali (ad esempio i bilateri non muniti di celoma, oppure taxa segmentati, come noi) avrebbero poi perso o trasformato alcune delle caratteristiche dei punti 1,2 e 3.

La paleontologa è, ovviamente, uno dei modi migliori per poter studiare l'evoluzione degli organismi del passato. Anche in questo caso, un buon record fossile è fondamentale per poter dare dati a supporto o in sfavore dell'una o dell'altra tesi. Purtroppo però, gli organismi fossili su cui stiamo indagando (siamo all'incirca nel Cambriano, e stiamo cercando animali a corpo molle, tra cui cnidari e i primi bilateri vermiformi, come i platelminti) sono a corpo molle e molto difficili da rinvenire, poiché raramente si fossilizzano.
Perciò, un grande aiuto per risolvere la questione arriva non dalla paleontologia ma dallo studio degli animali del presente, attraverso sofisticati metodi di analisi molecolare.

La filogenesi molecole si basa essenzialmente sullo studio e il confronto del materiale genetico dei taxa in esame. Un importante studio sull'origine dei bilateri è stato svolto in maneira eccellente da Jaume Baguňa e Marta Riutort (2004). Qui, in particolare, le analisi si sono svolte confrontando una particolare sequenza del RNA (18S rDNA) e il sequenziamento di alcuni geni Hox, ritenuti molto importanti perché alcuni di loro sono quelli che “danno istruzioni” alle cellule del corpo affinché si dispongano in un certo modo e promuovendo lo sviluppo di un asse anteroposteriore e dorsoventrale.

Da queste analisi è risultato che all'interno di Bilateria, la posizione più basale è occupata dal clade Acoelomorpha, un gruppo di piccoli invertebrati acelomati, una volta ritenuti platelminti, muniti delle caratteristiche del gruppo 1 ma non delle altre. Questo dettaglio, come vedremo, risulta molto utile per ipotizzare l'origine dei bilateri.
Inoltre, da queste analisi è risultato che all'interno di Bilateria vi è un altro gruppo, denominato Eubilateria, che comprende i tre grandi gruppi di bilateri, Ecdysozoa, Lophotrochozoa (entrambi riuniti nel gruppo dei protostomi) e Deuterostomia. La faccenda quindi, come spesso accade, è meravigliosamente complicata.

Il fatto che gli acoelomorphi rappresentino il clade più basale all'interno di Bilateria, porta a valutare come più plausibile l'ipotesi di un antenato dei bilateri piuttosto semplice, piccolo, acelomato e non segmentato. Gli acoelomorphi hanno inoltre un set di geni Hox intermedio tra quello degli cnidari e quello degli Eubilateri, a sottolineare la loro importanza chiave nell'albero dell'evoluzione. Importante notare che anche alcuni cnidari posseggono alcuni geni Hox simili a quelli che nei bilateri si occupano di organizzare il corpo in modo che abbia un'asse anterodorsale e un'asse dorsoventrale. Può essere quindi che, da una planula (che, come abbiamo visto, risulta già bilaterale) si sia poi sviluppata una mutazione nei geni Hox tali da far mantenere alla planula una struttura bilaterale (per neotenia?), tale da originare un animale completamente bilaterio in tutti gli stadi di vita.

Non lo sappiamo, ma proviamo lo stesso ad immaginare ciò che accadde: circa 615 – 570 milioni di anni fa (così sembrano indicare i fossili e le indagini molecolari), da un organismo simile alla planula degli cnidari, per mutazioni genetiche interessanti i geni Hox o per conseguenza formazione di nuovi geni, si evolse una stirpe di animali dal corpo dotato di simmetria laterale, non munito di celoma, ne di segmentazione, ma piuttosto semplice.
Durante il Cambriano, forse si svilupparono varie linee di animali di questo tipo, tra cui quella che comprende gli attuali Acoleomorpha, unico gruppo sopravvissuto.
Poi, gradualmente, vennero acquisiti altri caratteristiche importanti, come un celoma o un vero apparato stomacale, fornendo agli animali nuovi e importanti mezzi per proliferare e radiarsi. Così, all'incirca 570 milioni di anni fa, si evolsero i primi eubilateri, e, sull'onda di questa meravigliosa spinta evolutiva, verso 550 milioni di anni fa cominciarono a separarsi le linee dei protostomi e dei deuterostomi.

Anche in questo caso, la vita non fu più la stessa.

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Bibliografia:
- J.Baguna and M.Riutort, 2004
The dawn of bilaterian animals: the case of acoelomorph flatworms, BioEssays 26: 1046 - 1057.

Mens sana in corpore sano: l'origine del corpo

Finalmente, dopo oltre due mesi dalla fondazione di questo blog, riesco a postare la mia prima PaleoStoria. Devo dire che sono un po' emozionato, speriamo di riuscire a spigarmi con chiarezza e senza annoiare, anche perché, essendo argomenti abbastanza complessi, i post purtroppo saranno di una lunghezza non trascurabile. Se li trovate noiosi o troppo lunghi vi prego di segnalarlo nei commenti.

Per la prima PaleoStoria ho scelto un argomento di grande importanza, sia da un punto di vista evolutivo, sia, soprattutto, da un punto di vista conoscitivo. Penso che sia abbastanza controproducente parlare di tematiche complicate se non si hanno certe basi. Potrei parlarvi di ossa, di adattamenti locomotori particolari, di comportamento, dell'origine di certe strutture anatomiche, etc.. Ma senza aver spiegato prima certe cose, il rischio di dare certe nozioni per scontate è molto alto. E, visto che quello che mi interessa è soprattutto l'aspetto divulgativo, preferisco partire dalle base. Per questo motivo, le miei PaleoStorie seguiranno un filo logico abbastanza ben definito, con argomenti a mano a mano sempre più complessi. Il fatto che l'aumento della complessità segua anche l'andamento cronologico della storia della vita sulla Terra e della sua evoluzione, si dimostrerà di grande aiuto nella comprensione e nella narrazione, e spesso facilità il compito del lettore.
In questa prima PaleoStoria parleremo quindi di uno dei concetti fondamentali della storia della vita sulla Terra: l'origine del corpo.

Ma che cos'è un corpo? Ve lo siete mai chiesti?
In maniera generica, possiamo dire che un corpo è un aggregato di cellule che lavorano insieme per costruire e mantenere vivo un intero più grande, spesso volgendo funzioni diverse e specifiche, e coordinandosi in modo che ognuna “dia una mano” a far sopravvivere l'intero.
Una delle proprietà fondamentali del corpo è quindi la coordinazione tra le varie cellule, la loro specificità, e il fatto che tutte lavorino non per se stesse ma per l'intero organismo che loro stesse compongono.
Questa distinzione è fondamentale: un grumo di cellule non costituisce un corpo se esse non collaborano alla sopravvivenza dell'intero.
Se, ad esempio, prendiamo una colonia di batteri ed estraiamo da essa alcuni di questi, ci ritroveremo senz'altro con una colonia più piccola; ma se estraiamo delle cellule da un corpo di un essere umano o di un qualsiasi altro organismo dotato di corpo, bé il rischio di ritrovarci con un cadavere non è per niente trascurabile (dipende, ovviamente, da quali cellule vengono estratte).
Un corpo quindi è molto più che un aggregato di cellule. Si potrebbe dire che esso rappresenta una sorta di società, in cui persone con diverse abilità mettono insieme i loro talenti per far rendere al meglio l'intera struttura societaria.
E, cosa molto importante, nonostante i continui cambiamenti cellulari (la durata della vita di una cellula è molto variabile, da pochi giorni a molti anni) il nostro corpo continua a vivere. 
 Nonostante vari cambiamenti generazionali, la “società corporea” va avanti senza affanni, grazie a regole precise e all'innato spirito di collaborazione che caratterizza i suoi abitanti, le cellule.
Il corpo, in sostanza, è una cosa molto seria e meravigliosamente perfetta, nonché maledettamente più complicata rispetto ai semplici ammassi di cellule.
Affinché i nostri lontani parenti si trasformassero da forme unicellulari a creature dotate di corporeità, le loro cellule dovettero imparare a collaborare, a comunicare tra loro, a unirsi. Il tutto, grazie a meccanismi nuovi, a materiale e metodi mai utilizzati.

Quindi, se il livello di complessità del corpo è immensamente più alto di quello dei semplici ammassi di cellula, come è stato possibile raggiungere tale complessità? Quando si è sviluppato il corpo? Come? E soprattutto, perché?

La risposta alla domanda su quando si è formato il corpo parte da un concetto spesso trascurato, specie dalla superba specie Homo sapiens: gran parte della storia della vita sulla Terra è la storia degli organismi unicellulari. Non solo essi si sono sviluppati molto, ma molto prima degli organismi pluricellulari, ma ancora oggi rappresentano una cospicua fetta (molto più dei loro “parenti” pluricellulari) della componente biotica del nostro pianeta. Praticamente, tutto ciò di cui parlerò nei prossimi post (ossia degli organismi pluricellulari) abitano la Terra da una frazione minima di tempo.
Come facciamo a sapere questo? Facile, dai fossili.
Dai fossili sappiamo che la vita sulla Terra apparve probabilmente intorno ai 3,5 miliardi di anni fa, e che fino a 600 milioni di anni fa, più o meno, gli unici organismi presenti sul nostro pianeta erano unicellulari. Gli strati più vecchi di 600 milioni di anni infatti non presentano tracce fossili di vita complessa.
Poco dopo però, e apparentemente all'improvviso, appaiono una miriade di fossili di animali dotati di veri e proprio corpi, alcuni molto specializzati, altri ancora semplici. Ma, in ogni caso, corpi. 
Corpi con la C maiuscola.

Come in una sorta di esplosione, in poco tempo si passò da una vita unicellulare a uno stato “corporeo” più o meno complesso.
Alla domanda “quando?” rispondono bene i fossili di 600 milioni di anni fa (Precambiano).
Capire come e perché accadde tutto questo, è decisamente tutta un'altra storia.

Ora, per capire come ha avuto origine la pluricellularità dobbiamo chiderci cosa rende esattamente così speciale ed efficiente un corpo.
Cosa tiene unite un gruppo di cellule, siano esse una medusa o un complesso organo umano? Cosa le rende in grado di comunicare?

La risposta è abbastanza lunga e complessa, e richiede nozioni abbastanza approfondite di biologia e anatomia cellulare. Proviamo però a semplificare un po' le cose.
Caratteristica comune a tutti gli organismi pluricellulari, siano essi vertebrati,invertebrati, vegetali o semplici grumi di cellule, è che essi possiedono molecole che occupano gli spazi vuoti tra una cellula e l'altra. Queste molecole sono di vario tipo, e spesso gran parte delle proprietà specifiche di un certo insieme di cellule deriva proprio da quali molecole le tengono insieme e da come queste cellule sono disposte.
Negli animali, una di queste sostanze speciali è il collagene, una proteina che da sola costituisce oltre il 90 per cento di tutte le proteine presenti nel corpo. Grazie al collagene, le nostre cellule sono in connessione tra loro, tale da poter interagire e comunicare.
Oltre ad unirle, queste molecole (ripeto, ce ne sono molte, e di vario tipo) rendono possibili le interazioni tra le varie cellule. Alcune sono così specifiche (selezionano il legame, legandosi solo a molecole dello stesso tipo) che donano alle cellule la meravigliosa proprietà di potersi legare solo ai propri simili. Così, assicurano che le cellule siano in grado di disporsi da sole tra di loro, in modo che le cellule della pelle si leghino alle cellule della pelle, che quelle dell'occhio si leghino a quelle dell'occhio e così via.
Tali molecole, forniscono alle cellule anche un sistema efficiente di comunicazione, in modo che ognuna di esse sappia quando duplicarsi, creare molecole, legarsi, morire, etc..
In definitiva, è l'insieme di queste molecole e le loro interazioni con le cellule che permettono l'esistenza del corpo.

Bene, adesso che abbiamo un'idea di cosa sia un corpo e di cosa permette ad esso di esserlo, possiamo cercare di capire come si è originato.
Ma prima, voglio sottoporre alla vostra attenzione un fantastico esperimento scientifico, che si rivelerà utile alla nostra indagine e assolutamente illuminante.
Henry Van Peters Wilson fu uno dei più grandi biologi del novecento. Durante i suoi anni all'Università della North Carolina, insegnò biologia ad alcuni studenti americani, che sarebbero poi diventati alcune delle menti più brillanti della genetica e della biologia cellulare.
Fin da giovane, Wilson decise di dedicare la sua vita allo studio delle spugne, ritenute da lui (a ben vedere) alcuni degli animali più interessanti dal punto di vista biologico.
Le spugne sono organismi decisamente primitivi: il loro corpo è sostanzialmente formato da una matrice non viva, solitamente composta da silice o carbonato di calcio, e da un insieme di cellule più o meno specializzate, tenute insieme da collagene. Anche se non particolarmente complesse, le spugne hanno tutti i requisiti per essere considerati organismi corporei a tutti gli effetti.
Ebbene, all'inizio del Novecento il buon Wilson fece un fantastico esperimento con le spugne, nel tentativo di studiarle nei minimi dettagli: prese degli esemplari e li passò al setaccio, riducendoli ad un ammasso di cellule disgregate. In seguito, prese queste cellule singole e le mise su un vetrino per studiarle. Con grande soddisfazione, egli vide che le singole cellule cominciarono subito a muoversi sul vetrino e, con grande rapidità, si riunirono in un unico corpo! Dapprima, esse formarono un ammasso caotico di cellule, poi, in poco tempo, si organizzarono e diedero vita nuovamente ad una spugna! Wilson aveva osservato in diretta la formazione di un corpo!
Questo esperimento dimostrò come le spugne fossero animali assolutamente stupefacenti, e soprattutto come le proprietà strutturali del corpo sono date proprio dal collagene e dalla capacità interattiva tra le varie cellule.

L'origine del corpo quindi è da ricercare nell'origine dei materiali e delle proprietà cellulari fondamentali per la costituzione della “corporeità”?
Fino a poco tempo fa si pensava che la risposta alla domanda era “si”, poiché dallo studio dei geni degli organismi “senza corpo” si era certificata l'assenza di quei materiali che rendono le cellule capaci di aderire, comunicare, etc. Quindi, sembrava chiaro che l'origine del corpo fosse collegata con la comparsa di tale proprietà.
Gli studiosi però non avevano ancora fatto i conti con degli strani organismi unicellulari: i coanoflagellati.
Uno studio pubblicato da Nicole King, ricercatrice dell'Università di Berkeley, California, dimostrò come nei coanoflagellati siano presenti varie molecole omologhe a quelle degli organismi cellulari, come ad esempio vari tipi ci collagene o di molecole che rendono possibile la comunicazione cellulare. Insomma, i coanoflagellati hanno tutti i mezzi possibili per aggregarsi e formare corpi. Eppure, sono organismi unicellulari.
E successivi studi riportarono che alcune di queste molecole erano presenti anche in alcuni batteri (tra cui gli streptococchi), ma che venivano usate per altre funzioni, spesso metaboliche.

Il record fossili ci dice che fino a 600 milioni di anni fa tutti gli organismi presenti sulla Terra erano unicellulari. Poi, tutto ad un tratto, in un tempo abbastanza rapido (40 milioni di anni), compaiono corpi ovunque: piante, animali, funghi.
Eppure, come dimostrato da Nicole King, la vita aveva già da lungo tempo i presupposti per poter formare corpi.
Perché accadde tutto così rapidamente e all'improvviso? Perché, pur potendosi “accorpare” già da tempo, gli organismi preferirono rimanere unicellulari?

Per rispondere a questa ultima domanda, citerò ancora una volta un esperimento.
Martin Boraas e i suoi colleghi, in un mirabile esperimento di biologia cellulare, cercarono di capire quali fattori possano aver favorito lo sviluppo dei corpi: presero un'alga unicellulare (che possedeva i requisiti per la corporeità, pur utilizzandoli in maniera diversa) e la lasciarono sviluppare in laboratorio per diverse generazioni.
Poi, ad un certo punto, introdussero un agente di disturbo, un predatore, capace di inglobare le singole alghe e di nutrirsi di esse. In meno di duecento generazioni, l'alga reagì evolvendosi in un agglomerato di cento cellule, numero che scese piano piano fino a stabilizzarsi a otto per grumo (otto si rivelò il numero più equilibrato, perché permetteva ai singoli aggregati di essere abbastanza grandi da non venir inglobati dal predatore e abbastanza piccoli da poter vivere da soli, senza bisogno di troppa energia). Togliendo il predatore, Boraas e colleghi costatarono che l'alga continuava a riprodursi formando individui di otto cellule ciascuno.
In sostanza, grazie all'introduzione di un predatore, un organismo unicellulare aveva dato vita ad un organismo pluricellulare in brevissimo tempo.

L'esperimento fece avanzare l'ipotesi secondo la quale lo sviluppo del corpo si sia evoluto quando gli organismi unicellulari trovarono nuovi modi per predare o per non farsi predare. Avere un corpo avrebbe costituito un vantaggio, poiché permetteva sia di non essere mangiato, vista la grande mole, sia di potersi nutrire di creature più piccole. Inoltre, permetteva di coprire distanze maggiori.

Tutto ha un senso, ma non risponde alla nostra domanda: perché non si è sviluppato prima?
Forse, il problema era trovare l'energia necessaria a mantenere vivo un corpo, visto che più un corpo è grande più necessita di nutrimento e di energia (soprattutto se formato da collagene, che ha bisogno di parecchio ossigeno per sintetizzarsi).

Nelle prime fasi della storia della Terra, al tempo in cui nacque la vita, l'atmosfera terrestre conteneva poco ossigeno, infinitamente poco rispetto alla quantità contenuta oggi. E, probabilmente, troppo poco anche per consentire lo sviluppo dei corpi.
Tuttavia, circa un miliardo di anni fa, il livello di ossigeno cominciò a salire, come dimostrato dall'analisi chimica delle rocce di quel periodo.
E forse proprio grazie a questo, scattò la scintilla per la formazione dei corpi: per miliardi di anni, gli organismi unicellulari si erano evoluti, sviluppando sempre nuove tecniche per nutrirsi e per interagire con l'ambiente che li circondava. Così facendo, avevano sviluppando, seppur per scopi diversi, tutti i requisiti per poter formare i corpi. E, inoltre, stavano evolvendo nuove forme di predazione, imparando a mangiarsi tra di loro.
C'era già tutti i mezzi per formare un corpo, c'erano già i motivi per farlo, ma mancava ancora un piccolo dettaglio: l'ossigeno per fornire l'energia necessaria al sostentamento al corpo.
E quando il livello di ossigeno nell'atmosfera arrivò al punto giusto, come una pentola a pressione carica già da tempo, la corporeità esplose in una miriade incredibile di forme. Tutto ad un tratto, la Terra si riempì di corpi, ovunque. E da li, fu tutta un'altra storia..

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Bibliografia:

- N.King, 2004
The Unicellular Ancestry of Animal Development, Developmental Cell, 7, pp. 313 - 325

- M.E.Boraas, D.B.Seale e J.Boxhorn, 1998 
Phagotrophy by a Flagellate Selects for Colonisl Prey: A Possible Origin of Multicellularity, Evolutionary Ecology, 12, pp. 153 - 164

Nozioni fondamentali di PaleoStories Parte 1: L'architettura degli animali

Vi sono alcune nozioni fondamentali che devono essere sapute prima di poter affrontare consapevolmente i nostri viaggi attraverso le meraviglie della vita sulla Terra e della sua evoluzione. Così come, prima di partire per il mare o per la montagna siamo indaffarati nel preparare le valige e tutto l'occorrente, così è necessario acquisire un bagaglio conoscitivo di base per poter iniziare con sicurezza e senza dubbi le nostre avventure.

Per questo motivo, i prossimi post saranno una sorta di lista dei preparativi, con le nozioni di base assolutamente necessarie. Ovviamente, visto che questo è un blog per tutti, cercherò di essere più chiaro possibile e spero sintetico e poco noioso. Se qualcuno avesse qualche domanda, se vi accorgete di un mio errore o volete chiarimenti, non esitate a lasciare commenti.

Premessa importante: qui non spiegherò nulla riguardo alla teoria evolutiva, alla sua storia e ai suoi concetti di base. Questo sia per mancanza di tempo (sarebbe un discorso troppo lungo e ampio), sia perchè ritengo che almeno alcune cose sull'evoluzione siano conosciute anche ai meno istruiti (ad esempio, spero vivamente che tutti i lettori accettino la teoria dell'evoluzione darwiniana e che abbiano una mezza idea di cosa significhi la frase "discendenza con modificazioni").

Il primo di questa serie di post parla di quelle che sono le caratteristiche generali degli animali, i protagonisti principali di questo blog, e in particolare della loro struttura di base.
Noi uomini possediamo un gran numero di caratteristiche in comune con gli altri animali: come essi bruciamo energia nel compiere le nostre azioni, ci riproduciamo e siamo formati tutti dalla stessa unità di base, la cellula.
Questo perchè (nozione della teoria dell'evoluzione) discendiamo tutti da un medesimo antenato comune, da cui abbiamo ereditato tali caratteristiche che accomunano noi e gli altri esseri viventi.
A partire da questo primo organismo però (l'antenato comune di tutti gli altri esseri viventi), ogni taxon (taxon=insieme di organismi le cui caratteristiche morfologiche e/o genetiche consentono di raggrupparli in un gruppo distinguibile da tutti gli altri organismi) si è poi evoluto in maniera diversa, sviluppando caratteristiche differenti a seconda della pressione selettiva del suo habitat.

Per quanto riguarda l'organizzazione del corpo degli esseri viventi, sono presenti due grandi distinzioni, che riguardano il numero di cellule presenti in un organismo.
La prima condizione è quella che presenta una sola cellula, composta da tutti gli organuli e dalle strutture utili alla sopravvivenza, tale che, anche da sola, può assicurarsi prosperità e discendenza. Questa condizione, detta organizzazione unicellulare, è presente in molti organismi attuali, come i protozoi.
Molti altri esseri viventi, tra cui le piante, i funghi e i Metazoi (i veri animali), sono formati da più di una cellula, tale che le varie cellule collaborano tra di loro, aiutandosi nelle funzioni necessarie alla sopravvivenza dell'intero organismo. Tale organizzazione è detta multicellulare o pluricellulare.

Negli esseri viventi pluricellulari, le cellule vengono a trovarsi in stretto contatto tra di loro, scambiandosi informazioni e svolgendo funzioni diverse a seconda della loro struttura. Un passo avanti nella complessità dell'organizzazione dei viventi si osserva quando cellule che adempiono a funzioni simili vengono ad aggregarsi, formando un tessuto, appunto un insieme di cellule specializzate per una specifica mansione. Più tessuti insieme possono aggregarsi per formare organi, ancora più specializzati. Organi sono ad esempio il cuore, i polmoni, il cervello. Ultimo livello di complessità è la formazione di sistemi, in cui vari organi cooperano per svolgere una determinata funzione, spesso associata a bisogni necessari alla vita, come l'alimentazione, la riproduzione, la respirazione, etc.

L'organizzazione delle cellule, oltre a consentare uno stile di vita più o meno complesso, porta l'organismo ad avere un piano strutturale ben definito, diverso a seconda delle differenze di habitat e della storia evolutiva di ciascun organismo. Ovviamente ciò è collegato allo sviluppo del corpo e al suo grado di complessità. L'origine del corpo sarà oggetto di un post futuro.
Tralascio alcune nozioni di biologia ed embriologia relativamente avanzate (come i vari modelli di segmentazione); quello che mi interessa ora è arrivare a due importanti concetti della zoologia e dell'anatomia animale: la simmetria del corpo e il celoma.
La simmetria di un corpo si riferisce al numero e al tipo di assi (rette) che possono passare dal centro di tale corpo in modo da dividerlo in due metà esattamente uguali morfologicamente (simmetriche). All'interno dei metazoi, esistono due tipi diversi di simmetria, una radiale (tipica di organismi come ricci di mare o meduse), in cui due o più assi possono tagliere il corpo in due parti speculari, e una simmetria bilaterale, in cui il corpo può essere suddiviso in due metà speculari (sinistra e destra) da un solo asse di simmetria. Tale condizione è visibile ad esempio nell'uomo, nel cane, nel cocodrillo, nella formica, nella lumaca e in un gran numero di animali (la maggior parte di essi).
L'acquisizione di tale struttura corporea (bilaterale) costituirà, come vedremo, uno dei più grandi eventi evolutivi della storia della vita sulla Terra.

Oltre al piano di simmetria, un'altra grande innovazione sarà costituita dall'acquisizione di un celoma, una cavità piena di liquido posta tra la parete esterna del corpo e il tubo digerente, nella famosa conformazione del "tubo dentro ad un altro tubo".
La presenza di celoma permette agli animali di organizzarsi in maniera più complessa, alloggiando organi interni, sviluppando dimensioni maggiori e una maggiore elasticità e flessibilità corporea, data dalla presenza di liquido all'interno di tale cavità.
 
Attualmente esistono animali celomati, senza celoma (acelomati) oppure una struttura simile al celoma ma di origine embrionale diversa (pseudocelomati).
Come vedremo, l'acquisizione del celoma sarà un'altra delle grandi conquiste dell'evoluzione degli animali.
Spero di non avervi annoiato troppo, ma mi premeva che questi concetti fossero ben chiari, visto che, specialmente nelle prime PaleoStorie, verranno utilizzati piuttosto spesso.

Nei successivi post vedremo altre nozioni di base, in particolare, nel prossimo verranno presentati alcuni concetti fondamentali di sistematica.

Alla prossima!