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Paleostoria dei Cyclostomi Parte 5: il ciclo vitale delle lamprede tra presente e passato

Lamprede e missine, che insieme costituiscono il clade dei cyclostomi, sono al giorno d’oggi gli unici vertebrati agnati viventi. La loro morfologia e il loro stile di vita peculiare li rende animali estremamente interessanti dal punto di vista ecologico, ma soprattutto la loro posizione nell’albero filogenetico dei vertebrati, dove essi sono sister group di gnathostomata, ne fa un gruppo chiave per la nostra comprensione dell’evoluzione dei vertebrati. 
Abbiamo visto più volte in questo blog come negli ultimi anni la nostra concezione dei cyclostomi sia molto cambiata. Essi non sono più visti come animali primitivi, le cui caratteristiche particolari sono indicative della condizione ancestrale di Vertebrata, ma anzi come un gruppo di vertebrati che ha raggiunto questa anatomia attraverso una profonda riorganizzazione del corpo (almeno nella fase adulta), con perdita di materiale genetico e regressione di caratteri, tale da farli apparire ora come un gruppo le cui caratteristiche apparentemente primitive sono invece altamente derivate. 
Nonostante ciò, i cyclostomi conservano alcuni dettagli anatomici frutto del loro essere posizionati alla base di gnathostomata, come ad esempio un corpo senza apparato scheletrico, assenza di pinne pari, alto numero di aperture branchiali, etc.. Per questo motivo, il record fossile risulta importantissimo per capire quali di queste caratteristiche si sono mantenute nei cyclostomi attuali, ed erano dunque presenti anche nell’antenato comune di tutti i vertebrati, e quali invece sono state secondariamente modificate.
Purtroppo, come abbiamo visto, il record fossile delle missine e delle lamprede è piuttosto frammentario, con diversi gap temporali tra i fossili e l’impossibilità di avere una visione temporale continua della storia evolutiva di questi animali. A questo problema ho dedicato in passato una serie di post che potete trovare qui (guardare al punto 5).
La scarsità di esemplari fossili di cyclostomi è talmente un problema, che ogni nuova scoperta riveste un’importanza fondamentale, ed è dunque con queste premesse che accolgo con grande piacere l’uscita di quest’articolo (di cui ero già a conoscenza) su nuovi reperti di lamprede fossili del cretaceo.  E c’è di più, i fossili qui descritti riguardano non solo adulti ma esemplari di tutte e tre le fasi del ciclo vitale dei petromyzontiformi! Un documento dal passato di valore straordinario. Ma andiamo con calma.

Larva (ammocete) di lampreda attuale.

Metaspriggina e la primitivà degli gnathostomi

Le forme di vita del Cambriano sono sicuramente uno degli argomenti di maggior fascino dal punto di vista paleontologico. Sia perché esse ci appaiono così strane rispetto a quelle presenti oggi, sia perché appartengono ad un tempo estremamente lontano, quando la terraferma era disabitata e  lo status chimico-fisico-ecologico del nostro pianeta era ben diverso da quello attuale.
Ma uno dei fattori che aumenta il grado di interesse e di fascino intorno a questo periodo della storia della Terra è sicuramente legato al fatto che di esso sappiamo ancora poco, spesso troppo poco.
Questo discorso ben si applica alle forme di vita cambriane che fanno parte del gruppo dei cordati, clade a cui anche noi apparteniamo insieme anche a tutti gli altri vertebrati, estinti e non (di cui ho parlato qui). Conoscere dunque i primi cordati e la loro evoluzione rappresenta un punto fondamentale per lo studio non solo dell’evoluzione della vita ma anche della storia della nostra specie.
Purtroppo, come spesso accade quando si parla di record fossile, la nostra conoscenza delle prime fasi della storia dei cordati e dei vertebrati è ancora nebbiosa e incerta, a causa dei pochi siti cambriani in cui sono stati trovati fossili di cordati, animali dal corpo molle che, appunto, non si fossilizzano con facilità.
Per nostra fortuna però, i pochi posti da cui sono noti resti di cordati cambriani presentano condizioni di conservazione straordinarie. Sto parlando dei due incredibili Lagerstatten di Burgess Shale e Chengjiang, di cui ho parlato già approfonditamente diverse volte. In essi non solo si sono conservati alcuni taxa di cordati cambriani, ma essi presentato uno stato di fossilizzazione tale che è spesso possibile analizzare con estremo dettaglio la loro morfologia.
Ed è proprio analizzando alcuni fossili di cordati provenienti da questi siti che un nuovo recente articolo, pubblicato su Nature da Conway Morris e Caron (2014), ha evidenziato l’importanza dello studio di queste forme nella nostra comprensione dell’evoluzione dei vertebrati, persino di alcune caratteristiche, come l’origine delle mascelle, che sembrano poco evidenti in animali agnati e senza scheletro.

How to build a Vertebrate Final Chapter: i cyclostomi e la perdita di materiale genetico

Questo è l'ultimo post della serie How to Build a Vertebrate ("Come costruire un vertebrato").
Se avete seguito i tre post precedenti, avete visto come siano importanti nella storia dei vertebrati almeno due grandi eventi di duplicazione del genoma.
Non riassumerò anche in questo post la faccenda, sennò sarei sempre ripetitivo. Quindi, se qualcuno avesse difficoltà a seguire il resto del discorso, può andarsi a leggersi uno o più post precedenti della serie (primo, secondo, terzo).

Nell'ultimo post avevo concluso dicendo che alcuni studi sul genoma delle lamprede hanno portato dati a supporto dell'ipotesi secondo la quale entrambi questi eventi di duplicazione sono avvenuti prima della divergenza tra cyclostomi e gnathostomi (vedere qui). Questi dati provengono soprattutto dal confronto di alcuni tratti di geni che risultavano in comune tra i due gruppi e discendenti da un ampio evento di duplicazione avvenuto prima della separazione di questi gruppi.

Considerando questo scenario come realistico, oggi dovremmo vedere un certo grado di uniformità all'interno del genoma di cyclostomi e gnathostomi. Se essi si sono originati da un grande evento (doppio) di duplicazione genetica avvenuto nel loro antenato comune, è pensabile che essi posseggano caratteristiche genetiche e morfologiche abbastanza simili, tale da oservare ampiamente la loro comune parentela genetica.
Invece non è così, dal momento che non solo cyclostomi e gnathostomi possiedono una morfologia per moltissimi aspetti differenti (anche se includiamo le forme estinte di gnathosmi stelo, come i miei amati arandaspidi e gli altri "ostracodermi"), ma anche a livello fisiologico e genetico (come vedremo in seguito) essi mostrano notevoli differenze.
Come è possibile spiegare questa incongruenza?

How to Build a Vertebrate Reloaded!

PREMESSA: per poter comprendere al meglio questo post è necessario aver letto almeno il secondo (meglio anche il primo) post della serie "How to Build a Vertebrate" (primo, secondo). Se non lo avete ancora letto, vi pregherei di farlo. 
Chi invece ha già in mente di cosa si parlava può procedere direttamente con la lettura di questo post.

Vi ricordate questa immagine?



Nel secondo post della serie "How to Build a Vertebrate" (qui) presentavo questo disegno come immagine finale di una mia ipotesi riguardante l'origine dei vertebrati e in particolare i possibili eventi di duplicazione del genoma avvenuti nel punto di divergenza tra invertebrati e vertebrati e tra gnathostomi e cyclostomi.
La "visione tradizionale" (la chiamo così perchè è la stessa che mi è stata insegnata a me all'università e che ho trovato anche su molti testi e pubblicazioni recenti non specifiche) vuole che un primo evento di duplicazione del genoma separi gli invertebrati (con un singolo set genetico) dai vertebrati (set multiplo) e che un secondo evento di duplicazione sia avvenuto dopo la separazione tra cyclostomi e gnathostomi. Questi ultimi, forti del loro quadruplo set di geni, avrebbero perciò avuto poi il successo evolutivo che effettivamente hanno avuto. In questo senso i cyclostomi, che possiedono un set di geni in meno (3 set) rispetto a quattro degli gnathostomi, rappresenterebbero una sorta di forma intermedia all'interno della storia evolutiva degli animali. Questa posizione spiegherebbe le caratteristiche morfologiche primitive presenti in lamprede e missine.

Le straordinarie capacità difensive delle missine e la loro gelatina.

Lo devo ammettere, adoro le missine!
Da quando ho cominciato ad occuparmene seriamente sto scoprende tutto un mondo che non avrei mai pensato di poter trovare così incredibilmente interessante.
Non solo le missine sono animali oscuri e misteriori, di cui si sa ancora molto poco sia nel campo della paleontologia che della genetica, ma riservano anche sorprese meravigliose ogni volta che si riesce a catturarle e ad osservarle. 
La loro anatomia così bizzarra, il loro comportamento a volte schivo a volte esuberante (ricordatevi del caso di predazione che abbiamo visto qui), non possono che non creare un profondo interesse e una forte volontà di conoscienza.
Almeno, questo è quello che accade in me.

Oggi vorrei parlarvi di un nuovo esaltante capitolo delle conoscienze che piano piano la comunità scientifica sta acquisendo per quanto riguarda la biologia e il comportamento delle missine.
In un post precedente, lo stesso citato sopra, avevo parlato delle nuove scoperte sulle abilità predatorie di questi animali, ritenuti fino a quel momento capaci solo di nutrirsi di carcasse o di piccoli invertebrati.
Avevamo visto come l'atto predatorio fosse attuato grazie alla sinergia tra il peculiare apparato boccale circolare delle missine e la loro capacità di secernere una particolare sostanza viscosa, una sorta di gelatina, che intrappolava e soffocava l'animale fino alla morte.

La sostanza gelatinosa (slime in inglese) prodotta dalle missine, ha sempre costituito argomento di grande interesse tra i biologi, che si interrogavano su quale potesse essere la sua funzione.
Abbiamo visto come essa possa essere utilizzata appunto per predare. 
Inoltre si conosce come essa sia utilizzata per "sgusciare via" quando si tenta di tenere in mano questi animali (e che quindi è utilizzata dalle missine per liberarsi quando si trovano ad esempio incastrate in anfratti o in cavità nel substrano), e infine che essa costituisca un potente ed efficace mezzo difensivo contro la predazione da parte di altri pesci.


              Un esemplare di "cernia americana" Polyprion americanus nell'atto di catturare un esemplare della missina Epatretus sp.          Immagine presa dalla figura 2 di Zintzen et al., 2011

Paleostoria dei Cyclostomi Parte 4: Lamprede nell'Ordoviciano?

Rileggendo nuovamente il capitolo sui vertebrati ordoviciani del libro Major Event in Early Vertebrate Evolution (capitolo 7 "The Ordovician radiation of vertebrates"), il mio occhio è caduto su una foto (per altro, mi ero appuntato la cosa già alla prima lettura, si vede che poi mi sono dimenticato).
Nel punto 10.4 del capitolo, vengono nominati e descritti vari fossili, per lo più frammenti e resti isolati, di vertebrati ordoviciani considerati "incertae sedis", dunque di dubbia attribuzione.
Tra questi, vengono descritti anche alcuni elementi isolati rinvenuti nella famosa Harding Sandstone del Colorado, di cui ho parlato anche io in vari post precedenti (quiqui e qui).

New Genus B in visione dorsale (e) e laterale (f). Immagine presa da pagina 164 del libro citato all'inzio del post.
In particolare, con il nome di New Genus B vengono presentati una serie di elementi isolati, caratterizzati da una morfologia a punta (citando il testo, morfologia "a capezzolo") che varia da 1 a 3 a 5 punte, di  composizione fosfatica e dal punto di vista istologico costituiti da tessuto calcificato globulare indifferenziato.
E quindi? Niente di speciale no?
Il fatto è che queste strane "scagliette", possiedono una morfologia molto simile ai piccoli denticoli cheratinosi posti intorno alla cavità orale delle lamprede odierne.
La forma è talmente simile che anche gli autori di questo capitolo (I.J. Sansom et al.) lo fanno notare.

Nuova scoperta sulle capacità predatorie delle missine

Nonostante le missine siano animali abbondanti e relativamente conosciuti dal punto di vista morfologico, la loro biologia rimane ancora abbastanza oscusa, in particolare il loro stile di vita. Tutto ciò che si sa riguarda individui di allevamento o catturati nelle reti dei pescatori o all'interno di specifiche trappole (piene di cibo morto, che attrae questi animali). 

Esse sono da sempre considerate importanti in ecologia perchè essendo animali notoriamente fossori, scavano nel substrato contribuendo al suo rimescolamento e al turn - over di nutrienti e ossigeno.
Inoltre, è risaputo, grazie a numerosi esperimenti, che più o meno tutte le missine viventi si nutrono di carcasse morte o di pesci moribondi, contribuendo quindi alla pulizia dei fondali e aumentando la loro importanza ecologica nella catena alimentare.
Tuttavia, spesso è stato suggerito (per esempio, Shelton 1978) che la nutrizione basata esclusivamente su corpi morti o carcasse non possa sostenere per intero le popolazioni di alcune specie di missine, che spesso contano decine e decine di individui.

Lo studio dei contenuti stomacali delle missine ha fin'ora prodotto risultati non troppo significativi, benchè esso contenga spesso resti di policheti e altri piccoli invertebrati, ciò rappresenta comunque troppo poco dal punto di vista nutritivo.
Le missine, insomma, sembrano non potersi sostenere solo con un'alimentazione saprofaga e/o basata su piccoli animali (sono animali che posso anche superare il metro di lunghezza). 
Nonostante ciò, non era mai stata osservata alcuna evidenza della possibilità che le missine predassero attivamente o utilizzassero altri sistemi di nutrimento.
Fino all'anno scorso.

Nel 2011, utilizzando sistemi di fotografia e ripresa subacquei specializzati, alcuni studiosi neozelandesi e australiani (Zintzen et al., 2011) hanno fornito prove dirette di attività predatoria attiva in un individuo del genere Neomyxine biniplicata su un piccolo pesce bentonico Cepola haastii. Si tratta del primo caso di osservazione di tale comportamento, e, come vedremo a fine post, le implicazioni potrebbero essere importanti.

Disegno di Neomyxine biniplicata. Lunghezza media 30 cm.

Disegno di Cepola haastii. Lunghezza media 20 cm


Ma come funziona l'atto predatorio di questa missina?

Per prima cosa, gli esemplari in esame sono stati osservati nell'atto di ispezionare il substrato e trovare le prede.
Durante l'ispezione, il corpo si muove in maniera molto attiva, così come i bargigli, che vengono mantenuti a contatto con il fondo.
Una volta trovata una tana di cepola (le cepole sono pesci scavatori che vivono in tane scavati nella sabbia, da cui emergono di tanto in tanto per nutristi di planckton), Neomyxine entra da una delle due fessure della tana in modo che il padrone di casa sia costretto a rientrare velocemente in essa per tentare scacciare l'ospite.
Ciò costituisce una trappola per il pesce, che una volta rientrato nella tana viene prontamente abbrancato dalla missina, che attaccandosi alla sua porzione anteriore comincia a colpire la preda con il suo apparato di dentelli.
Non si sa bene cosa succeda esattamente durante questo passaggio, perchè è stata osservata la scena solo da fuori la tana, dove emerge parte del corpo della missina nell'atto di muoversi, annodarsi e contorcesi con grande foga, segno di intensa attività del resto del corpo (che è nella tana).
Zintzen et al. ipotizzano che durante questo periodo, la missina possa produrre la sua particolare bava per soffocare la preda o per immobilizzarla.
 
Ad un certo punto, la missina si muove producendo il tipico nodo nella sua parte posteriore. Le missine si annodano in questo modo o per sfuggire ai predatori o per uscire dall'interno delle carcasse. Questa posizione del corpo corrisponde un pò alla retromarcia di un'automobile, e viene usata dall'animale per tornare indietro, o come in questo caso per uscire da un buco.
La missina esce dalla tana della cepola (immagino con un' aria contenta) con il padrone di casa ormai morto e, sempre "tenendolo" ben saldo con la bocca, se ne va lontano nel posto in cui consumerà il pasto.
 
Disegno della sequenza predatoria di Neomyxine

La scoperta di questo tipo di attività predatoria per una missina è sicuramente un dato importante che mette in discussione quanto si è sempre saputo delle missine.
Nonostante sia stato osservato solo una volta e in un solo individuo, anche gli altri individui circostanti di Neomyxine sono stati visti nell'atto di ispezionare il fondo allo stesso modo.
Inoltre, l'atto predatorio è avvenuto nonostante la videocamera sia stata posta vicino ad una trappola per missine, con annessi bocconcini gustosi.
Nonostante la disponibilitàò di cibo facile, nessuna delle missine si è avvicinata e hanno continuato a perlustrare il fondo in cerca di cepole.

Non si sa ancora quante delle 77 specie viventi di missine possano comportarsi in questo modo, nè quali siano i rapporti tra cibo assunto vivo e morto all'interno di ogni specifica specie
Tuttavia, l'aver osservato un tale comportamento in questa specie rende plausibile la possibilità che esso sia presente anche altre specie di missine.
Alcuni studi hanno dimostrato che la potenza del "morso" delle missine è uguale o superiore a quella di vari gnatostomi (Clarck &Summers, 2009), tra cui tartarughe, fringuelli e labridi.
Ciò potrebbe indicare anche un uso "attivo" (cioè, su prede vive e che si muovono) della loro bocca.

Particolare della testa di una missina.

Se ancora crede che le missine sono animali brutti, semplici e impacciati, eccovi uno straodinario esempio di cosa possono fare.

E forse, anche questo può essere un punto a favore di chi, come me, crede che esse non siano poi così primitive come si continua a pensare.

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Bibliografia:

- Clark, A. J. & Summers, A. P. 2007
Morphology and kinematics of feeding in hagfish: possible functional advantages of jaws.
Journal of Experimental Biology 210 , 3897–3909
- Shelton, R. G. J. 1978
On the feeding of the hagfish Myxine glutinosa in the North Sea. J. Mar. Biol. Assoc. U.K. 58, 81–86
- Zintzen, V. et al. 2011
Hagfish predatory behaviour and slime defence mechanism. Sci. Rep. 1, 131

Paleostoria dei Cyclostomi Parte 3: il "nudo" Euphanerops e l'atavismo

Questo è l’ultimo post della serie sulla storia dei cyclostomi. 
Nei precedenti abbiamo visto come il record fossile di questo gruppo sia piuttosto ristretto e presenti problemi cronologici, con un gap tra la più recente missina fossile e i rappresentanti attuali del gruppo di oltre 300 milioni di anni, gap un po’ ridotto per le lamprede (di circa 130 milioni di anni), ma comunque problematico. Non si sa perché ma nessuno ha mai descritto lamprede cenozoiche o missine dal carbonifero in poi, eppure, non dovevano essere animali così rari. 
Non è improbabile che le flebili tracce di questi animali siano state trascurate o non riconosciute dai paleontologi che studiano il mesozoico e il cenozoico (come suggerito da Janvier, 2008).

Negli scorsi post (qui e qui), ricapitolando, abbiamo osservato come già a partire dall’inizio della loro storia evolutiva, vi siano notevoli differenze tra lamprede e missine, poiché i cyclostomi mostrano un alto grado di conservazione morfologica, con forme che sono cambiate molto poco nel tempo. Il tempo di divergenza per i due gruppi è stato calcolato a circa 400 – 450 milioni di anni, e sappiamo che già a partire da circa 300 milioni di anni fa i due gruppo erano piuttosto diversi.
Nell’ultimo post ho concluso dicendo che è problematico come non vi sia alcuna forma intermedia tra questi due gruppi, nessun cyclostomo che non sia nè una missina nè una lampreda, importante per poter ipotizzare quali fossero le caratteristiche probabili dell’antenato comune del gruppo. Inoltre, spesso mi sono domandato quale fosse la relazione tra i ciclostomi e gli gnathostomi, se vi fossero forme che potessero aiutare a ricostruire com’erano i vertebrati appena prima della divergenza di questi due gruppi.
Oggi, in questo ultimo post della serie, cercherò di rispondere a queste domande.

Paleostoria dei Cyclostomi Parte 2: le immutabili lamprede

Rispetto a quello delle missine, costituito per ora solamente da tre taxa (vedere qui), il record fossile delle lamprede è leggermente più ampio.
Inoltre, esso presenta un salto temporale minore, visto che, a differenza di quanto accade per le missine, in cui tra il fossile più recente e i taxa di oggi vi è un periodo di oltre 300 milioni di anni,  per le lamprede il salto è di “soli” 125 milioni di anni.
Le più antiche però risalgono comunque al Paleozoico, tale che anche delle lamprede possiamo osservare come fosse la morfologia più o meno agli inizi della loro storia evolutiva.

Il più antico fossile di lampreda è riferibile a Priscomyzon riniensis (Gess et al., 2006), rinvenuto in strati del Sud Africa databili a circa 360 milioni di anni fa (Devoniano superiore).
Si tratta di un fossile straordinario, un esemplare in vista ventrale con un'anatomia molto ben conservata in cui è ben visibile la forma circolare della bocca, armata con dentelli conici molto simili a quelli dei taxa odierni. La forma del corpo è più tozza e corta rispetto a quella delle lamprede attuali, e questo rappresenta un carattere primitivo rinvenuto anche in altre specie fossili.
La morfologia della bocca, già ben sviluppata come organo succhiatore, suggerisce che già nelle prime fasi della  loro storia evolutiva alcuni di questi animali erano parassiti.

 Priscomizon (Impronta e controimpronta)

Paleostoria dei Cyclostomi Parte 1: le paradossali missine fossili

Nell'ultimo post abbiamo visto quanto sia importante la conoscienza delle caratteristiche tafonomiche di un fossile per poter comprendere al meglio la sua anatomia.
In particolare, ho evidenziato come la conoscienza del grado e della velocità di decomposizione sia molto importante nello studio dell'evoluzione di quei gruppi che posseggono soprattutto caratteri anatomici provenienti da parti molli.
I vertebrati basali rientrano nella casistica, e soprattutto le prime fasi dell'evoluzione dei vertebrati non possono non essere interessate da queste osservazioni.

Perciò, entriamo in un passaggio obbligato quando dobbiamo parlare dei cyclostomi, che anche oggi posseggono pochi tessuti a prova di decomposizione (come abbiamo visto qui), soprattutto per quanto riguarda quelle caratteristiche anatomiche importanti per definire la loro appartenenza al gruppo.
In vari post precedenti abbiamo visto quanto l'evoluzione di questo gruppo sia ancora particolarmente oscura dal punto di vista filogenetico.
Nei prossimi post proverò invece a ricapitolare quanto si conosce dei cyclostomi dal punto di vista del record fossile.
Ho deciso di dividere il discorso in tre diversi post, uno (questo) riguardante le missine, uno (il prossimo) riguardante le lamprede, e l'ultimo invece dove parlerò di una serie di "pseudo-cyclostomi" fossili dalle ancor dubbie relazioni filogenetiche.

Il ritrovamento di fossili di lamprede e di missine risalenti al Carbonifero, induce a pensare che la separazione tra i due gruppi sia avvenuta almeno circa 320 - 360 milioni di anni fa. Tuttavia, dal momento che (come vedremo), sia le missine che le lamprede mostrano una morfologia molto conservativa, con i taxa fossili che somigliano molto a quelli attuali, non è improbabile che questa divergenza sia avvenuta anche molto prima, oltre 50 – 100 milioni di anni prima, forse a partire dall'Ordoviciano.
Particolare dello splendido olotipo di Myxinikela. Da Bardack 1991

Assenza di caratteri in un fossile: realtà o finzione?

Solitamente siamo abituati a pensare ai fossili come a resti pietrificati di parti dure di animali: ossa, denti o conchiglie. In effetti, le parti dure mineralizzate riescono a fossilizzarsi con maggiore facilità rispetto alle parti molli, come pelle, organi, branchie e muscoli.
Tuttavia, oggi al mondo almeno la metà degli animali sono a corpo molle, specialmente nel mondo degli invertebrati. E meno della metà (molto meno della metà) di questi animali a corpo molle potrebbe non avere la già fievole possibilità di fossilizzarsi.
Per quanto riguarda i fossili, dunque, conosciamo veramente pochi animali a corpo molle, soprattutto in proporzione a quelli con parti dure.

Quindi, capite  quanto sia difficile ricostruire quali animali a corpo molle abitavano gli ambienti del passato, e in particolare come sia veramente arduo ricostruire la loro storia evolutiva.
E questo riguarda anche le prime fasi della storia evolutiva dei vertebrati, una storia che inizialmente era priva di tessuto mineralizzato. Inoltre, molti dei gruppi vicini ai primi vertebrati, come cephalochordati e urochordati (ascidie e anfiossi), posseggono solo tessuti molli, così come le principali apomorfie di vari gruppi di vertebrati riguardano tessuti molli, caratteristiche embriologiche o strutturali (ad esempio,  ghiandole mammarie, sudoripare e peli nei mammiferi).











La sottile differenza tra un vertebrato con parti dure ben conservato (Gogonasus, un tetrapodomorpho, a destra) e un vertebrato a corpo molle abbastanza ben conservato (Mesomyzon, una lampreda cretacica, sopra).


Perciò, i resti fossili di vertebrati senza parti biomineralizzate, come quelli che abbiamo visto qui, sono estremamente importanti dal punto di vista evolutivo.
Senza i loro fossili non avremmo mai potuto ipotizzare alcuno scenario evolutivo riguardante la loro evoluzione, la sequenza di acquisizione delle caratteristiche tipiche dei vertebrati, dell’acquisizione delle mascelle o della divergenza dei cyclostomi, e il tempo in cui esse sono avvenute.
Tuttavia, il significato evolutivo di questi fossili dipende in maniera molto stretta dalla loro posizione nelle analisi filogenetiche, la quale deriva dal riconoscimento e dall’interpretazione delle caratteristiche anatomiche.  E spesso, riconoscere la corretta posizione filetica di un taxon (e quindi, inserirlo correttamente in un contesto evolutivo), è strettamente correlata alla corretta interpretazione delle sue caratteristiche anatomiche. 
Questo, però, potrebbe a volte risultare alquanto problematico…

How to (realy) build a vertebrate

La vita si evolve, la scienza si evolve, la conoscenza si evolve.
L'altro ieri (12 febbraio) era il Darwin Day e molte persone hanno voluto festeggiare il grande maestro con post su blog o commenti su facebook.
Io, ho passato l'ultima settimana a "evolvere" la mia conoscenza studiando molto (ho due esami della specialistica da dare, uno venerdì, l'altro settimana prossima) e dedicando ahimè poco tempo a voi e a questo blog. Ma lo studio, l'evoluzione della conoscenza, non è mai inutile.
E, come mio piccolo tributo personale a Darwin, oggi voglio redimermi e con le mie nuove conoscienze, con il mio stato di persona evoluta rispetto ad una condizione di scibile precedente, devo ritornare su un argomento che avevo trattato in precedenza e che necessità di una revisione.

Un paio di settimane fa avevo parlato del passaggio evolutivo da invertebrati e vertebrati, di come esso sia avvenuto presumibilmente per una duplicazione del codice genetico (in particolare avevamo visto cosa successe ai geni Hox) da invertebrati al primo vertebrato, e poi per successiva doppia duplicazione su fino agli gnathostomi.
Tutto ciò nasceva dalla constatazione (ovviamente non mia, nel senso, molti ci sono arrivati prima di me) che tra i vertebrati e gli invertebrati vi è talmente tanta disparità nell'organizzazione del corpo e nella complessità, che questa è spiegabile solo ipotizzando profonde modificazioni nel codice genetico.

Nel precedente post, che potete leggere qui, dicevo questo:

"Sharman e Holland, 1998, hanno provato a ipotizzare un possibile scenario per spiegare questa situazione.
Essi ipotizzano che sia avvenuta una prima duplicazione che ha portato dal singolo set di geni Hox dei cephalocordati a un doppio set di geni nell'antenato comune a cyclostomi e gnathostomi Successivamente, è avvenuta da una parte un'ulteriore duplicazione, che ha portato alla linea dei cyclostomi e al loro triplo set di geni, dall'altra è avvenuta una modificazione doppia (da 2 a 4) che ha portato ai quattro set di geni per gli gnathostomi, che si sono potuti poi radiare velocemente e in moltissime forme grazie anche a questa grandissima disponibilità genica."

Questa spiegazione, che, mi sembra di capire, per molti ha ancora senso, ipotizza che il passaggio dalla morfologia relativamente semplice degli invertebrati a quella complessa dei vertebrati sia avvenuta come una sorta di esplosione, un salto evolutivo di cruciale importanza dopo di cui l'evoluzione si trovò a poter procedere senza problemi verso le strade della complessità.
Fu un fenomeno geologicamente rapido, paragonabile per importanza alla cosidetta "esplosione cambriana": nulla fu più come prima e l'evoluzione dei cordati subì una sferzata incredibile.

 
Cladogramma dell'evoluzione dei geni Hox secondo la visione "tradizionale"

Tuttavia, già mentre scrivevo il post, mi ponevo domande a cui non riuscivo a trovare risposta, o meglio, le cui risposte erano in contrasto con questa visione delle cose.

La rivincita dei cyclostomi!

Il mio rapporto con lamprede e missine è sempre stato di neutrale indifferenza. Ho cominciato a conoscerle in dettaglio all'università, nei documentari e nei libri di zoologia. In quanto allevatore e studioso dei pesci, le ho sempre trattate con rispetto e viste con un leggero alone di mistero.
Ma, un pò per sentimenti miei, un pò forse a causa di quello che mi è sempre stato insegnato su questi due gruppi di animali, non ho mai pensato potessero essere particolarmente speciali.
Da circa un anno dedico la mia attenzione e i miei studi ai pesci fossili, in particolare agli "agnati" e, per mia fortuna, sto riscoprendo un mondo magico che nessuno fin'ora mi aveva insegnato.
Lamprede e missine (chiamate "affettuosamente" cyclostomi, o pesci dalla bocca circolare), sono molto più speciali di quanto avrei mai detto.
Eppure, ai più sembrano solo bizzarri animali con il corpo allungato e senza bocca, con disgustose abitudini parassite e poca attrattiva dal punto di vista scientifico (per non parlare di quello estetico – non sono di certo i soggetti più ricercati per i documentari-).

Credo che questo problema nasca da cosa viene sovente insegnato riguardo ai cyclostomi.
Spesso si pensa che l'evoluzione dei vertebrati sia una storia raccontata solo da spettacolari fossili, da passaggi evolutivi straordinari, da forme di vita complesse e meravigliose. Per tanto, cosa volete che siano due miseri gruppi di animali che strisciano (meglio, nuotano), non hanno la bocca e si nutrono di piccolissimi animali o sono parassiti?
Pensate che il buon Linneo nel 1758, anno della pubblicazione del suo Systema Naturae, classificò le missine come vermi intestinali e le lamprede come vertebrati degenerati. Non un bel giudizio, che diamine!
Ma il più grande problema è che gli scienziati non sono mai stati d'accordo sulla posizione filogenetica di questi due gruppi, e, quindi, sulla loro importanza dal punto di vista dello studio dell'evoluzione dei vertebrati.

La settimana scorsa ho partecipato ad un convegno, organizzato dall'Università degli Studi di Milano, sulla variabilità fenotipica e in particolare sui ciclidi (un gruppo di pesci d'acqua dolce molto plastici, con un numero spropositato di specie tutte filogeneticamente molto vicine) e sulle piante. In quell'occasione, ho avuto modo di provare (grazie anche al mio contributo) come siano lontane le metodologie e le idee di chi studia la filogenesi dei fossili e di chi invece si occupa dei viventi.
Il "problema cyclostomi" racchiude in se questa (a volte feroce) diatriba.

Coming soon: la rivincita dei cyclostomi!

Scusate se non ho ancora postato nessun nuovo post.
E' quasi pronto ma prima devo finire di leggere dei lavori.
Inoltre sto avendo una piacevole (e molto istruttiva) discussione con Philippe Janvier del Museo di Storia Naturale di Parigi (uno dei massimi esperti di agnati fossili, e non solo) e voglio finire di parlare con lui di alcune cose prima di affrontare i prossimi argomenti.
Perciò scusatemi; se tutto va come deve andare, entro un paio di giorni avrete il nuovo post (e un altro è in preparazione).
Vi anticipo che parleranno tutti e due dei cyclostomi e del loro ruolo nella nostra comprensione dell'evoluzione dei vertebrati.

Intanti, potete eventualmente rileggervi l' intervista che una lampreda e una missina avevano concesso tempo fa per questo blog.

A presto, su Paleostories!

Un gruppo di missine aspetta pazientemente di averne nuovamente il loro spazio su questo blog.

P.S. A causa di alcune news dell'ultimo minuto (per le mie conoscienze, ma che erano già nell'aria da un po), forse dovrò fare delle piccole correzioni al post "How to build a Vertebrate", quindi, se lo avete già letto, vi pregherei poi di rileggerlo. Scusatemi.

Intervista con... Missine e Lamprede


Da qualche post stiamo ripercorrendo le fasi che hanno portato gli animali ad acquisire i caratteri tipici dei vertebrati. Nel precedente post, abbiamo osservato da vicino il tessuto osseo, le sue funzioni, i suoi “affini” e abbiamo provato a ipotizzarne l’origine. 
Oggi, continuando il nostro cammino lungo l’evoluzione dei vertebrati, ho intervistato per voi una lampreda e una missina, che ci spiegheranno le loro caratteristiche principali, la loro storia, il loro significato evolutivo. Spero di avergli posto le domande giuste… 

B (blogger): Buon pomeriggio ad entrambe, è un onore avervi qui. Potete presentarvi ai nostri eventuali lettori?

M (missina): Ciao a tutti, il mio nome scientifico è Myxine glutinosa e rappresento qui un po’ tutto il mio gruppo, quello delle missine.
L (lampreda): Ciao a tutti quanti, mi chiamo Petromyzon marinus, più comunemente conosciuta come lampreda di mare, e sono qui a nome di tutte le mie compagne lamprede per farvi conoscere un po’ il nostro mondo. 

B: Dove vivete? 
M: Io sono distribuita più o meno in tutto l’Oceano Atlantico, ma il mio gruppo è presente anche negli altri mari del nostro pianeta. Amiamo acque fredde e siamo molto sensibili ai cambi di salinità, visto che non abbiamo un sistema di osmoregolazione. Siamo animali esclusivamente marini, ci piace vivere vicino al fondale, spesso infossati nel sedimento. Siamo particolarmente golose di invertebrati e di carne di animali in decomposizione. A discapito di quanto si dice in giro, non siamo parassiti, visto che, specialmente di sera, ci dilettiamo con passione nella caccia attiva alle nostre prede (piccoli invertebrati).

L: Noi lamprede siamo animali piuttosto diffusi sia in acqua dolce che in acqua salata. La maggior parte di noi vive nell’emisfero nord, con solo due generi che vivono sotto l’equatore. Siamo animali tendenzialmente di acqua dolce, dove ci riproduciamo e passiamo gran parte della nostra vita. Chi di noi vive in mare da adulto, vi migra una volta raggiunta l’età matura e poi ritorna nelle acque dolci quando si deve riprodurre. Io vivo nell’Oceano atlantico, nel Mar Mediterraneo e sono presente anche in alcuni dei grandi laghi nordamericani. Il nostro cibo preferito è il sangue dei pesci, che riusciamo a succhiare tramite la nostra particolarissima bocca. Non è però del tutto vero che siamo solo parassiti, visto che, se ci capita l’occasione, prediamo anche piccoli invertebrati acquatici.