Se c’è un periodo della storia della vita sulla Terra che mi affascina più di ogni altra cosa, questo è il Cambriano. In questo periodo la vita si riprese dopo una terribile glaciazione, correlata a una delle più grandi (e dimenticate) estinzioni di massa della storia, e vide l’apparizione d’innumerevoli forme nuove, frutto d’innovazioni anatomiche e interazioni ecologiche.
E’ qui che troviamo alcuni degli animali più strani e meravigliosi che siano mai esistiti, guardando i quali, nonostante la mia ammirazione per essi, anche il più strano dei dinosauri o il più misterioso degli stem gnathostomi risulta in qualche modo normale.
Uno studio recentemente pubblicato da Vinther et al. (2014) presenta un ulteriore interprete di quell’esaltante atto della storia della vita sulla terra che fu il Cambriano.
L’attore in questo caso è un anomalocaride.
Gli anomalocaridi rappresentano un gruppo di artropodi caratterizzati da appendici segmentate molto sviluppate poste di fronte alla bocca, utilizzate nella maggior parte dei casi per afferrare le prede; da una bocca di forma pseudo-circolare munita di una serie di dentelli appuntiti, per processare il cibo; da una serie di appendici laterali flessibili, utilizzate per nuotare; e da altre caratteristiche tipiche da artropode come occhi composti e un corpo segmentato ricoperto da chitina.
Anomalocaris, ricostruzione e fossile delle appendici raptatorie. |
Il più famoso è sicuramente Anomalocaris, rinvenuto in Cina, Canada, Groenlandia e Utah, protagonista di numerosi documentari.
Gli anomalocaridi vengono spesso rappresentati come i top-predator del Cambriano, viste le loro dimensioni (fino a 1-2 metri di lunghezza) e i loro adattamenti predatori, come le appendici raptatorie e il loro apparato buccale triturante.
Tutto ciò sembra corretto dato il ritrovamento di fossili di trilobiti e altri invertebrati cambriani con segni di morso simili a quelli che la bocca di uno di questi animali poteva lasciare.
Dettaglio dell'apparato buccale di un anomalocaride |
Dal punto di vista ecologico, gli anomalocaridi costituivano dunque quello che oggi sono gli squali o i cetacei, veloci predatori di grandi dimensioni. Tuttavia, oggi possiamo vedere come in questi due gruppi, così distanti dal punto di vista filogenetico ma con i medesimi bisogni fisio-ecologici, si sono evolute diverse strategie di sostentamento. In entrambi i gruppo infatti sono presenti adattamente che riguardano non solo la predazione di macrofauna, ma anche la possibilità di utilizzare uno dei cibi più abbondanti nell’ambiente acquatico, il plankton. In questo senso sono famose le mante o lo squalo balena, per i condritti, o le balene e il loro estremo adattamento al filtraggio del krill.
Considerando che il Cambriano vide la formazione di una catena trofica complessa e lo sviluppo di innumerevoli forme di vita, micro e macroscopiche, è’ possibile che anche tra gli anomalocaridi
si siano sviluppate diverse modalità di alimentazione, simili a quelli utilizzati dai moderni grandi animali acquatici, tra cui l'utilizzo del plankton come fonte di sostentamento?
Vinther et al. ridescrivono i resti di Tamisiocaris borealis, un anomalocaride proveniente dal famoso sito di Sirius Passet, in Groenlandia, risalente al Cambriano inferiore (circa 515 milioni di anni fa).
Grazie a nuovi resti costituiti da cinque appendici isolate e due appendici associate con resti della testa, Vinther et al. sono stati in grado di ricostruire nel dettaglio la morfologia delle appendici di
questo grande anomalocaride. Dalle dimensioni delle appendici, lunghe circa 10 centimetri, si è potuta stimare una lunghezza di circa 40-70 centimetri.
Ricostruzione di Tamisiocaris. Da Vinther et al., 2014 |
Le appendici consistono in almeno 18 segmenti (14 solitamente in Anomalocaris), ognuno dei quali è dotato di un paio di lunghe spine. Queste spine accessorie si ritrovano spesso rotte o distorte, a indicare essere erano delicate e flessibili, probabilmente costituite da tessuto molle poco chitinizzato. Questa morfologia è abbastanza standard negli anomalocaridi, che utilizzavano queste spine per catturare le prede. Le appendici infatti, essendo segmentate, potevano piegarsi in modo da avvolgersi intorno alla preda. Quello che differenzia però le appendici di Tamisiocaris dagli altri anomalocaridi è la presenza di numerose piccole spine accessorie su entrambe le spine dei segmenti.
Appendice di Tamisiocaris, completa e ben conservata. Da Vinther et al., 2014 |
La morfologia della appendici di Tamisiocaris, differente da quella della maggior parte degli altri anomalocaridi nell’avere più spine e tutte più o meno della stessa lunghezza, nonché fornite di spine accessorie, sembra indicare che questo animale le utilizzasse come organo di filtraggio. Sembra infatti che la maglia formata dalle spine accessorie fosse in grado di catturare particelle e piccole animali fino a 0,5 mm, dimensioni comparabili con quelle del mesozooplakton (es. copepodi).
Ricostruzione di una singola appenice di Tamisiocaris con possibile sequenza del movimento di flessione ed estensione. Da Vinther et al. 2014 |
Anche oggi esistono artropodi sospensivori e filtratori, i cui adattamenti possono essere comparati con quelli di Tamisiocaris. Avendo la passione per gli acquari, ho avuto la fortuna di poter allevare una di queste simpatiche e affascinanti specie di gamberi filtratori, Athyopsis: questo crostaceo possiede appendici allungate modificate tale da sembrare una sorta di ventaglio. Esse sono formate da numerose setole flessibili, a dare una rete filtrante che cattura le particelle presenti nell’acqua. La strategia di filtraggio consiste nel rimanere con le appendici aperte, in modo da avere la massima superficie di filtraggio possibile, e, una volta che un numero sufficiente di particelle sono rimaste intrappolate nella maglia, essa viene chiusa e l’appendice portata alla bocca.
Esemplare di Athyopsis nell'atto di filtrare il cibo con le sue appendici a ventaglio |
Questo meccanismo è lo stesso proposto da Vinther et al. (2014) per Tamisiocaris, le cui appendici sembrano essere in grado di potersi estendere e flettere, in modo da funzionare come rete cattura particelle/microorganismi, capace poi di essere portata alla bocca per l’ingestione del cibo.
Facendo un parallelo con crostacei filtratori attuali, Vinther et al. propongono inoltre per Tamisiocaris la stessa alternanza di movimento tra appendice destra e sinistra (vedere video sottostante).
La morfologia di Tamisiocaris ci indica, dunque, l’esistenza di animalocaridi sospensivori. Questo gruppo di animali dunque non solo presenta alcuni tra gli animali più grandi del periodo Cambriano, ma mostra anche come esso abbia sviluppato una serie di adattamenti tali da coprire più nicchie ecologiche, dimostrando una biodiversità morfologica ed ecologica comparabile con quella che mostreranno poi altri cladi con predatori e filtratori di grandi dimensioni, come cefalopodi, condritti e mammiferi.
Oltre a dettagli puramente morfologici, la scoperta di Tamisiocaris è particolarmente importante dal punto di vista ecologico e funzionale, poiché ci fornisce un’altra sfaccettatura di quella che era la catena trofica cambriana. Siccome però questo merita un discorso a parte più approfondito, ho deciso di trattare questi dettagli in un post futuro.
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Bibliografia:
- Vinther J., Stein M., Longrich N.R. and Harper D.A.T. (2014)
A suspension-feeding anomalocarid from the Early Cambrian
Nature 507: 496 - 499
1 commento:
Che animali affascinanti! Mi viene quasi da pensare che i meccanismi evolutivi ed il tempo abbiano, assieme, esplorato gran parte delle possibili forme che la nostra fantasia può congetturare. Ciao Marco.
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