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Visualizzazione post con etichetta Anatomia comparata. Mostra tutti i post
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Microbrachius e la ricerca del nuovo. Parte 2: organi riproduttivi fossili e la complessità della copulazione

Second post della mini serie su Microbrachius e sulle modalità di fertilizzazione dei vertebrati. 
Nello scorso post abbiamo visto quali sono i diversi modi in cui avviene la copula e la fecondazione nei vari gruppi di vertebrati attuali. Per ricapitolare, abbiamo notato come la fecondazione esterna sia presente nella maggior parte dei vertebrati acquatici (cyclostomi, quasi tutti i teleostei e moltissimi anfibi), mentre sulla terraferma, anche a causa della presenza di guscio solito, è preferita la fecondazione interna, utilizzata da rettili, uccelli e mammiferi. A questo si aggiungono varie eccezioni, con alcuni osteitti (celacanti, alcuni teleostei), pochi anfibi e tutti i condritti, che possiedono fecondazione interna per evoluzione adattativa (convergenza).
Con queste basi, abbiamo giustificato l’ipotesi storica che vede la feconda interna come un prodotto derivato dalla fecondazione esterna, ritenuta condizione primitiva per i vertebrati. Abbiamo però sottolineato come la presenza di fecondazione interna in gruppi di vertebrati non filogeneticamente legati tra di loro (con l’utilizzo di organi diversi a seconda del gruppo), rappresenta un segnale importante che permette di ipotizzare come l’acquisizione di questo tratto, per necessità adattative, sia possibile e non così raro.
Con queste premesse, oggi andiamo a vedere quali indicazioni ci fornisce invece il record fossile per quanto riguarda le modalità di riproduzione dei vertebrati, in particolare di quei gruppi oggi estinti ma fondamentali per ricostruire la storia evolutiva degli gnathostomi, come ad esempio agnati fossili e placodermi.

Le Cronache di Placodermata (CpD). Episodio 3: gli antiarchi

Da questo e per i prossimi 7 post ci addentreremo nella sistematica per conoscere un i vari gruppi di placodermi dal punto di vista anatomico e ecologico. Cercherò di non scendere troppo nei dettagli  pur cercando di essere specifico.  Questi post mi servono soprattutto per dare una visione d'insieme dei vari gruppi di placodermi e soprattutto fornirvi tavole e immagini che possano essere riutilizzate anche in seguito, quando molti dei taxa e dei sottogruppi di cui parlerò in questi post saranno affrontati con maggiore completezza.
Oggi cominciamo con gli antiarchi, uno tra i gruppi più famosi di placodermi ma di cui recentemente abbiamo scoperto come molte cose che pensavamo di sapere sulla loro ecologia e anatomia erano poco corrette.

Gli antiarchi erano placodermi di piccole dimensioni, di solito lungo circa una ventina di centimetri, con le forme più grandi che raramente raggiungono il metro. Sono caratterizzati da una struttura particolare della zona cefalica, che possiede un’apertura centrale in cui erano posizionati gli occhi, le narici e l'organo pineale. Inoltre, a differenza di molti altri placodermi, l’armatura cefalica è molto più piccola di quella toracica, a livello di proporzioni, a volte anche molto meno della metà.
La bocca non possiede le piastre superognathali, ma gli inferognathali si chiudono su una piastra suborbitale con un margine tagliente, a dare comunque un morso efficac.
Peculiare è anche la presenza di due piastre mediane nella zona toracica. Altra caratteristica distintiva riguarda le loro pinne pettorali, racchiuse da tessuto osseo in una sorta di corazza rigida a protezione delle pinne. In alcuni antiarchi queste erano avvolte da diverse piastre a formare una struttura unica e forse rigida, simile ad una sorta di remo, in altri invece la corazza delle pinne pettorali era segmentata, dando forse più mobilità.


Corazza dermica di Bothriolepis in visione dorsale con evidenziate le caratteristiche destintive degli antiarchi (Modificata da Denison 1978)

Gli antiarchi furono un gruppo diffusissimo, che si sviluppò probabilmente intorno al Siluriano medio-superiore, diventando molto abbondanti a partire dal Devoniano inferiore per poi estinguersi, come tutti i placodermi, alla fine del Devoniano superiore, nel momento della loro massima espansione.

Le Cronache di Placodermata (CdP). Episodio 2: anatomia "generale" di un placoderma (se così si può dire)

Secondo episodio del nostro viaggio all'interno del mondo dei placodermi. Oggi parleremo un pò dell'anatomia generale di questi animali, continuando il nostro antipasto anatomico in attesa delle portate principali.
Come abbiamo visto nello scorso post, una delle caratteristiche più distintive dei placodermi è la presenza di grosse piastre ossee che formano un’armatura cefalica e una toracica.
In alcuni gruppi (artrodiri, antiarchi, petalichthyidi e ptyctodontidi) queste due area sono articolate in modo tale da aumentare la mobilità dell’armatura cefalica. Questa mobilità è legata anche alla presenza di uno spazio, detto nuchal gap (appunto, spazio nucale), che separa lo scudo cefalico da quello toracico e che permette al primo di piegarsi, occupando in parte lo spazio nucale, e, ad esempio, aumentare l'apertura della bocca.
L’articolazione solitamente è formata dalla piastra paranuchale (la piastra più posteriore dell’armatura cefalica) e la piastra dorsolaterale anteriore (nella porzione anteriore dell’armatura toracica). In molti casi si possono osservare dei condili che segnalano il punto di attacco tra le due pistre.
La disposizione e la morfologia delle piastre della zona cefalica e toracica sono diverse a seconda dei vari gruppi di placodermi e sono uno dei caratteri più utilizzati per quanto riguarda la sistematica e la filogenesi di questi animali, insieme alle morfologia dei tubercoli delle piastre e al percorso dei canali sensoriali del sistema della linea laterale.

Anatomia generale di un placoderma, con in evidenza i termini usati nel post. Modificata da Long 2011

Piccolo Atlante di Anatomia di Gnathostomata: i nervi cranici

Dopo un’assenza forzata di due settimane (scusate ma ho avuto degli impegni che mi hanno costretto a mettere il blog in secondo piano) riprende la nostra rubrica del Piccolo Atlante di Anatomia di Gnathostomata.
Oggi andremo ad analizzare una parte anatomica di cui si sente parlare poco nel mondo paleontologico, ma che in alcuni casi può risultare importante nello studio dell’evoluzione e delle relazioni filogenetiche di alcuni gruppi, come ad esempio gli stem gnatostomi.
Il post di oggi è dedicato ai nervi cranici, una parte del sistema nervoso periferico strettamente legata al cervello e alla trasmissione degli stimoli verso le varie parti del corpo, così come la ricezione di messaggi da parte di quest’ultimo. 

Per prima cosa, è bene capire come è possibile studiare i nervi cranici in animali estinti.
Essi infatti, essendo tessuti molli, sono molto sensibili al processo di decomposizione e la loro preservazione allo stato fossile e al limite dell'imposibile. 
Tuttavia, durante il loro corso essi passano attraverso le ossa del cranio lasciando dei canali nelle ossa e/o uscendo da esso lasciando delle cavità (foramina).
Grazie a questo, avendo a disposizione dei crani conservati in tre dimensioni con ottime condizioni di fossilizzazione e utilizzando le tecniche che abbiamo visto nel post dedicato allo studio paleoneurologico, oggi è possibile analizzare la posizione e il passaggio dei nervi all’interno del neurocranio di diversi vertebrati fossili, stem gnatostomi compresi.
Esistono poi della area del cranio, come la cavità oculare e otica, che possono essere usate come guida per individuare alcuni nervi cranici.
Ad esempio, il nervo ottico (II), oculomotore (III) e trocleare (IV) passano attraverso l’orbita lasciando delle cavità. Nell’orecchio, il nervo acustico (VIII) entra nella cavità del labirinto, con i nervi trigemino (V), adbucente (VI) e facciale (VII) che passano davanti ad esso, e i nervi glossofaringeo (IX) e vago (X) passano sotto o dietro ad esso. Individuando quindi nel fossile queste aree del neurocranio, se esso ben conservato, è possibile riuscire a ricavare la posizione (e se si è molto fortunati il loro corso) di vari nervi cranici.

Regione optica del neurocranio di Cobelodus con in evidenza alcuni dei nervi cranici associati all'orbita (Modificata da Maisey 2007)

Bisogna però fare attenzione: lo studio dei nervi cranici nei vari gruppi di animali può essere preso come esempio di come a volte non è possibile utilizzare l’anatomia comparata in maniera indiscriminata per ricostruire l’anatomia interna degli animali del passato.
Se infatti, come abbiamo visto in precedenza, il cervello mantiene una sua morfologia più o meno costante, con le cinque divisioni sempre nello stesso ordine, in tutti i vertebrati, dalle missine all’uomo, i nervi cranici invece differiscono in posizione e numero a seconda dei vari gruppi.
Una prima importante distinzione risiede nel numero di nervi cranici: gli amnioti, uomo compreso, ne presentano ben tredici, mentre tutti i vertebrati non tetrapodi e gli anfibi ne possiedono undici.
Negli amnioti infatti sono presi due paia di nervi addizionali, il nervo IX (nervo accessorio) e il nervo XII (nervo ipoglosso), originati dai primi due paia di nervi spinali.
Mi è capitato recentemente di parlare di nervi cranici con un medico e non riuscire bene a comprenderci date le notevoli differenze tra il sistema nervoso delle lamprede e quello dell’uomo.
Altre importanti differenze risiedono nel percorso di alcuni nervi cranici, ad esempio se un particolare nervo esce nella parte anteriore o posteriore dell’orbita. Queste differenze, seppur possano sembrare marginali, a volte sono fondamentali dal punto di vista anatomico e filogenetico.
In questo post ci concentreremo sui nervi cranici dei vertebrati non amnioti e vedremo alcuni esempi di come possiamo utilizzare i dati forniti dal loro studio per affinare le nostre conoscienze delle prime fasi dell'evoluzione dei vertebrati.

Ozarcus e la morte dei fossili viventi.

Nel blog ho parlato spesso di come la nostra visione dell’evoluzione della vita sulla Terra sia distorta dalla nostra tendenza a considerare troppo le poche cose che oggi vediamo intorno a noi, ossia gli esseri attualmente viventi, e troppo poco le infinite forme di vita che non ci sono più (es. qui). Lo studio dell’evoluzione dovrebbe invece cercare di tirar fuori il massimo dalle informazioni che, per nostra grande fortuna, a volte possiamo ricavare dall’osservazione dei resti degli esseri viventi del passato, attraverso i fossili. Questo perché, ricordiamolo sempre, l’evoluzione è legata a modificazioni che avvengono nel tempo.
Dalla mancanza di dati dal passato e spesso purtroppo anche da una lettura superficiale del presente, derivano alcune concezioni e pregiudizi erronei che come le specie invasive si protraggono velocemente e sono difficili da estirpare(es. qui). Uno di questi  riguarda la natura primitiva degli squali, oggigiorno accreditati come fossili viventi in relazione al loro essere poco cambiati rispetto a quello che dovrebbe essere la condizione primitiva, originaria, dei vertebrati (vedere qui).
A ben vedere, questa concezione è già per sé erronea anche senza scoprire alcun fossile. 
Essendo Chondrichthyes sister-group di Osteichthyes, nessuno dei due può essere più primitivo dell’altro in quanto si originano entrambi dallo stesso nodo. E’ però vero che a volte alcuni taxa (in questo caso, gruppi) possono conservare più caratteristiche presenti nell’antenato comune rispetto ad altri, ma non per questo il gruppo in se è primitivo, poiché ogni taxa ha delle sue caratteristiche specifiche, evolute, derivate, che lo rendono diverso da ogni altro.
Abbiamo visto in passato come la nostra concezione sulla primitività degli squali sia stata notevolmente messa in discussione da record fossile, che ha mostrato come, ad esempio, essi possiedano uno scheletro cartilagineo non perché retaggio della condizione primitiva degli gnathostomi ma come modificazione secondaria e specifica (in pratica essi hanno perso tessuto osseo da un antenato con scheletro osseo). Numerosi fossili hanno evidenziato come, dal punto di vista del materiale che compone lo scheletro, sono i pesci ossei (e anche noi, quindi) ad aver mantenuto la condizione iniziale presente nell’antenato comune di crown Gnathostomata, e non i condritti, che invece ne hanno sviluppata una loro.
Un ulteriore colpo al mito della primitività dei condritti è stato dato pochi giorni fa dalla descrizione di Ozarcus mapesae, un nuovo stem condritto proveniente dal Carbonifero Inferiore dell’Arkansas (U.S.A.), pubblicata su Nature da Alan Pradel e colleghi (2014).  
Gli esemplari noti consistono in quattro resti cranici, in particolare per quanto riguarda il neurocranio e gli archi branchiali. Essi sono stati studiati tramite tomografie computerizzate (CT scan) in modo da ricostruirne in dettaglio l'anatomia interna.

Ozarcus mapesae. Foto dell'olotipo AMNH FF 20544 (alto sinistra), e ricostruzione 3D dopo scansione digitale del fossile (alto destra), del neurocranio con archi (basso sinistra) e dei soli archi branchiali (basso destra). Da Pradel et al., 2014

Piccolo Atlante di Anatomia Gnathostomata: il cervello dei vertebrati, panoramica ed evoluzione

Il cervello è una delle strutture più complesse e affascinanti dell’anatomia degli animali. Da esso dipendono la maggior parte delle azioni svolte sia per quanto riguarda i meccanismi fisiologici che il comportamento.
L’anatomia del cervello e del sistema nervoso dei vertebrati viventi è ben conosciuta sia nella sua morfologia generale sia nel funzionamento dei diversi elementi di questo incredibile sistema.
Tuttavia, nonostante la nostra conoscenza sull’anatomia di questa parte del corpo sia in continua crescita, sappiamo ancora poco riguardo la sua evoluzione nella storia dei vertebrati, in particolare quali cambiamenti sono occorsi e quando, e come lo studio del sistema nervoso dei può aiutarci nel ricostruire non solo la storia del cervello ma anche le relazioni filogenetiche tra i vertebrati fossili e viventi.
Questa è l'idea di fondo di questo post, in cui cercherò brevemente di descrivere le varie parti del cervello e a cosa servono, concentrandomi sulle aree su cui è possibile dire qualcosa riguardo quello che sappiamo della loro natura nelle forme fossili.

Nonostante il sistema nervoso dei vertebrati sia frutto dell’unione di diversi elementi, come ad esempio nervi cranici, organi sensoriali, ghiandole, vasi sanguigni, numerosi studi hanno dimostrato come la sua struttura generale sia abbastanza conservativa e cambi abbastanza lentamente, in modo tale che in tutti i vertebrati possiamo distinguere le varie parti con relativa facilità, giacché la loro posizione non cambia in modo radicale (es. Northcutt 2002; Saveliev 2008). Per esempio, le divisioni del cervello, pur con dimensioni diverse, si trovano nella stessa sequenza praticamente in tutti i vertebrati.

Il cervello dei vertebrati è diviso in cinque regioni principali, ognuna specializzata in una o più funzioni diverse. Troviamo, in ordine, il telencefalo, il diencefalo, il mesencefalo, il metencefalo e il mielencefalo.

Visione dorsale del cervello di un condritto. Modificato da Janvier, 1996

Piccolo Atlante di Anatomia Gnathostomata: il neurocranio, origine e caratteristiche generali

Cominciamo ad addentrarci un po’ di più nell’anatomia scheletrica degli gnatostomi.
La maggior parte dei prossimi post saranno dedicati all’anatomia craniale, in particola del neurocranio e del sistema nervoso centrale.
Questo perché, nonostante gli gnatostomi, sia fossili sia viventi, siano piuttosto differenti per quanto riguarda la morfologia esterna, tutti possiedono un neurocranio con alcune caratteristiche simili, date dal fatto che questa parte dello scheletro interno è abbastanza conservativa, o comunque presenta delle aree specifiche che si trovano di solito nella stessa posizione e dunque possono essere facilmente comparate.
Recentemente sono stati pubblicati numerosi studi riguardanti l’anatomia craniale degli stem gnatostomi (es. Maisey 2007; Brazeau, 2009; Pradel, 2010; Gai et al., 2011; Davis et al. 2012; Dupret et al., 2014), grazie anche all’utilizzo di tecniche “nuove” come tomografie computerizzate, modelli 3d e programmi di grafica, che hanno fornito informazioni importantissime riguardanti le caratteristiche dell’anatomia interna degli gnatostomi fossili, caratteristiche che possono essere utilizzate per inferire non solo la morfologia dei taxa ma anche le relazioni tra essi.
Nei prossimi post dunque vedremo cos’è il neurocranio, come si forma, da che parti è composto e come e cosa cambia nei vari gruppi di vertebrati. In particolare, cercheremo di cogliere similitudini e differenze in modo da poter proporre ipotesi sulla condizione primitiva degli gnatostomi e sull’evoluzione della loro anatomia interna.

Posizione del neurocranio all'interno della testa di un tonno.

Il dizionario di Paleostories: Ectoderma, Mesoderma, Endoderma e lo sviluppo embrionale

Questo post de “Il Dizionario di Paleostories” è un ibrido tra il breve, classico, post di definizioni e un più lungo post di paleostories.
Oggi parliamo di tre termini che ho usato nell’ultimo post dell’atlante di anatomia gnathostomata, ectoderma, mesoderma e endoderma. Ma per farlo, appunto, farò il giro un po’ più largo, cominciando dall’inizio vero e proprio della formazione di un organismo.

Attenzione: il post è stato corretto grazie all'intervento del lettore "Michelangelo", che ringrazio. Se dunque qualcuno ha letto il post prima del 12/03/2014 potrebbe trovare delle differente. Questa è la versione aggionata dopo le correzioni.

La vita di quasi tutti gli animali presenti sulla terra (a parte gli asessuati) comincia con la fertilizzazione della cellula uovo (l’ovulo, il contributo femminile) da parte della cellula spermatica (contributo maschile).
Queste cellule, aploidi (ossia, che possiedono una copia del codice genetico di chi le produce) si uniscono portando alla formazione della prima cellula del nostro nuovo animale, lo zigote, una singola cellula diploide (ossia, che ha una copia del cromosoma della madre più una copia del cromosoma del padre).
Successivamente, lo zigote inizia a moltiplicarsi, senza differenziazione cellulare, fino al raggiungimento di circa 128 cellule. In questa fase è come se la “fabbrica zigote” si prepari, aumentando il numero dei suoi “operai”, per quella che sarà poi la fase operativa in cui le cellule verranno differenziate e separate in compartimenti per la produzione di specifici tessuti.

Una volta arrivato al numero necessario, lo zigote si trasforma in modo tale che si forma uno strato esterno di cellule (il blastoderma) che circonda uno spazio (blastocele), che può essere vuoto, rimepito dal tuorlo o da una soluzione salina, o assente. In questa fase lo zigote è detto blastula e il processo blastulazione.


A questo punto, alcune cellule dello strato esterno della blastula migrano all’interno del blastocele e si differenziano in diversi strati, uno più esterno, l’ectoderma, uno più interno, l’endoderma, e uno strato in mezzo, mesoderma, i protagonisti del nostro post. Questo processo si chiama gastrulazione e il risultato finale (cellula differenziata in strati) è detto gastrula.
Da notare che non tutti gli animali posseggono una gastrula con tre strati: le spugne posseggono infatti un solo strato, cnidari e ctenofori (meduse, polipi, idre) posseggono solo ectoderma e endoderma, mentre il medoserma è presente in tutti gli altri animali. Quando la gastrula possiede tutti e tre gli strati si dice che è tropiblastica, altrimenti diblastica se ne possiede solo due.


Piccolo Atlante di Anatomia Gnathostomata: Endoscheletro e Esoscheletro.

I vertebrati sono solitamente presentati come gli animali che possiedono uno scheletro interno, cartilagineo o di vero tessuto osseo.
Ciò è vero, poiché tutti i vertebrati, ciclostomi inclusi, possiedono del materiale più o meno rigido all’interno del corpo, con funzione di sostegno. Tuttavia questa è una caratteristica dei cordati e non solo dei vertebrati, perché anche l’anfiosso possiede una sorta di scheletro cartilagineo interno con funzione di sostegno, la notocorda.
Ciò che distingue invece i vertebrati dagli altri animali dotati di un sostegno interno è il possesso del cranio, di tessuto mineralizzato a protezione del cervello e degli organi di senso della regione cefalica.

Apparato scheletrico di missine (alto), lamprede (centro) e condritti (basso). In blu il tessuto cartilagineo, in verde la notocorda, in giallo il tipico tessuto fibroso che avvolge il cervello e la notocorda, tipico delle missine
E’ vero, se escludiamo le missine, gli altri vertebrati hanno uno scheletro con vertebre ben definite e una rigidità maggiore rispetto a quella dell’anfiosso, ma siccome le missine si sono dimostrate vertebrate a tutti gli effetti (vedi qui), ritengo sia giusto porre maggiormente l’attenzione sul cranio, che poi è la vera caratteristica che fa la differenza nello sviluppo dei vertebrati.
Lo scheletro (cranio + serie dorsale + cinti + scheletro appendicolare) è la parte più importante dei vertebrati per chi studi quelli fossili, visto che nella maggioranza dei casi è la sola cosa che rimane nel processo di fossilizzazione.
Siccome lo scopo di questa serie è aiutarci a capire come possiamo studiare l’evoluzione dei vertebrati e degli gnatostomi attraverso lo studio dei fossili, riconoscere le varie parti dello scheletro è a dir poco fondamentale.
Oggi però non voglio parlare delle singole parti che compongono lo scheletro, ma del materiale che rende questa struttura anatomica così particolare.

Piccolo Atlante di Anatomia di Gnathostomata: Cyclostomata vs Gnathostomata

Cos'è uno gnatostomo? Cosa non lo è? Come si distingue uno gnatostomo da un non gnatostomo?
Questa è, ovviamente, la domanda da cui partire per affrontare il nostro viaggio nelle profondità dell'anatomia e della storia evolutiva degli gnatostomi.
La risposta è complessissima, perché tra gli gnatostomi attuali e i loro parenti viventi più prossimi, i ciclostomi, c'è tutta una serie di forme, come abbiamo visto qui, di cui ancora non conosciamo a pieno posizione filogenetica, ecologia, morfologia, etc.
Dunque, dire qual è la condizione primitiva del primo gnatostomo rispetto ai ciclostomi, ossia nel punto di divergenza, è pressoché impossibile. Ma ci proveremo, analizzando il record fossile.

Per prima cosa però, proviamo ad analizzare i vertebrati attuali e vediamo cosa distingue gli gnatostomi di oggi (condritti e osteitti, compresi di tetrapodi) dai ciclostomi.

La prima evidente caratteristica è la presenza, negli gnatostomi, di un apparato buccale formato da mascelle e mandibole, che funzionano come una forbice sul piano verticale. I ciclostomi possiedono una bocca circolare senza alcuna divisione tra mascelle e mandibole. Dunque, tutti gli gnatostomi attuali possiedono una bocca. Essa può essere ridotta, modificata, ma mai assente. Possono essere assenti invece i denti, la cui conformazione è spesso diversissima a secondo del ruolo dell'animale all'interno della catena alimentare.

Differenze nella bocca e nel naso tra ciclostomi e gnatostomi. en=narici esterne. mo= bocca uj=mascelle superiori lj=mandibola
Altra caratteristica, magari meno evidente, è la presenza di sacche nasali pari.

Piccolo Atlante di Anatomia di Gnathostomata: Introduzione

Come parte integrante del mio nuovo progetto di dottorato, sto approfondendo alcuni aspetti dell'anatomia (soprattutto craniale) dei vertebrati fossili, con lo scopo di indagare alcune questioni che riguardano la filogenesi e l'evoluzione di alcuni gruppi, in particolare stem gnathostomi paleozoici.

Nello studio dell'evoluzione delle strutture anatomiche di un gruppo di essere viventi, è molto importante conoscere non solo i dettagli, ma anche l'aspetto generale, il contesto ecologico e filogenetico, il confronto con le caratteristiche degli altri gruppi.
Perciò, ho pensato può essere utile utilizzare il blog per parlare un pò di quello che sto facendo, in modo che serva sia a me come modo per riepilogare e allenarmi con la scrittura, sia a qualche lettore appassionato di paleontologia e anatomia comparata, come spazio di approfondimento.

Ho deciso quindi di iniziare una nuova serie di post che tratteranno dell'anatomia, prima generica poi eventualmente più specifica, dell'anatomia degli gnathostomi, viventi e fossili.
L'ho voluto chiamare Piccolo Atlante di Antomia di Gnathostomata (PAAG) perchè vorrei che alla fine ne risultasse una sorta di piccolo vademecum di alcuni (principalmente scheletrici) aspetti della morfologia dei vertebrati.
Non tutti i vertebrati, ovviamente, non finirei più, ma in particolare degli gnathostomi non tetrapodi, principalmente fossili.

Ma in questo primo post, non voglio parlare della loro anatomia, bensì del perchè è importante studiarli.



Entelognathus in the sky with diamonds

Chi di voi non conosce la romantica storia di Lucy, il primo fossile scoperto di Australopithecus?
Piccolo riassunto: nel 1974, in Etiopia, una squadra di paleoantropologi stava scavando in cerca di resti di ominidi ascolta i Beatles. Ormai la band si era sciolta da un paio di anni, ma le loro canzoni era ancora (e lo sarebbero rimaste ancora per moltissimo tempo) rieccheggianti nelle menti dei numerossimi fan.
Ad un certo punto, mentre ascoltavano la canzone Lucy in the sky with diamonds, la squadra trova lo scheletro, parzialmente completo, di quello che sarebbe diventato poi uno dei fossili più famosi del mondo. I paleoantropologi non potevano credere ai loro occhi: davanti a loro lo scheletro di una femmina, alta circa 1 metro, di una creatura ancora somigliante ad una scimmia ma con palesi caratteri che la legavano all'uomo, soprattutto nella zona della mandibola e del bacino.
Lo avevano trovato,"l'anello mancante".
Chiamarono il loro esemplare Lucy, in onore della canzone che stavano ascoltando.
Fu una grande giorno per la paleontologia mondiale, un giorno un pò meno felice per chi, da quel giorno, si ossessionò agli "anelli mancanti", ma questo è un altro discorso.

Perché ho parlato di Lucy?
Be, perchè il fossile di cui vi parlerò è stato definito da alcuni paleontologi  come la "Lucy" dell'evoluzione dei primi vertebrati, il fossile che da tempo i paleontologi che studiano l'origine delle mascelle e degli gnathostomi stavano aspettando (ma è veramente così?).
Questo fossile:

Particolare del fossile di Entelognathus. Da Zhu et al., 2013

Ma per comprendere meglio perchè questo fossile è importante, devo fare un pò il giro largo.

Oggi la nostra visione del regno animale è piuttosto distorta a causa delle molte forme estinte che non vediamo (se non in rari casi attraverso i fossili). 
Un esempio classico riguarda gli gnatostomi, di cui oggi possiamo osservare solo alcuni gruppi. 
Nella loro ripartizione classica, gli gnatostomi moderni si possono dividere in pesci cartilagine, o Chondrichthyes (squali, razze, chimere) e pesci ossei, o Osteichthyes (attinopterigi, dipnoi, celacanti e tetrapodi). 


L'intorno di Vertebrata così come ci appare oggi guardando solo le forme esistenti. Immagine autoprodotta.

La camaleontica mano di Struthiomimus

Finiti i mille impegni estivi, sono quasi pronto a ripartire con le nostre paleostories.
Questa estate avevo pubblicato un mini paleoquiz.
Scusa se ci ho messo più tempo del previsto, dovevo prima verificare alcune cose.
La domanda era: cos'hanno in comune il teropode cretaceo Struthiomimus e un odierno camaleonte?
















Il titolo svela in parte la risposta. La struttura che accomuna i due animali è la mano e, aggiungo ora, la conformazione del cinto pettorale.