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Carnevale della Biodiversità VI Edizione: Lo strano caso degli animali con le ruote

Questo post partecipa alla Sesta Edizione del Carnevale della Biodiversità.
 Il tema di questa edizione è: "Ho visto cose..la biologia dei mondi fantastici"
Per l'occasione, su Paleostories parliamo di un tema affasciante nel mondo della biologia, le ruote.



Quando frequentai il corso di evoluzione biologica all’università, una delle mie lezioni preferite fu quella relativa ai vincoli e alle regole della vita.
Prendere atti dei limiti dimensionali degli organismi o del fatto che molte piante si sviluppano seguendo la successione di Fibonacci fu per me estremante interessante, ma ciò che mi colpi di più fu il discorso relativo al perché gli animali non possono avere le ruote.
Pensateci bene e vedrete che non è difficile capire perché in naturale le ruote non esistono: innanzi tutto, avere una ruota vuol dire possedere una struttura circolare capace di ruotare intorno ad un asse. Ovviamente, perché il sistema funzioni queste due parti devono essere a stretto contatto ma separate e indipendenti. 
Questo però porta al problema fisiologico di come mantenere all’interno dei parametri vitali entrambe le parti (il problema sarebbe soprattutto la ruota): come un organismo potrebbe portare nutrienti, ossigeno, enzimi, etc ad una parte del corpo che è staccata dal sistema centrale?
Oltre a questo, uno dei motivi per cui gli animali non hanno sviluppato le ruote è, banalmente, l’assenza di strade: senza superfici lisce e uniformi, avere le ruote non sarebbe così vantaggioso. 
I substrati della Terra sono spesso irregolari, accidentali, scabri, più ad atti ad arti mobili e flessibili che a ruote. 
Dunque, cosa me ne faccio di una ruota se poi averla è più svantaggioso che non averla?

Ecco quindi che, grazie alla logicità di queste risposte, all’epoca anche io mi convinsi del fatto che fosse praticamente impossibile che gli animali potessero aver evoluto le ruote.
Le mie convinzioni crollarono quando, con mia immensa sorpresa, incontrai un gruppetto di animali davvero speciali.



Mufela mufela (Malone 2002, sp. Nov. Castiello 2012) è il nome di un curioso mammifero che vive in vaste praterie ai margini di foreste dominate da altissimi boschi monospecifici di una particolare angiosperma endemica dal tronco rossiccio e le foglie verde scuro. La prima volta che vidi i mufela (il cui individuo singolo viene generalmente chiamato nella “lingua” locale, zalif) rimasi estremamente colpito dalla loro struttura corporea: a prima vista essi si direbbero una sorta di incrocio tra un elefante ed un cervo, con un collo allungato, arti lunghi e muniti di zoccoli, un cranio terminante con una lunga proboscide flessibile e un paio di brevi corna appuntite sul capo. Le dimensioni sono circa quelle di un cervo, e anche nel colore e nella distribuzione del manto ricordano questo animale.
Guardando più in dettaglio uno zalif, però, ci si rende conto che siamo di fronte ad una cosa mai vista in un vertebrato: la colonna vertebrale è modificata per assumere una particolare conformazione a losanga, con le vertebre della parte mediana esageratamente allargata e le parti caudali e craniali più strette.  
Osservando dall’alto uno zalif, si vede chiaramente la loro forma rombica. Ai lati della più centrale di queste vertebre è saldato un cinto, a cui è articolato, uno per parte, un arto lungo e robusto, con un omero più corto della tibia e metapodi allungati, che termina con uno zoccolo duro del tutto simile a quello dei nostri ungulati.
Fin qui niente di speciale, se non fosse che i mufela posseggono altri due cinti, disposti uno vicino alla base del collo e uno prima della coda.
Questi cinti, sono, udite udite, mediali, disposti alla fine e all’inizio della serie dorsale. Ad ognuno di questi due cinti è articolato un arto di struttura opposta a quella degli arti pari, ossia con un omero robusto, una tibia corta e compatta, e metatarsi tozzi. La particolarità di questi due arti, oltre a quella di essere impari, è rappresentata dalla struttura delle loro dita. 
Ogni arto impari presenta una falange robusta, munita di un curioso artiglio a forma di uncino. Questa struttura cheratinosa, presenta una superficie molto liscia e scivolosa, che al tatto sembrerebbe ricoperta di un qualche strano tipo di olio (e come vedremo, effettivamente è così).

A cosa serve avere uno zoccolo a forma di uncino, decisamente scomodo per camminare? 
Ovvio, per attaccarci una ruota. 
La vera particolarità dei mufela è che essi sono in grado di muoversi come se fossero una bicicletta.
Nelle zone in cui essi abitano vivono i grandi alberi dal tronco rossastro che ho menzionato qualche riga sopra. Ebbene questi alberi producono un particolare frutto, che viene rilasciato a terra poco prima della maturazione, la cui forma si adatta perfettamente ad essere utilizzato come ruota. 
Esso è circolare, con un foro al centro (che rappresenta l’attaccatura del seme con la pianta), e una superficie dura e ricoperta di peli fibrosi lungo tutta la circonferenza.
Questi alberi hanno sviluppato una fantastica simbiosi con i mufela: gli animali utilizzano i frutti come se fossero ruote, fissandoli all’arto anteriore e posteriore con il loro artiglio ad uncino e muovendosi con gli arti pari, un po’ come ci si spinge da bambini con il triciclo, in cambio gli alberi ricevono aiutano nella riproduzione, in quando il frutto è talmente duro che per aprirsi e rilasciare i semi ha bisogno di un lungo e continuo processo di usura, che viene favorito dall’uso che ne fanno i mufela. Inoltre, il frutto produce una sostanza oleosa che quand’esso è sull’albero tiene lontano i parassiti ma che è perfetto per far funzionare i frutti come ruote.
Dunque, ecco il primo problema risolto: qui le ruote non sono parte dell’organismo, che perciò non ha il problema fisiologico di alimentare una parte indipendente del suo corpo, ma parte di un altro organismo, in un ottimo esempio di coevoluzione.

Penserete voi: “e le strade?”
A risolvere questo problema ci pensa la geologia della regione in cui vivono i mufela.
In passato quella zona era stata invasa da numerose colate laviche che avevano lasciato lunghe e spesso tortuose lingue di basalto, all’inizio irregolare ma che ora, con l’utilizzo da parte delle ruote dei mufela, si manifesta come una superficie liscia e non molto differente da quella che oggi chiameremmo strada.

Un'altra caratteristica importantissima dei mufela la loro capacità di comunicare grazie all’utilizzo della loro proboscide: essa è lunga e flessibili, e dotata di una muscolatura potente, tale che essi la utilizzano anche per la predazione. La proboscide termina con un paio di protuberanze fusiformi, simile alle dita degli altri tetrapodi, che essi riescono a muovere talmente con disinvoltura da aver sviluppato un sistema complesso di comunicazione fatto di suoni e movimenti di queste “dita”.
Grazie a questa comunicazione, i mufela hanno sviluppato un’organizzazione sociale per nulla banale: essi vivono in gruppi di circa una ventina di individui, in coppie monogame di lungo corso. La fase adulta viene raggiunta intorno ai 10 anni di età (i mufela sono animali piuttosto longevi) e durante questo periodo gli zalif giovani si muovono senza l’uso dei frutti dell’albero dalla corteccia rossa, giacché essi sono troppo grandi e i loro arti ancora non ben sviluppati.
Inoltre, i mufela hanno imparato a costruire delle sorta di accampamenti incredibilmente simili a quelli che siamo abituati ad associare agli uomini, con capanne, aree per il nutrimento e lo stoccaggio di provviste e frutti-ruota.

Ma da dove arrivano i mufela? Come può essersi evoluto un animale con le ruote?

In realtà, conosciamo molto molto poco del mondo dei mufela, tale che non possiamo solo fare ipotesi. 
Tutto ciò che sappiamo, è dato dalla pubblicazione di un articolo della dottoressa Mary Malone nel 2000.
Da questo scritto, oggi sappiamo che i mufela convivono con altre creature, alcune simili a quelle che conosciamo oggi (nella regione in cui vivono sono presenti anche moscerini, farfalle, colibrì e altri uccelli), altri del tutto particolari, come i pascolanti.
Gli individui del genere Pasculantus vulgaris (gen et sp. nov., Castiello 2012), sono creature dall’anatomia del tutto simile a quella dei mufela, che però non presentano il loro cranio con la tipica proboscide flessibile. La forma dello scheletro e delle zampe è comunque molto simile, a losanga. Secondo Malone (2000) i mufela deriverebbero da un antica popolazione di pascolanti che ha imparato ad utilizzare i frutti dell’albero dal tronco rosso. Questa caratteristica sarebbe poi trasmessa alla popolazione successiva attraverso un meccanismo sconosciuto, forse epigenetico. 

Ovviamente si tratta di fantasia, frutto della mente del grande Philippe Pullman, che nella trilogia Queste Oscure Materie, ricostruisce un mondo fantastico in cui le leggi della biologia e della natura magicamente si mischiano a quelle delle fantascienza. 

Però, credo che grande merita vada dato all’autore per aver risolto, magistralmente, un problema evolutivo che molti si sono posti e riuscendo a farci immaginare organismi che sfuggono alle regole a cui siamo abituati a pensare.
Su Paleostories ho sempre cercato di raccontare le storie di quei gruppi fossili che, per le loro morfologia strane e soprattutto poco conosciute da un pubblico non esperto, generano sempre curiosità e meraviglia. 
Ma, devo ammetterlo, i mufela sono gli animali più belli e curiosi di cui mi sia mai capitato di scrivere. 
E credo (e un po’ spero) che il loro record rimanga per sempre imbattuto. 


P.S. Nel libro i mufela vengono chiamati semplicemente mufela, così come i pascolanti, senza attributire loro un nome scientifico. Dunque, ho scherzato attribunedo una mia fantomatica pubblicazione di tassonimia in cui ho inventato i nomi scientifici di queste due creature. Del resto oggi è l’anniversario di matrimonio tra scienza e fantasia…

P.P.S. Ho ricostruito i mufela come me li sono immaginati io dalla lettura del libro. Su wikipedia (sia italiana che inglese) c’è scritto che essi non sono vertebrati, che non hanno la spina dorsale, etc.. ma queste negazioni non sono presenti nel libro. Dunque ho voluto ricostruire gli animali in un modo scientifico ma che avesse un contributo anche della mia fantasia. Se avete letto il libro e la pensate diversamente, sarei entusiasta di sentire la vostra versione.

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Bibliografia:

P. Pullman, 2000
Queste Oscure Materie (Titolo originale: His Dark Material) Traduzione italiana di Salemi Editore, Milano, 2001

5 commenti:

Robo ha detto...

Mi hai fatto venir voglia di leggere la trilogia di Pullman. Ciao e complimenti.

MarcoCasti ha detto...

Era anche il mio intento. Se non hai nessun libro da leggere a Natale, te lo consiglio vivamente :-)

Fabrizio Mihael lavezzi ha detto...

Molto bello l'articolo =) finchè non leggevo il tuo nome vicino al nome scientifico dell'animale ci stavo quasi credendo!

JackAction ha detto...

Mi pare però che esistano però animali che rotolano.

MarcoCasti ha detto...

In che senso "che rotolano"? Perchè molti animali sono capaci di fare "la capriola", come la intendiamo noi, penso ad esempio a molti roditori, o ai primati. Ovviamente, nessuno di questi animali fa del rotolamento il principale modo di locomozione. Tu cosa intendi, Jack, sarei ben lieto di scoprire cose di cui ignoro l'esistenza. C'è sempre da imparare :-)