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Il mito della conquista della terraferma Parte 1: i pesci e l'antropocentrismo.

Per quanto mi riguarda, credo che uno dei compiti principali della divulgazione scientifica, a qualsiasi livello, sia quello di abbattere i grandi miti paleontologici che (ahi noi!) sono ormai radicati nella cultura popolare.  La visione distorta dei dinosauri che la gente si è fatta guardando Jurassic Park (bellissimo film, sia chiaro, ma scientificamente abbastanza fuorviante), o ciò che si pensa sull'evoluzione dell'uomo, spesso vista in maniera semplicistica e con una direzionalità finalizzata a noi,  o ancora al mito dell'esplosione dei mammiferi dopo l'estinzione (parziale) dei dinosauri, etc etc... Tutti questi sono miti, radicati nella cultura popolare ormai da molto tempo, creati dai documentari scientifici (o, spesso, pseudoscientifici), dalle notizie parziali e spesso superficiali che si ritrovano sui giornali e in giro per il network, e dalla mente umana, più attratta dalle suggestioni che queste storielle portano inevitabilmente con loro che non dal fatto, dal dato scientifico.

Proprio per questo, come promesso, oggi vi parlerò di uno dei più grandi miti paleontologici: la conquista della terraferma da parte degli animali dotati di zampe.
I vertebrati che oggi popolano le terre emerse sono tutti inseriti in un gruppo chiamato Tetrapoda, letteralmente “quattro piedi”. Di esso fanno parte tutti gli animali muniti di zampe con dita, quindi ad esempio lucertole, rane, piccioni, mucche, cani, serpenti (derivati da parenti con dita, che poi hanno perso nel corso della loro storia evolutiva), balene, delfini, pipistrelli e, ovviamente, anche noi uomini.

Come tutti sanno, anzi, come tutti pensano di sapere, gli arti dei tetrapodi si sono evoluti  per permettere agli animali di camminare sulla terraferma, in modo da occuparne gli ambienti. I tetrapodi quindi (così racconta il mito) si sono evoluti da pesci che hanno sviluppato piano piano delle zampe con lo scopo di avventurarsi fuori dall’acqua.
Benché questa storia abbia certamente un suo fascino, essa è falsa, poiché si basa sull’assunto che l’evoluzione debba avere uno scopo, una finalità. 

Il concetto di “conquista” (dell’aria, della terraferma, della socialità, di quello che volete voi), non ha alcun senso evolutivo, poiché l’evoluzione è un processo naturale e casuale, non è guidato da alcuna funzionalità ne direzionalità. Le zampe dei tetrapodi non sono state “inventate per" conquistare la terra ferma, l’evoluzione non inventa niente per uno scopo, si basa sulla continua selezione degli organismi che possiedono le caratteristiche migliori per quel determinato momento e ambiente. Purtroppo questa visione finalista dell’evoluzione, sintomo del grande antropocentrismo che infetta la mente di molti uomini, si riflette anche nel pensiero secondo il quale il passaggio da un corpo mosso da (banali) pinne a (robusti e superaccessoriati) arti sia stato un netto miglioramento anatomico, che ha permesso così di diventare superiori rispetto agli organismi (inferiori) acquatici.
Il problema è: perché una pinna dovrebbe essere peggiore di un arto? Perché un organismo terrestre (guarda caso come lo siamo noi) dovrebbe essere superiore a un organismo acquatico? Tutto questo è sbagliato, sia a livello concettuale che evolutivo. L’arto di un tetrapode non è migliore della pinna di un pesce, è solo diverso, incomparabile. Sono due strutture diverse, che compiono gesti diversi, che sono costruite in modo diverso. Una non è migliore dell’altra.

Quindi, di per se, già questo basterebbe a far capire come l’idea di una conquista delle terre emerse sia sbagliata in partenza. Ma non ha senso rifiutare una frase senza portare dati a supporto. Alla base del metodo scientifico c’è il concetto di analisi dei dati e di verifica delle ipotesi, quindi, in questo post, cercherò di analizzare (brevemente) i dati a nostra disposizione per capire veramente perché bisogna far cadere il mito della “conquista della terraferma” da parti di mirabolanti pesci con le zampe.

Prima di vedere il record fossile, però, parliamo di due animali attuali.
Nel 1938, al largo delle coste del Sud Africa, alcuni pescatori rinvennero nelle loro reti uno strano pesce, con delle strane pinne e una conformazione piuttosto primitiva. In seguito ad altri ritrovamenti, si riuscì a far maggior chiarezza su questo animale e si scoprì che esso apparteneva ad un gruppo di pesci, i celacanti, ritenuti estinti a partire dal Cretaceo. Il nuovo taxon venne battezzato Latimeria (in onore di Marjorie Courtney – Latimer, conservatrice di un museo sudafricano) e acclamato in tutto il mondo come un “fossile vivente”. Tralasciando la questione “fossile vivente”, che approfondirò magari in qualche altro post (e che, come spero sappiate, è orripilante e totalmente sbagliata), la scoperta di Latimeria e lo studio dei fossili di celacanti diede agli studiosi informazioni aggiuntive sull’anatomia di questi pesci, informazioni molto utili per lo studio del passaggio dai pesci ai tetrapodi.

Latimeria

Questi pesci possiedono infatti un polmone (anche se ridotto e non funzionale) e pinne molto robuste e ben articolate al corpo.  A ben vedere, queste caratteristiche ricordano quelle dei tetrapodi. E se noi analizziamo più nel dettaglio le pinne dei celacanti, ci accorgiamo che non solo la forma, ma anche la loro morfologia interna ricorda quella dei tetrapodi: all’interno della pinna troviamo, infatti, una serie di raggi ossei, formati da ossa molto robuste, e piccoli raggi dermici, più sottili e allungati (simili a quelli degli altri "pesci") in una struttura molto particolare, definita “pinna carnosa” (e differente da quella a “pinna raggiata”, tipica degli actinopterygii) . Inoltre, questa pinna è attaccata al corpo tramite un solo osso, secondo un’articolazione monobasale.


Pinna di Sarcopterygiio (sinistra) e di Actinopterygiio (destra)

Proprio per questo motivo (pinne carnose e articolazione monobasale), i celacanti possono essere riuniti con i tetrapodi (e altri animali) in un medesimo clade chiamato Sarcopterygii (letteralmente “pinne carnose”). Quindi, i celacanti sono un gruppo di animali molto importante, ma non perché sono dei “fossili viventi”, ma perché rappresentano dei parenti stretti dei tetrapodi, pur essendo considerati pesci. Anzi, vi dirò che sono più simili ai tetrapodi che non ai pesci (ed è anche per questo che la parola “pesce” non ha particolarmente senso).


Ma, a dire il vero, i celacanti non sono l'unico caso di "pesci" attuali molto più affini ai tetrapodi che non agli altri "pesci". Menzione particolare merita infatti un gruppo di animali tanto rari quanto bizzarri: i dipnoi.
Attualmente esistono sei specie di dipnoi,  riuniti in tre generi diversi che vivono ancora oggi in natura nei corsi d’acqua dolce dell’emisfero Sud, mentre sono conosciuti tramite fossili a partire da circa 380 milioni di anni fa, nel Devoniano. Troviamo quindi Lepidosiren paradoxa in Sud America, Protopterus (4 specie) in Africa e Neoceratodus forsteri in Australia.

Lepidosiren paradoxa
Come chiunque abbia studiato zoologia sa, oltre alla loro peculiare morfologia anguilliforme, cioè che veramente rende speciale i dipnoi è il loro apparato respiratorio, costituito da una combinazione di branchie e polmoni (uno in Neoceratodus, due negli altri), entrambi funzionali.
I dipnoi utilizzano i loro polmoni quando, alla fine della stagione umida, i corsi d’acqua dove essi vivono abitualmente si prosciugano e obbligano quindi questi animali a sopravvivere in un ambiente relativamente secco. Allora, i dipnoi (tranne Neoceratodus, che utilizza principalmente le branchie e vive sempre in acqua), costruiscono attorno al proprio corpo un bozzolo di fango e di muco, si spostano in profondità e, con i loro polmoni, respirano aria attraverso piccoli fori della tana. Essi restano così, in uno stato di torpore, fino all’arrivo della nuova stagione umida, dove ritornano in ambiente acquatico.
A parte Neoceratodus però, gli altri dipnoi non possiedono branchie molto sviluppate e utilizzano i polmoni per respirare. Se provate infatti a tenere forzatamente un esemplare di Protopterus o di Lepidosiren in acqua, morirà asfissiato, poiché ha bisogno di salire in superficie e respirare con i suoi polmoni, che sono, udite udite, omologhi a quelli dei tetrapodi!

A ben vedere, i polmoni rievocano più ambienti terrestri che acquatici, e sono sempre stati considerati appannaggio dei tetrapodi, eppure i dipnoi hanno pinne (carnose) e non arti, e sono acquatici e non terrestri. Quindi? Se veramente gli animali si sono evoluti per “conquistare la terraferma”, perché un gruppo di sarcopterygii acquatici dovrebbe aver evoluto polmoni senza arti? E perché i celacanti hanno pinne carnose, molto robuste, ma non vanno minimante sulla terraferma (e non hanno neanche polmoni funzionali)?

Come noterete, quindi, stiamo cominciando a vedere come alcuni dei requisiti per “conquistare la terraferma”, ossia arti (o, come in questo caso, pinne robuste con struttura monobasale) e polmoni, siano presenti anche in animali che non camminano sulla terraferma.

E se già cominciamo ad avere dei dubbi adesso, figuriamo quando, nei prossimi due post, ci avventureremo nei corsi d’acqua del Devoniano, alla ricerca dei parenti più prossimi dei tetrapodi…

1 commento:

Fabrizio Mihael Lavezzi ha detto...

Bel post, interessante =) effettivamente quando uno comincia ad interessarsi dell'argomento cambia completamente la sua visione del mondo intero! Complimenti Marco =)