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How to build a vertebrate

Qualche tempo fa, esattamente qui, abbiamo visto come la presenza dei geni Hox sia fondamentale per la costruzione del corpo degli animali. I geni Hox fanno si che il corpo si sviluppi secondo un certo piano corporeo, che tutte le sue parti “vengano posizionate” nella giusta locazione, e che l'organismo si sviluppi secondo un certo ordine prestabilito.
Modifiche nei geni Hox creano profonde modificazioni corporee.
Dall'origine della vita di un organismo (quindi, dal momento di fecondazione della cellula uovo) e durante tutto il suo sviluppo embrionale, essi giocano un ruolo fondamentale nel modellamento della morfologia del prodotto finale (l'individuo).

Lo studio dell'importanza di questi geni nel passaggio evolutivo da invertebrati a vertebrati, ha portato a nuove emozionanti ipotesi.
Tuttavia, il non poter lavorare con i geni del passato (essi non si fossilizzano), fa si che la questione sia ancora ampiamente dibattuta e tutt'altro che risolta.
Gli invertebrati posseggono un singolo set di geni Hox (in numero variabile a seconda dei casi, ad esempio, abbiamo visto l'altra volta come il moscerino della frutta possiede un solo set di 8 geni Hox) e questa è considerata la condizione primitiva. I vertebrati, posseggono tre o più set di geni Hox (a seconda dei casi, alcuni dei quali li vedremo in seguito).
Da un solo set, si passa a tre o più set di geni “ordinatori dell'assetto corporeo”.
E' possibile ipotizzare un possibile scenario evolutivo che spieghi questo passaggio?

Tra gli invertebrati (gruppo parafiletico e niente meno che convenzionale) che più si avvicinano ai vertebrati, a parte le ascidie (che non prenderò in considerazione) ci sono sicuramente i cephalocordati, che abbiamo incontrato qui.
Questi curiosi animali, posseggono un singolo set di geni Hox (Garcia – Fernandez and Holland, 1994). Questo set al suoi interno è formato da 13 diversi geni Hox.
I vertebrati esistenti più primitivi, come ad esempio le lamprede, posseggono invece già tre set di geni Hox (Pendleton et al., 1993; Sharman and Holland, 1998).
Secondo recenti analisi filogenetiche, i cyclostomi (missine + lamprede) costituiscono il sister group degli gnathostomi, i vertebrati con mascelle (ricordatevi però che stiamo parlando solo ed escluviamente degli animali attualmente viventi, quando si analizzano anche i fossili la situazione è leggermente diversa).
Questi ultimi (noi compresi), possiedono 4 o più set di geni Hox.
Noi, ad esempio, possediamo 4 set da 39 geni Hox (un set da 11, uno da 10 e due da 9), mentre alcuni pesci derivati ne possiedono ad esempio 5 o 6 (siete ancora convinti che i tetrapodi siano “superiori” ai pesci?).
Mentre prima dovevamo passare da 1 a più set di geni Hox, ora, salendo nell'albero filogenetico, ci accorgiamo che c'è stato un salto da 1 a 3 e poi  a 4.

I geni Hox in alcuni animali. Sottolineo che, diversamente da quanto evidenziato dell'immagine, il moscerino della frutta (Fruit fly, Drosophila), ha 13 e non 9 geni hox. Immagine da http://wps.prenhall.com

Il problema Eriptychius

Uno dei maggiori problemi della paleontologia è legato alla straordinarietà del processo di fossilizzazione, che, come abbiamo visto qui, è piuttosto raro e riguarda specificatamente solo alcune parti degli esseri viventi.
Il record fossile dà solo una versione parziale di quella che fu la vita sulla Terra nel passato, e frequentemente questo porta a grandi problemi di interpretazione e di analisi.
Continuando a parlare di agnati fossili, in particolare di pteraspidomorphi, questo problema si traduce nel dover analizzare frammenti di piastre dermiche o scaglie isolate, che essendo molto dure e quindi adatte alla conservazione si ritrovano con abbastanza frequenza, molto più facilmente degli individui articolati.

Nella Harding Sandstone Formation, in Colorado, oltre al conosciuto Astraspis si trovano con discreta abbondanza i fossili di un genere di pteraspidomorpho denominato Eriptychius. Di questo agnato fossile sono stati rinvenuti solamente resti isolati di scaglie e frammenti di corazza dermica, con conseguenti problemi di classificazione.
Tuttavia, i resti sono così abbondanti che si è riusciti a descrivere due diverse specie, Eriptychius americanus e E. orvigi, distinti da piccole differenze nella struttura della corazza dermica.

Misteriosi frammenti (di Eriptychius) dalla Harding Sandstone Formation

Paleobiogeografia dei vertebrati ordoviciani

L’Ordoviciano ha rappresentato uno dei più grandi momenti di cambiamento sia per quanto riguarda la biodiversità, sia per quanto riguarda l’evoluzione geologica del nostro pianeta.

Verso la fine del Proterozoico, i continenti erano tutti riuniti in un unico grande supercontinente, chiamato Rodinia. Durante il Cambriano, i movimenti tettonici avevano cominciato a frammentare la Rodinia, formando vari continenti (più o meno estesi) che andavano ad allontanarsi tra di loro. 
Nell'Ordoviciano avviene il momento di massima dispersione di queste masse continentali, che dalla fine di questo periodo in poi cominceranno di nuovo a riavvicinarsi fino a formare, alla fine del Paleozoico, il supercontinente di Pangea.
Durante questo periodo, dunque, le masse terrestri erano organizzate principalmente in due grossi blocchi, ognuno composto da uno o più paleo continenti: a Nord, in prossimità dell’equatore e comunque vicino alle fasce tropicali, erano situati il grande continente di Laurentia (che comprendeva gran parte dell’attuale Nord America, la Groenlandia, parte della Norvegia e della Gran Bretagna) e quello di Siberia, comprendente larga parte dell’attuale Russia.
Nella zona intermedia, alle medie latitudini sud (circa 30° e 60°), si estendevano vari piccoli continenti, tra cui quello di Avalonia, il grande blocco della Baltica, e due blocchi cinesi, di cui quello Sud rappresentava il maggiore.
Di estensione maggiore era invece il continente di Gondwana, formato da quelle che sarebbero poi diventate Sud America, Africa, Australia, India, Antartide e parte dell' Asia occidentale. Gondwana, circondata da moltissimi altri mini continenti, si estendeva dal polo Sud fino all’Equatore.

Disposizione dei contienti durante l'Ordoviciano Medio. Da Servais et al., 2010

Viaggio nei mari bassi del sud durante l'Ordoviciano (Paleoecologia degli arandaspidi).

Nello studio dei taxa fossili, spesso viene data troppa importanza alle caratteristiche morfologiche rispetto a quanto ne viene data alla sedimentologia, alla paleobiogeografia, e alle evidenze paleoecologiche.
Va ricordato però che i fossili sono i resti di organismi che un tempo sono stati in vita, e che quindi come tali hanno interagito con l'ambiente e con altri organismi.
Le interazioni organismo – ambiente non solo sono importanti ai fini ecologici, ma permettono anche di capire e di studiare in maniera più consapevole le morfologie e gli adattamenti.
E' impossibile pensare ad un organismo vivente slegato dall'ambiente

I taxa fossili quindi, non sono solo entità da studiare in quanto tali, ma è importante sempre considerarli nel loro contesto di vita.
Visto che abbiamo parlato degli arandaspidi (qui) quasi solo esclusivamente prendendo in considerazione le loro caratteristiche morfologiche, vediamo invece di analizzarli in un contesto più ampio, che tenga in considerazione il possibile ambiente di vita (sia geografico che ecologico) di questo gruppo. Vedrete che alla fine riusciremo a inquadrare meglio anche la loro morfologia.
I resti fossili attualmente noti appartenenti ad arandaspidi provengono essenzialmente da tre zone diverse del pianeta, Sud America (Bolivia e Argentina), Oceania (Australia) e Asia (Oman).
Tutte queste zone appartenevano, nell'Ordoviciano, al grande continente di Gondwana, in particolare ai suoi margini Sud – Ovest, Sud -Est e Nord – Est.
Già da questa prima analisi, prendendo in considerazione esclusivamente dati paleogeografici, possiamo concludere che questo gruppo sia stato estremamente diffuso nei mari situati lungo il margine di Gondwana e endemico di tali zone.
Il fatto di essere un gruppo non cosmopolita è significativo per comprendere meglio come mai essi furono così diversi dall'altro gruppo non cosmopolita (Astraspida, endemico della Laurantia, uno degli altri supercontinenti paleozoici che andrà a formare poi parte del Nord America) di pteraspidomorphi ordoviciani.
La lontananza geografica, infatti, è uno dei meccanismi più incisivi sull'evoluzione.
 

 (Nell'immagine: ricostruzione della Terra (vista dal Polo Sud) durante l'Ordoviciano (modificata da Servais et al., 2010). I quadrati rossi indicano le principali località in cui sono stati trovati fossili di arandaspidi.


Entriamo ora nello specifico e vediamo quale materiale è stato trovato e dove.

Revisione di Arandaspida

Prima di iniziare a raccontare nuove paleostorie, mi sembrava corretto nei vostri confronti rileggere tutti i post di Paleostories (2010 - 2011) per correggere eventuali errori. Ne ho trovato qualcuno, soprattutto di battitura. Ora li ho corretti.

In particolare, grazie ad una piacevole chiacchierata telematica che ho avuto il piacere di avere con Philippe Janvier, paleontologo del museo di storia naturale di Parigi, ho potuto fare un accurata revisione (con alcuni importanti aggiornamenti) del post sugli arandaspidi (decisamente i miei agnati preferiti), che potete leggere qui.

Nel prossimo post parleremo ancora di pteraspidomorphi, ma stavolta ci occuperemo di paleoecologia e di paleobiogeografia.

Prossimamente, su Paleostories!

Paleostories in 7 lingue diverse

Grazie ad un nuovo traduttore per blog, che potete trovare in alto subito dopo le pagine e prima dei post, da oggi è possibile tradurre ogni singola parola di PaleoStories.blogspot in ben 7 lingue diverse: Italiano (lingua madre), Inglese, Francese, Spagnolo, Polacco, Tedesco e Portoghese.

Spero che questo aiuterà i miei (ancora pochi, ma spero in aumento), lettori non italiofoni ad avere una compresione maggiore dei contenuti dei post.

Mi sembrava un buon modo per iniziare il nuovo anno, spero si riveli utile.

Ancora auguri a tutti e a presto