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Visualizzazione post con etichetta Paleontologia. Mostra tutti i post
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Stem Group vs Crown Group: una questione non di poco conto (2.0)

Viste le visite che post molto vecchi continuano ad avere, ho deciso che è giusto siano aggiornati e fruibili anche per chi è nuovo al blog. Per questo, da ora in avanti alternerò post nuovi con repost di post vecchi (con nuovi aggiornamenti e immagini). Questo è il post più seguito dell'ultimo mese, nonchè argomento di cui mi è capitato spesso di parlare di recente. Quindi, eccovi qui la versione 2.0

Uno dei più grandi problemi della scienza, sia essa a livello accademico che divulgativo, è l'utilizzo di un linguaggio chiaro e comprensibile a tutti, che consenta di definire con una certa precisione l'argomento della discussione, senza che possano trovarsi equivoci.

Se questo problema è meno preponderante nel mondo accademico, dove esistono comunque definizioni, regole di nomenclatura, etc.. (anche se ciò non rende impossibile che vi siano incomprensioni a volte anche grottesche), nella divulgazione scientifica l'utilizzo di un linguaggio preciso è indispensabile per far capire di cosa si sta parlando. Serve a non creare falsi miti e idee sbagliate, che per sfortuna tendono sempre a diffondersi in maniera più rapida che non il vero.

Uno dei concetti che voglio ben fissare nelle nostre menti oggi è quello relativo alla differenza tra Stem Group (gruppo stelo, in italiano) e Crown Group (gruppo corona). Potrebbe sembrare una questione di poco conto, ma alla fine vedrete che ha invece un certo suo peso. Senza avere ben chiara questa differenza, spesso è difficile parlare dei rapporti filogenetici tra i vari gruppi di organismi, fossili e non.

Paleoneurologia: tra vecchie tradizioni e nuove realtà

Da un po’ di post stiamo parlando dell’anatomia interna dei fossili e di come lo studio di questa può aiutarci a ricavare preziose informazioni importanti riguardo l’ecologia, la filogenesi e l’evoluzione di alcuni gruppi. Abbiamo parlato dell’evoluzione del cervello, della morfologia degli archi branchiali, di nervi e muscoli.
Spero però che, leggendo queste cose, vi sia venuta in mente una domanda semplice quanto necessaria: ma com’è possibile sapere com’era fatto il cervello o l’arco branchiale di un animale che conosciamo solo come resto fossile? 
I tessuti molli, come il cervello, non dovrebbero essere molto rari da trovare fossilizzati?
Infatti è così, in quanto tessuto non mineralizzato, il cervello, così come i nervi, i vasi sanguigni, i muscoli, non si fossilizzano facilmente, tale che è quasi impossibile avere informazioni dirette della loro morfologia.
Tuttavia, vi sono altre strutture che possono essere utilizzate per studiare questi tessuti, e ciò riguarda le cavità, i canali, le cicatrici, che questi lasciano sulle ossa o al loro interno, come le cavità lasciate dal corso dei nervi all’interno dell’endocranio che, in vari casi, è ossificato e quindi si fossilizza.
In questo modo, osservando le tracce lasciate da questi tessuti all’interno delle ossa, è possibile ottenere un’idea riguardo la loro morfologia.
A questo punto però, possiamo porci un’altra domanda, più tecnica: ma come si studia “il dentro” di un fossile? Quali tecniche e in quali casi è possibile?
In questo post vedremo una breve panoramica delle tecniche utilizzate nello studio dell’anatomia interna dei fossili, in particolare della zona cranica, dei loro vantaggi e svantaggi, e di come queste siano cambiate nel tempo.

L'indimenticabile "Mostro di Tully"

Se c'è un altro campo che mi ha sempre affascinato fin da piccolo, oltre allo strano mondo del passato, è quello della geografia politica: stati, capitali, bandiere, mi piaceva imparare colori e forme dei vessilli degli stati del nostro mondo e giocavo con i miei genitori a indovinare questa o quella combinazione.
Con il senno di poi, mi sarebbe piaciuto imparare anche combinazioni differenti, per esempi l' albero ufficiale di tale stato, il suo inno nazionale, l'animale che lo rappresenta.
Ebbene si, molti stati  (non ho controllato abbastanza per sapere se tutti)  hanno i loro animali ufficiali, così come piante, canzoni e a volte fossili.
Ad esempio, la Bolivia come animale emblema della nazione possiede il lama, la Thailandia l'elefante, l'afghanistan ha il leopardo delle neve, l'Italia il lupo, e così via.
E, alcuni stati, soprattutto in Nord America, hanno anche il loro fossile ufficiale: per esempio, Basilosaurus per il Mississippi , Mammuthus per il Nebraska, Coelophysis per il New Mexico, etc...
Ma, a mia medesta opinione, lo "State Fossil" più bello di tutti appartiene all'Illinois: Tullimonstrum gregarium.

Ricostruzione tridimensionale di Tullimonstrum (Da www.museum.state.il.us)

Tinirau clackae: un nuovo tetrapodomorpho americano

Esco un pò dal discorso cyclostomi, che ormai riempi le pagine del mio blog da qualche mese, per segnalarvi una nuova pubblicazione (fresca fresca, uscita ieri), riguardante un nuovo tetrapodomorpho.
Oltre ai cyclostomi e alle prime fasi dell'evoluzione dei vertebrati, una delle mie grandi passione è sempre stata quella dello studio del passaggio da forme di vertebrati acquatici ai primi tetrapodi terrestri, quella che viene comunemente detta "transizione da pesci a tetrapodi". 
Ho dedicato ben tre post sulla questione (che potete leggere quiquiqui) ma senza addentrarmi mai nel dettaglio. Dovrei scrivere troppe cose e non ho il tempo necessario per trattare bene anche questo argomento. Chissà, magari in futuro....

Da ieri, grazie allo studio di Brian Swartz, conosciamo un altro piccolo pezzetto di questa entusiasmante storia.
Il nuovo animale si chiama Tinirau clackae ed è stato descritto sulla base di sei esemplari (più o meno articolati e tutti muniti di cranio) rinvenuti negli Stati Uniti, in particolare nel Nevada, in strati risalenti alla parte finale del Devoniano Medio
Il nome gerico deriva da quello di un dio polynesiano,signore dei mari, mezzo uomo e mezzo pesce. Il nome specifico è in onore di Jennifer Clack, per il suo contributo nello studio dei tetrapodomorphi basali.

Ricostruzione di Tinirau clackae. Da Swartz 2012.
Ancora una volta, si tratta dei resti di un animale completamente acquatico, proveniente da strati deposti in ambiente marino (vi sono alcuni crinoidi, animali francamenti marini), anche se probabilmente in una zona di acqua non particolarmente alta e più o meno vicina alla costa.
Dal punto di vista anatomico, Tinirau presenta un mix di caratteri di vari gruppi, confermando quanto nei tetrapodomorphi basali vi siano numerosi casi di convergenze evolutive, parallelismi e commistione di caratteristiche, forse proprio dettate da ambienti di vita simili.
Inoltre, benchè mantenga in qualche modo una "forma da pesce" e non presenti ancora dita, la struttura delle sue pinne sembra presentare già quei caratteri (soprattutto nella struttura della scapola e delle ossa pelviche) che poi si ritroveranno nei tetrapodomorphi muniti di dita, a conferma che l'acquisizione di questi caratteri (arti e dita) è avvenuta in ambiente acquatico e (man mano che sopraggiungono nuove scoperte, come questa) in rami più primitivi all'interno del total group tetrapodi.

Anche Tinirau, per chi ancora non ne fosse convinto, ha dato una mano a demolire il mito secondo cui gli arti dei tetrapodi si sarebbero evoluti PER sbarcare sulla terraferma.
Ma questa è un'altra storia (che in parte ho già trattato)...

P.S. Nella prossima puntata, tornerò invece a parlare dei primi vertebrati, e scopriremo qualcosa su come potrebbe essersi evoluta la capacità di vedere i colori.

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Bibliografia:
- B. Swartz 2012
A Marine Stem-Tetrapod from Western North America.  PLoS ONE 7(3): e33683

Paleostoria dei Cyclostomi Parte 2: le immutabili lamprede

Rispetto a quello delle missine, costituito per ora solamente da tre taxa (vedere qui), il record fossile delle lamprede è leggermente più ampio.
Inoltre, esso presenta un salto temporale minore, visto che, a differenza di quanto accade per le missine, in cui tra il fossile più recente e i taxa di oggi vi è un periodo di oltre 300 milioni di anni,  per le lamprede il salto è di “soli” 125 milioni di anni.
Le più antiche però risalgono comunque al Paleozoico, tale che anche delle lamprede possiamo osservare come fosse la morfologia più o meno agli inizi della loro storia evolutiva.

Il più antico fossile di lampreda è riferibile a Priscomyzon riniensis (Gess et al., 2006), rinvenuto in strati del Sud Africa databili a circa 360 milioni di anni fa (Devoniano superiore).
Si tratta di un fossile straordinario, un esemplare in vista ventrale con un'anatomia molto ben conservata in cui è ben visibile la forma circolare della bocca, armata con dentelli conici molto simili a quelli dei taxa odierni. La forma del corpo è più tozza e corta rispetto a quella delle lamprede attuali, e questo rappresenta un carattere primitivo rinvenuto anche in altre specie fossili.
La morfologia della bocca, già ben sviluppata come organo succhiatore, suggerisce che già nelle prime fasi della  loro storia evolutiva alcuni di questi animali erano parassiti.

 Priscomizon (Impronta e controimpronta)

PaleoItalia: scoperti i resti di un probabile rettile marino in Romagna

Esco un pò dal coro dei miei argomenti per darvi un'anteprima di una nuova e importante scoperta avvenuta sul nostro territorio.
Di solito le notizie di questo tipo fanno molto scalpore e ho già letto qualche articolo di giornale in merito, ma volevo dare anche io il mio contributo.

Dal punto di vista dei fossili l'Italia è un paese abbastanza ricco (più di quanto si sappia in giro) e noi italiani abbiamo una lunga tradizione nello studio dei fossili, tale che in alcuni campi (come per esempio per la micropaleontologia e la paleontologia dei pesci)  siamo ancora considerati i migliori.

Per questo, mi piace segnalarvi anche qui la scoperta di un nuovo fossile di un (probabilmente) grosso rettile marino rinvenuto in valmarecchia, in provincia di Rimini (Emilia Romagna).

Il fossile proviene da una cava di argilla varicolori, risalente al Cretaceo Superiore, e rappresenta il cranio di un rettile marino forse lungo oltre 10 metri, inglobato in un blocco di circa 60 kilogrammi.
A trovarlo è stato un cercatore locale, tale sign. Giordani, che poi lo ha segnalato alle autorità competenti.

So che se ne sta occupando Federico Fanti dell'Università di Bologna, insiema a Loris Bagli di Riccione. Siamo quindi in buone mani.

Speriamo presto in nuove notizie

Assenza di caratteri in un fossile: realtà o finzione?

Solitamente siamo abituati a pensare ai fossili come a resti pietrificati di parti dure di animali: ossa, denti o conchiglie. In effetti, le parti dure mineralizzate riescono a fossilizzarsi con maggiore facilità rispetto alle parti molli, come pelle, organi, branchie e muscoli.
Tuttavia, oggi al mondo almeno la metà degli animali sono a corpo molle, specialmente nel mondo degli invertebrati. E meno della metà (molto meno della metà) di questi animali a corpo molle potrebbe non avere la già fievole possibilità di fossilizzarsi.
Per quanto riguarda i fossili, dunque, conosciamo veramente pochi animali a corpo molle, soprattutto in proporzione a quelli con parti dure.

Quindi, capite  quanto sia difficile ricostruire quali animali a corpo molle abitavano gli ambienti del passato, e in particolare come sia veramente arduo ricostruire la loro storia evolutiva.
E questo riguarda anche le prime fasi della storia evolutiva dei vertebrati, una storia che inizialmente era priva di tessuto mineralizzato. Inoltre, molti dei gruppi vicini ai primi vertebrati, come cephalochordati e urochordati (ascidie e anfiossi), posseggono solo tessuti molli, così come le principali apomorfie di vari gruppi di vertebrati riguardano tessuti molli, caratteristiche embriologiche o strutturali (ad esempio,  ghiandole mammarie, sudoripare e peli nei mammiferi).











La sottile differenza tra un vertebrato con parti dure ben conservato (Gogonasus, un tetrapodomorpho, a destra) e un vertebrato a corpo molle abbastanza ben conservato (Mesomyzon, una lampreda cretacica, sopra).


Perciò, i resti fossili di vertebrati senza parti biomineralizzate, come quelli che abbiamo visto qui, sono estremamente importanti dal punto di vista evolutivo.
Senza i loro fossili non avremmo mai potuto ipotizzare alcuno scenario evolutivo riguardante la loro evoluzione, la sequenza di acquisizione delle caratteristiche tipiche dei vertebrati, dell’acquisizione delle mascelle o della divergenza dei cyclostomi, e il tempo in cui esse sono avvenute.
Tuttavia, il significato evolutivo di questi fossili dipende in maniera molto stretta dalla loro posizione nelle analisi filogenetiche, la quale deriva dal riconoscimento e dall’interpretazione delle caratteristiche anatomiche.  E spesso, riconoscere la corretta posizione filetica di un taxon (e quindi, inserirlo correttamente in un contesto evolutivo), è strettamente correlata alla corretta interpretazione delle sue caratteristiche anatomiche. 
Questo, però, potrebbe a volte risultare alquanto problematico…

Agnato è bello!

Quando si guarda alla vita sulla Terra nel passato, spesso ci si trova davanti a forme assolutamente bizzarre e peculiari. A volta, alcune di queste forme non hanno un corrispettivo attuale, presentano pochissime similitudini con gli animali che conosciamo oggi e, per tali ragioni, ci paiono quasi fuori contesto, come se fossero aberranti esperimenti dell’evoluzione.
Il gruppo di animali di cui inizierò a parlare oggi, rientra sicuramente in questa categoria.

Nella nostra simpatica intervista a lamprede e missine abbiamo conosciuto gli unici due gruppi di vertebrati attuali che non presentano una bocca, e che sembrano perciò così diversi quindi da tutti gli altri vertebrati viventi.
Questa caratteristica è così distintiva che, guardando al presente, tutti gli altri vertebrati sono raggruppati in un gruppo monofiletico Gnathostomata, caratterizzato appunto dalla presenza di una bocca vera e propria, formata da mascella e mandibola. Se guardassimo solo i taxa attuali, considereremmo quindi lamprede e missine come “esperimenti” della natura, come se inizialmente avesse provato questa soluzione (una testa con una bocca circolare, senza mandibole) e poi, accortasi della relativa scomodità di questa via, avesse virato invece sulle mandibole, favorendo poi la biodiversità “mandibolata” e relegando lamprede e missine a casi isolati.
E invece, se andiamo nel record fossile, ci accorgiamo che esiste tutta una serie di “pesci” senza mandibole (i così detti Agnati, dal greco gnathos, per mandibole, e con alfa privativa davanti) fossili, alcuni con delle forme assolutamente strane, che durante buona parte del Paleozoico medio spopolavano ed erano organismi abbastanza di successo. Non più un esperimento andato a male quindi, ma una vera e propria radiazione adattativa.

Circa 400 milioni di anni fa, nel Devoniano, la situazione era completamente differente rispetto ad oggi: vi erano presenti numerose specie di agnati, delle più disparate forme, e le proporzioni tra pesci con e senza mascelle erano molto diverse rispetto ad oggi, con gli agnati che costituivano molto più della metà dei pesci esistenti, mentre gli gnathostomi erano ancora relativamente pochi.

Buona parte di essi possedevano, oltre ad una bocca senza mascelle, anche una serie di piastre dermiche molto dure, che ricoprivano il loro scheletro, tale da formare una sorta di corazza dermica. Fino a qualche tempo fa, tutte queste forme venivano riunite nel grande gruppo degli Ostracodermi, proprio sulla base di questa caratteristica. Attualmente però , tale gruppo è considerato parafiletico, soprattutto in base alle divergenze morfologiche dei loro rivestimenti dermici e ad altre caratteristiche, soprattutto craniali.

Nonostante un mondo dominato da pesci senza mandibole, corazzati, spesso lenti e in vari casi senza pinne, dove la nutrizione era attuata soprattutto per filtrazione o per abbuffata di detriti, possa sembrare assai poco movimentato e interessante,  gli agnati furono i pesci più abbondanti della Terra per quasi cento milioni di anni, sia in mare che in acque dolci, essendo comparsi all’incirca 480 milioni di anni fa, nell’Ordoviciano inferiore, ed essendo durati fino alla fine del Devoniano, circa 370 milioni di anni fa.

E in tutto questo periodo, svilupparono una serie di morfologie veramente straordinarie, un risultato che non potrà non affascinarvi, così come ha affascianto me (e che ora occupa buona parte dei miei studi paleontologici).

In questa serie di post, ci addentreremo dunque nel magico mondo degli ostracodermi.

I tesori di Chengjiang (again!) e l'origine dei vertebrati

Nell'ultimo posto abbiamo incontrato gli incredibili chordati basali della località cinese di Chengjiang.
Ebbene, anche oggi dobbiamo nuovamente parlare di questo straordinario sito, che dal momento della sua scoperta ha rappresentato qualcosa di veramente importante per quanto riguarda la paleontologia e la conoscenza dell’evoluzione e della storia della vita sulla Terra.
Se dovessimo esaminare la filogenesi dei vertebrati senza tener conto degli esemplari fossili, giungeremmo alla conclusione che i più primitivi vertebrati odierni sono rappresentati da lamprede e missine, i così detti Agnati o “pesci senza mascelle”.
Entrambi questi gruppi di “pesci” non possiedono una bocca formata da mascelle, ma semplicemente da un apertura circolare uniforme, dotata di dentelli. Le missine, inoltre,  non possiedono neanche un vero e proprio scheletro, dal momento che solo nel loro cranio è presente una struttura scheletrica formata da cartilagine. Nelle lamprede invece, vi è un vero e proprio scheletro, formato da cartilagine.
Una lampreda (in alto) e una missina (in basso)
Missine e lamprede possiedono una conformazione veramente diversa rispetto agli altri pesci, tale che alcuni studiosi hanno ipotizzato che essi possano rappresentare un gruppo a se stante rispetto ai Vertebrata.
Tuttavia, oggi è indiscusso che essi rappresentano, tra gli animali viventi, uno dei gruppi più basali all'interno di Vertebrata (MA leggere qui!).
Per scoprire effettivamente quali relazioni intercorrono tra i vertebrati e per indagare sulla loro origine però, dobbiamo esaminare tutti i taxa noti, indipendentemente dal tempo e in funzione della comparazione dei caratteri.
Dunque è necessario fare un tuffo nel passato e vedere che informazioni possediamo grazie all’attuale record fossile.

I tesori di Chengjiang e l'origine della corda

Nello scorso post abbiamo conosciuto ascidie e anfiossi, i più famosi rappresentati di  Urochordata e Cephalochordata.  Questi due gruppi rappresentano i più stretti parenti dei vertebrati, di cui stiamo cercando di ripercorrere la storia evolutiva.
Come ho detto l’altra volta, è fondamentale conoscere i rapporti filogenetici tra Vertebrata e i suoi gruppi affini, proprio per poter tentare di ricostruire come doveva essere il primo vertebrato.
Le relazioni tra Urochordata, Cephalochordata e Vertebrata sono un argomento che per lungo tempo ha infuocato le discussioni tra biologi molecolari ed evoluzionisti. Molti studi sono stati proposti nel corso degli anni, sia su basi morfologiche (ossia, studiando i tre gruppi attraverso le caratteristiche morfologiche che condividono) sia su basi molecolari (analizzando le loro somiglianze genetiche). Attualmente recenti studi (Delsuc et al., 2006 e Delsuc et al., 2008), basati sia su analisi molecolare che morfologiche e approvati dalla maggioranza degli studiosi, affermano che Urochordata rappresenta il gruppo più vicino a Vertebrata, con Cephalochordata posto in posizione più basale.
Diciamo quindi che noi siamo più parenti delle ascidie che non dell'anfiosso.

Quindi, per cercare le caratteristiche che il primo (ideale) vertebrato doveva avere, dobbiamo guardare alle caratteristiche delle larve di ascidia e dell'anfiosso? Forse, ma non è quello di cui parlerò oggi.
Oggi, faremo un ulteriore passo indietro. Indietro fino a cercare di far luce sull’origine dei chordati.
Appurato quali sono i chordati più primitivi attuali, ossia le ascidie, andiamo a vedere quali informazioni possono essere ricavati dallo studio del record fossile. 

Nozioni Fondamentali di PaleoStories Parte 4: Jackpot di oggi? Fossilizzarsi!

Lo so, è molto che non posto sul blog e ho infranto il mio buon proposito "almeno un post a settimana". Potete sgridarmi perchè lo merito. Potrei stare qui a raccontarvi i come e i perché della mia assenza (unica citazione, un fantastico soggiorno a Bruxelles), ma probabilmente ciò non interesserebbe a nessuno.
Ora però, è il momento di riprendere questo blog, possibilmente per acquisire una frequenza maggiore.
Il tema di oggi, che rientra nelle nozioni fondamentali di Paleostories (per l’ultima volta, promesso), riguarda quello straordinario e rarissimo processo biogeologico che prende il nome di Fossilizzazione.

Generalmente, vengono considerati fossili tutti i resti pietrificati di organismi vissuti nel passato (o meglio, in un periodo di tempo abbastanza passato da poter essere morti, sepolti e fossilizzati) e eventualmente anche qualsiasi tipo di traccia che lasci presupporre la loro esistenza (impronte, resti di escrementi, tracce di abitazione, di pasto, uova, depositi secreti, etc.). Un fossile quindi rappresenta qualcosa che un tempo era vivo (o collegato alla vita) e che, per motivi del tutto straordinari, si è conservato sotto forma di roccia.
Per un organismo vivente, diventare un fossile non è assolutamente una cosa semplice. 
Questo perché il destino inesorabile di quasi tutta (circa il 99,9%) la materia organica presente al mondo è di decomporsi fino a scomparire. Alla morte di un organismo, le cellule e la materia organica che compongono il suo corpo vengono utilizzate da altri organismi (decompositori, predatori) come fonte di sostentamento o prelevate da qualche altro sistema. In natura, niente dura per sempre e tutto viene riciclato. Può far male, ma è così.
Anche qual’ora faceste parte di quello 0,01% scampato all’azione della decomposizione, le vostre probabilità di fossilizzarvi sarebbero in ogni caso molto esigue.

Riducendo tutto all’osso, si potrebbe dire che fossilizzarsi richiede molta, molta fortuna: bisogna morire nel luogo giusto (o esservi trasportati), essere sepolti nel tempo e nel modo giusto, e, infine, avere la fortuna di scampare a tutti i processi distruttivi che incombono sugli strati rocciosi del pianeta, compreso quello in cui, per fortune precedenti, siete capitati.
Solamente il 15% delle rocce può preservare fossili. Le rocce ignee, di provenienza magmatica, ovviamente non favoriscono la conservazione di alcuna materia organica, così come quelle metamorfiche (forse ancora peggiori). Per fossilizzarsi, è necessario capitare in rocce abbastanza compatte e sicure da permettere ai vostri resti di evitare la decomposizione e di trasformarsi, tramite ad esempio sostituzioni chimiche, in materiale minerale, in modo da creare una copia rocciosa dell’originale.
In seguito i vostri cari sedimenti, custodi di quello che rimane di voi (già pietrificato), devono piegarsi, contorcersi, pressarsi, senza che voi perdiate la vostra forma e veniate spezzati, rotti o sbriciolati dalla forza di questi processi.
E infine, se volete un po’ di notorietà (e non esservi fossilizzati, diciamo, “per niente”), dovreste avere la grandissima fortuna (forse ancora più grandi di tutte quelle avute precedentemente) di essere rinvenuti da una qualche persona e dichiarati oggetto di interesse scientifico, evitando cestinaggio o sonno a tempo indeterminato in qualche cassetto di museo.
Come vedete (e ho spiegato le cose molto semplicemente), fossilizzarsi non è assolutamente una cosa semplice. Un fossile, di conseguenza, è qualcosa di veramente raro. 
Se nella vostra vita avrete l’occasione di prendere in mano un fossile, indipendentemente dalla sua età, pensate che state tenendo in mano i resti di un essere vivente che ha avuto più fortuna di quanta ne avreste voi in caso di vincita della lotteria ogni anno. Ovviamente, dovete moltiplicare il tutto per parecchi milioni di anni.

Proprio per questo, conosciamo veramente poco della vita del passato e delle sue incredibili forme. Quasi tutti gli organismi vissuti sulla Terra fino a questo momento non hanno lasciato nessuna traccia di se. E di quelli che lo hanno fatto, ben pochi sono stati scoperti, grazie al lavoro (spesso poco sostenuto da chi di dovere per poter operare su larga scala) dei paleontologi.
Si ritiene che meno di una specie su 10.000 abbia lasciato tracce fossili. Il messaggio è chiaro: ciò che possediamo non è che un assaggio di tutta la vita sviluppatasi sulla Terra. Inoltre, spesso possediamo solo pochi resti di alcuni animali (alcuni taxa fossili, per esempio, sono descritti sulla base di poche ossa, o di poche scaglie, o di tracce indirette di attività). E, per farci ancora più male, circa il 95% delle oltre 250.000 specie fossili fin’ora conosciute appartengono ad organismi vissuti nel mare, in modo da distorcere pericolosamente il nostro quadro della vita sulla Terra.

Per concludere, pensiamo un istante a questa frase: "quell’osso ha circa 150 milioni di anni”.
Bene, riusciamo a quantificare 150 milioni di anni fa?
Uno come me, che non si ricorda cosa ha mangiato due giorni fa a colazione, trova terribilmente lontano quel tempo.
Eppure, tutti i fossili del mondo appartengono ad un passato molto più remoto di quanto possiamo immaginare. 
Molto più della durata della nostra vita. A volte sembrano lontani i romani, gli egizi, i sumeri. Eppure, gli antichi geroglifici egizi, datati a 5.000 anni fa (più o meno), sono 30.000 volte più recenti del nostro caro osso. La profondità del tempo sta alla base della ricerca paleontologica seria, che implica l’assenza di speculazioni avventate su cose che nessuno di noi potrà mai verificare ( come ad esempio quanta carne mangiava un Tyrannosaurus al giorno, o quanta distanza percorreva in un anno un trilobite, o se era più forte tizio o caio, e altre fantasiose domande da programma televisivo).
È vero, molte delle successive paleostorie saranno ipotesi riguardanti eventi avvenuti nel passato. 
Un passato in cui nessuno potrà tornare indietro. Ma un passato documentato dai fossili.

Perciò, diamo un po’ di onore a chi ha avuto la fortuna di fossilizzarsi.
Grazie ai fossili oggi possiamo conoscere qualche (seppur misero) aspetto della vita sul passato.
E, in modo razionale, rigoroso e coscienzioso, cercare di analizzarne gli aspetti e tentare di capire come sono andate le cose.

Ora siamo pronti a partite.
Arrivederci alla prima PaleoStoria.