Dalla mancanza di dati dal
passato e spesso purtroppo anche da una lettura superficiale del presente, derivano
alcune concezioni e pregiudizi erronei che come le specie invasive si protraggono
velocemente e sono difficili da estirpare(es. qui). Uno di questi riguarda la natura primitiva degli squali,
oggigiorno accreditati come fossili viventi in relazione al loro essere poco
cambiati rispetto a quello che dovrebbe essere la condizione primitiva, originaria,
dei vertebrati (vedere qui).
A ben vedere, questa
concezione è già per sé erronea anche senza scoprire alcun fossile.
Essendo Chondrichthyes sister-group di Osteichthyes, nessuno dei due può essere più
primitivo dell’altro in quanto si originano entrambi dallo stesso nodo. E’ però
vero che a volte alcuni taxa (in questo caso, gruppi) possono conservare più
caratteristiche presenti nell’antenato comune rispetto ad altri, ma non per
questo il gruppo in se è primitivo, poiché ogni taxa ha delle sue
caratteristiche specifiche, evolute, derivate, che lo rendono diverso da ogni
altro.
Abbiamo visto in passato
come la nostra concezione sulla primitività degli squali sia stata notevolmente
messa in discussione da record fossile, che ha mostrato come, ad esempio, essi
possiedano uno scheletro cartilagineo non perché retaggio della condizione
primitiva degli gnathostomi ma come modificazione secondaria e specifica (in
pratica essi hanno perso tessuto osseo da un antenato con scheletro osseo). Numerosi fossili hanno evidenziato come, dal punto di vista del materiale che
compone lo scheletro, sono i pesci ossei (e anche noi, quindi) ad aver
mantenuto la condizione iniziale presente nell’antenato comune di crown
Gnathostomata, e non i condritti, che invece ne hanno sviluppata una loro.
Un ulteriore colpo al mito
della primitività dei condritti è stato dato pochi giorni fa dalla descrizione
di Ozarcus mapesae, un nuovo stem condritto proveniente dal Carbonifero Inferiore dell’Arkansas
(U.S.A.), pubblicata su Nature da Alan Pradel e colleghi (2014).
Gli esemplari noti
consistono in quattro resti cranici, in particolare per quanto riguarda
il
neurocranio e gli archi branchiali. Essi sono stati studiati tramite
tomografie computerizzate (CT scan) in modo da ricostruirne in dettaglio
l'anatomia interna.