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Visualizzazione post con etichetta Paleoitalia. Mostra tutti i post
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C'era una volta in Italia: il Carbonifero Sardo

Nel precedente post vi avevo parlato dei bellissimi fossili di vegetali del Carbonifero trovati in Val Sanagra. Avevamo visto come questa parte d'Italia era abitata da un gran numero di specie di piante, appartenenti a diversi gruppi sistematici, e che già in quel periodo era presente una certa varietà, anche dal punto di vista degli habitat e delle associazioni vegetazionali.
Il Carbonifero però, oltre che essere ricordato come uno dei periodi più floridi per quanto riguarda il regno vegetale, è molto più famoso, soprattutto al grande pubblico, per essere stato abitato da artropodi di dimensioni ben superiori rispetto a quelle a cui siamo abituati oggi.
I due taxa più famosi sono senza dubbio la grande libellula Meganeura, con apertura alare fino a 65 centimetri, e il miriapode Arthropleura, che con i suoi 2 metri di lunghezza (in alcuni esemplari) risulta essere l'invertebrato terrestre più grande di cui si conosce per ora esistenza.
E, ebbene si, sto per raccontarvi come anche in Italia sono stati trovati i resti di una di queste due star del Carbonifero.















Meganeura (alto) e Arthropleura (destra)


C'era una volta in Italia: il Carbonifero della Val Sanagra

Nel post precedente vi avevo accompagnato in un viaggio.
Eravamo immersi in una splendida foresta tropicale, con strani alberi, tanta umidità e un caldo soffocante.
Avevamo viaggiato in una tipica foresta del Carbonifero. Non una foresta qualunque, una foresta realmente esistita, in Italia, circa 310 milioni di anni, e ben documentata dai fossili.
Riprendendo dunque la mia serie sulla storia d'Italia raccontata dai fossili, parlerò di un importante sito, recentemente ridescritto (Josef Pšenicka et al., 2013), risalente al Carbonifero e localizzato nel Nord Italia, più precisamente in Val Sanagra.

La Val Sanagra è un una valle di origine glaciale, formatasi durante la glaciazione pleistocenica, che si trova in Lombardia, in provincia di Como, tra il lago di Lugano e il lago di Como, ad est di quest'ultimo.
La zona è molto ricca di fossili, non solo per quanto riguarda il Carbonifero ma anche per altri periodi, soprattutto il Triassico (magari ne parlerò in futuro).



Nel Carbonifero, questa zona faceva parte di una grande pianura alluvionale, probabilmente periodicamente sommersa e con una serie di canali collegati ad un lago, abitata da un vasto numero di piante e probabilmente, anche se non sono stati ritrovati fossili, di animali.
I primi fossili della Val Sanagra sono stati descritti nel 1946 da Magnani, ma essi consistevano solamente in alcune impronte di Calamites, Sigillaria e Lepidodendron.
Un anno dopo, Venzo e Maglia (1947) pubblicano invece la prima ampia descrizione della flora della Val Sanagra, descrivendo oltre 2000 fossili classificati in 22 generi e 75 specie.
Nonostante siano passati anni, la flora della Val Sangra, per la sua grande varietà di specie, ricopre ancora un ruolo importante nella nostra conoscienza dell'ecologia del Carbonifero in Europa, tanto da essere rivista e ridescritta in un recente studio (Josef Pšenicka et al., 2011), apparso sulla rivista Review of Palaeobotany and Palynology.

C'era una volta in Italia: La Carnia e il Devoniano che verrà

Il Devoniano è famoso per essere stato uno dei periodi più floridi da quando la vita è apparsa sul nostro pianeta.
Se avete mai visto un disegno o un diorama rappresentate un ambiente marino devoniano, vi saranno sicuramente rimasti impressi gli enormi placodermi corazzati, o i bizzarri squali con le spine, oi primi paesaggi dominati dalle foreste.
Ho parlato in vari post di animali del Devoniano, che per quanto riguarda i vertebrati fu davvero un perido importante, in cui si verificò, per esempio, l'estinzione di gran parte degli "agnati",  la radiazione dei condritti e la comparsa dei tetrapodi.

Ma, come ho tentato di farvi vedere nei precedenti post, non c'è bisogno di fare chissà quale viaggio verso mete lontane per vedere strati e fossili di questi momenti remoti.
Anche in Italia, spero non abbiate mai avuto dubbio alcuno, esistono strati del Devoniano.

Splendido disegno di un paesaggio subacqueo devoniano. By Julius Csotonyi

Romeosaurus, un nuovo mosasauro dall'Italia

Paleonews italica fresca fresca!

Palci et al., (2013) descrivono due nuove specie di mosauri sulla base di cinque esemplari rinvenuti sulle montagne a Nord di Verona.
Gli esemplari sono in buono stato di conservazione e il loro studio ha permesso di descriverli nel dettaglio, riscontrando vari caratteri distintivi (come ad esempio l'estensione della sutura tra mascellare e premascellare circa sopra la posizione del terzo dente) tale da permettere di distinguerli da tutti gli altri mosasauri noti, e istituire un nuovo genere e due nuove specie, Romeosaurus fumanensis e Romaeosaurus sorbinii.

Ricostruzione del cranio di Russellosaurus. Disegno da http://dinomaniac.deviantart.com/
I resti provengono da depositi marini risalenti al Cretaceo superiore, in particolare all'interno tra Turoniano inferiore - Santoniano inferiore, circa 92 - 85 milioni di anni fa.
Oltre ad aggiungere due nuovi taxa al record fossile mosasauroide, la scoperta di Romaeosaurus è risultata importante dal punto di vista filogenetico. Le analisi di Palci et al., hanno evidenziato come Romaeosaurus cada in posizione affine a Russellosaurus,  un mosasauro del Turoniano del Nord America. Inoltre, essi risultano affini a Yaguarasaurus, un mosasauro primitivo della Colombia, sempre Turoniano.
In base alle loro analisi, Palci et al. istituiscono un nuovo clade di mosasauri, Yaguarasaurinae, includente dai tre generi sopra detti, rappresentante un gruppo di mosasauroidi, più vicini a generi come Plioplatecarpus e Tylosaurus che non a Mosasaurinae, differenziatosi nelle prime fasi della storia di questi bizzarri rettili marini.

Tylosaurus
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Bibliografia: 

- Palci, A., Caldwell, M. & Papazzoni, C. 2013 
A new genus and subfamily of mosasaurs from the Upper Cretaceous of northern Italy. Journal of Vertebrate Paleontology 33(3): 599-612

C'era una volta in Italia: nenia silurica

C'è un qualcosa di misterioso nel Siluriano.
Questo periodo, infilato tra un grande evento di estinzione di massa e uno dei più floridi periodi del Paleozoico (il Devoniano), viene sistematicamente snobbato dalla divulgazione scientifica popolare, come se nel Siluriano non fosse successo niente..
E' vero, guardando a livello globale gli affioramenti siluriani non sono così comuni come quelli di altri periodi, soprattutto per quanto riguarda alcuni ambienti (ad esempio i depositi marginali costieri o estuarini), anche se abbiamo zone in cui esso affiora con grande estensione (ad esempio in Gran Bretagna). 
Se poi consideriamo che il Siluriano è durato solo 20 milioni di anni circa (fino al Cenozoico, nessun periodo dura così poco), la faccenda si fa molto triste.
Eppure nel Siluriano sono successe tante cose, le prime piante terrestri hanno cominciato timidamente ad espandersi, gli artropodi hanno colonizzato la terraferma, vari gruppi di vertebrati hanno subito un momento di radiazione significativo.
Ma tutto questo sembra non bastare per far avere al Siluriano lo spazio che si merita nella letteratura popolare...

Disegno di una possibile scena di vita in un mare del siluriano. Da http://www.karencarr.com
Questa premessa/lamento introduce il tema del post di oggi, che, riprendendo la serie iniziata tre post fa, introduce alcuni dei più importanti siti paleontologici italiani.
Esatto, sto dicendo che, nonostante tutto, anche in Italia abbiamo un pò (giusto un pò) di Siluriano.

C'era una volta in Italia: l'Ordoviciano della Carnia


Chi legge assiduamente questo blog, avrà capito che l’Ordoviciano è sicuramente il mio periodo geologico preferito.
Durante questa fase della storia della Terra, si sono verificati importantissimi avvenimenti a livello biologico, come la G.O.B.E., la radiazione di molti gruppi di vertebrati marini, e infine una delle più grandi estinzioni di massa che il nostro pianeta ricordi.
Fin’ora, quando abbiamo parlato delle faune ordoviciane, abbiamo sempre guardato in zone del mondo lontane dal mio paese, l’Italia. Abbiamo in particolare visto i bellissimi arandaspidi del Gondwana, gli astraspidi americani, i più cosmopoliti heterostraci, e altri gruppi.
L’Italia, ahimé, almeno fin ora non ha restituito alcun resto, neppure frammentato, di un qualche vertebrato ordoviciano (se si escludono i conodonti, la cui identità sistematica è ancora tutta da verificare). Ma, ciò non significa che anche nel nostro bel paese non vi siano affioramenti che possono raccontarci la storia dell’Italia durante l’Ordoviciano.
Come sempre quando si va molto indietro nel tempo, ciò che sappiamo di questo periodo, almeno riguardante la nostra storia, è un qualcosa di molto frammentato.
I siti ordoviciani italiani sono pochi, ma non per questo poco interessanti.
Esso affiora con buona estensione in due zone oggi piuttosto diverse tra loro, a livello paesaggistico: nelle maestose montagne del Friuli, e nei brulli rilievi della Sardegna.
Della Sardegna abbiamo già parlato precedentemente, essendo essa l’unica zona d’Italia in cui sono state studiate rocce pre-ordoviciane (Precambriano e Cambriano), dunque, questa volta ci concentreremo maggiormente sul Friuli.

C'era una volta in Italia: nel Cambriano, ancora in Sardegna

Questo post è indissolubilmente associato a questo e, sebbene possa essere letto anche da solo, è vivamente consigliato di prendere visione anche del suo post fratello.

La Sardegna oggi è senza dubbio uno delle più famose mete turistiche estive d'Italia, per il suo bel mare, le sue spiaggie ampie e in generale per il paesaggio brullo, naturalistico e molto avventuriero. Ma, come in molti altri casi, spesso il paesaggio di fronte a cui ci meravigliamo nasconde (in questo caso sotto i nostri piedi) altre e forse ancor più meravigliose storie, difficili da vedere quanto belle da scoprire. A livello geologico, la Sardegna forse è uno dei casi più emblematici: voi, o turisti che affollate le coste sarde tutti presi dalla voglia vacanziera di sole e mare, lo sapete che state camminando sullo scrigno che contiene le rocce più antiche d'Italia?

Ebbene si,
come abbiamo visto già lo scorso post, la nostra isolona presenta tracce di antichissimi fondali marini depositati parecchi milioni di anni fa, già a partire dalla fine del Precambriano. 
Chi ama il mare non resterebbe deluso all'arrivo di un ipotetico viaggio nel tempo  nel Cambriano sardo: durante questo periodo, la Sardegna era completamente ricoperta dall'acqua, facendo parte di una porzione del margine settentrionale di Gondwana, in zona dal clima abbastanza caldo, con un fondale sabbioso argilloso.

Il Cambriano sardo è piuttosto ben conosciuto e studiato da anni, grazie anche all'estrema potenza di alcuni dei suoi affioramenti, come quelli che si trovano nella zona del Sulcis, nell'Iglesiente e in generale nella zona centro - meridionale dell'isola (Barca &Spano, 2008).
La base del Cambriano è documentata da depositi silicoclastici, con arenarie, argille e livelli calcarei depositati in ambiente marino, probabilmente proveniente dall'erosione subarea di Gondwana, che riversava lungo i margini abbondanti quantità di sedimenti.

C'era una volta in Italia: il Precambriano sardo

Quando si parla di fossili spesso si sentono nomi di località esotiche, posti lontani e misteriosi. A volte sembra che la paleontologia esista solo all'estero, in Cina, in Argentina, negli Stati Uniti. Eppure, anche la nostra cara Italia ha una storia geologica e biologica antichissima, e le tracce di questa storia sono giunte sino a noi più frequentemente di quanto pensiamo.
Per continuare con la filosofia di Paleostories, il cui scopo primario è dare un pò di spazio a quegli argomenti paleontologici che sono spesso ingiustamente messi da parte, ho intenzione di iniziare una serie di post che ripercorrano la storia della vita sulla Terra in base al record fossile italiano.
Intervallerò i post con altri di argomento vario (in base a quello che mi viene in mente, nuove scoperte, riflessioni, etc..). 
Viaggeremo nel tempo per scoprire che bene o male quasi tutti i periodi della storia della vita, dal Precambriano all'Olocene, sono rappresentati da fossili trovati entro i nostri confini.
E così, quando qualcuno vi chiederà le bellezze del nostro paese, forse vi ricorderete di qualche post e avrete qualcosa in più da poter raccontare.

Il nostro viaggio comincia circa 600 milioni di anni fa, verso la fine del Precambriano, Sardegna.
Le più antiche rocce attualmente conosciute provengono da neanche così rare zone dell'isola sarda, in particolare nella sua parte sud est- sud ovest, e in zona settentrionali come la Gallura e l'Asinara.
La loro attribuzione alla parte finale del Precambriano non è così sicura, ma recenti lavori hanno comunque portato dati a supporto di questa datazione (De Muro et al., 2009).
Come è noto, questo periodo della storia della Terra è molto poco conosciuto, per cui, anche se di dubbia datazione e senza un numero di fossili così cospicuo, ritengo che almeno sapere dell'esistenza di depositi prepaleozoici in Italia sia un must per tutti quelli che vogliono avere coscienza della storia geo-paleontologica del nostro paese.

Paleostoria dei Cyclostomi Parte 3: il "nudo" Euphanerops e l'atavismo

Questo è l’ultimo post della serie sulla storia dei cyclostomi. 
Nei precedenti abbiamo visto come il record fossile di questo gruppo sia piuttosto ristretto e presenti problemi cronologici, con un gap tra la più recente missina fossile e i rappresentanti attuali del gruppo di oltre 300 milioni di anni, gap un po’ ridotto per le lamprede (di circa 130 milioni di anni), ma comunque problematico. Non si sa perché ma nessuno ha mai descritto lamprede cenozoiche o missine dal carbonifero in poi, eppure, non dovevano essere animali così rari. 
Non è improbabile che le flebili tracce di questi animali siano state trascurate o non riconosciute dai paleontologi che studiano il mesozoico e il cenozoico (come suggerito da Janvier, 2008).

Negli scorsi post (qui e qui), ricapitolando, abbiamo osservato come già a partire dall’inizio della loro storia evolutiva, vi siano notevoli differenze tra lamprede e missine, poiché i cyclostomi mostrano un alto grado di conservazione morfologica, con forme che sono cambiate molto poco nel tempo. Il tempo di divergenza per i due gruppi è stato calcolato a circa 400 – 450 milioni di anni, e sappiamo che già a partire da circa 300 milioni di anni fa i due gruppo erano piuttosto diversi.
Nell’ultimo post ho concluso dicendo che è problematico come non vi sia alcuna forma intermedia tra questi due gruppi, nessun cyclostomo che non sia nè una missina nè una lampreda, importante per poter ipotizzare quali fossero le caratteristiche probabili dell’antenato comune del gruppo. Inoltre, spesso mi sono domandato quale fosse la relazione tra i ciclostomi e gli gnathostomi, se vi fossero forme che potessero aiutare a ricostruire com’erano i vertebrati appena prima della divergenza di questi due gruppi.
Oggi, in questo ultimo post della serie, cercherò di rispondere a queste domande.

PaleoItalia: scoperti i resti di un probabile rettile marino in Romagna

Esco un pò dal coro dei miei argomenti per darvi un'anteprima di una nuova e importante scoperta avvenuta sul nostro territorio.
Di solito le notizie di questo tipo fanno molto scalpore e ho già letto qualche articolo di giornale in merito, ma volevo dare anche io il mio contributo.

Dal punto di vista dei fossili l'Italia è un paese abbastanza ricco (più di quanto si sappia in giro) e noi italiani abbiamo una lunga tradizione nello studio dei fossili, tale che in alcuni campi (come per esempio per la micropaleontologia e la paleontologia dei pesci)  siamo ancora considerati i migliori.

Per questo, mi piace segnalarvi anche qui la scoperta di un nuovo fossile di un (probabilmente) grosso rettile marino rinvenuto in valmarecchia, in provincia di Rimini (Emilia Romagna).

Il fossile proviene da una cava di argilla varicolori, risalente al Cretaceo Superiore, e rappresenta il cranio di un rettile marino forse lungo oltre 10 metri, inglobato in un blocco di circa 60 kilogrammi.
A trovarlo è stato un cercatore locale, tale sign. Giordani, che poi lo ha segnalato alle autorità competenti.

So che se ne sta occupando Federico Fanti dell'Università di Bologna, insiema a Loris Bagli di Riccione. Siamo quindi in buone mani.

Speriamo presto in nuove notizie