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Le Cronache di Placodermata, Episodio 4: i renanidi

Quello che mi piace della paleontologia e che ha sempre fatto da carburante per il mio interessante è la presenza nel record fossile di forme estremamente bizzarre e diverse rispetto a quelle che abitano il mondo a noi circostante. 
Ed è proprio questo rimanere a bocca aperta, con la fronte corrucciata, che tutt’ora costituisce un grande stimolo per lo studio del mondo del passato. 

Continuando il nostro viaggio nel mondo dei placodermi, oggi incontriamo uno dei gruppi più strani e misteriosi io abbia mai visto, che ancora oggi fa mettere le mani nei capelli a chi decide di avventurarsi nell’intricata filogenesi dei placodermi. 
Il gruppo in questione ha il simpatico nome di Rhenanida. 

Riproduzione artistica del renanide Gemuendina. Immagine da swriojas.blogspot.com
Dei renanidi sappiamo molto poco, principalmente  a causa della loro rarità nel record fossile. Fino ad oggi conosciamo solo cinque generi, Gemuendina (Germania), Jagorina (Germania), Nefudina (Marocco), Asterosteus (U.S.A.) e Bolivolsteus (Bolivia), rinvenuti esclusivamente in depositi marini risalenti al Devoniano (inferiore-superiore). Il fatto che questi generi siano stati ritrovati in posti molto lontani tra loro farebbe pensare però che i renanidi abbiano avuto una distribuzione geografica molto ampia, e che quindi la scarsità dei loro resti sia dovuta a questioni tafonomiche, a casa della morfologia del loro rivestimento dermico. Ciononostante, abbiamo comunque alcuni esemplari completi di renanide, tale che in linea generale possiamo delineare la loro anatomia e cercare analizzarla anche alla luce di ciò che sappiamo degli altri vertebrati paleozoici. 

Fossile di Gemuendina.
A prima vista, i renanidi appaiono come placodermi dal corpo piatto dorso-ventralmente, caratterizzati da una riduzione dell’armatura dermica e da pinne pettorali molto sviluppate e larghe.
La testa è relativamente grande rispetto al resto del corpo, ma con orbite di dimensioni ridotte, dorsali, ravvicinate e circondate da circa 10-12 anelli sclerotici. Le narici sono anch’esse ravvicinate e si trovano di solito tra gli occhi o leggermente di fronte ad essi. La bocca è ventrale e formata da piastre gnatali piatte ricoperte da piccoli denticoli. Probabilmente i renanidi erano predatori bentonici, che setacciavano il fondale alla ricerca di piccoli invertebrati. 
Le pinne pettorali sono estremamente sviluppate, piatte, larghe e di forma semicircolare, tale che i renanidi ricordano un po’ le razze o i teleostei pleuronectiformi (sogliole, rombi). Anche le pinne pelviche sono appiattite e relativamente grandi per lo standard vertebrato, anche se molto più piccole di quelle pettorali. Vi è una sola pinna dorsale ma nessuna pinna anale. 
La forma della pinna caudale non è ancora ben chiara, ma sembra sia eterocerca con lobi non molto sviluppati. 

Anatomia generale di un renanide. Modificata da Denison, 1978
La caratteristica più particolare e intrigante dei renanidi, nonché la più problematica, è però la morfologia della loro armatura dermica, diversa da quella degli altri placodermi nell’essere non formata da piastroni incastrati tra di loro, ma da tanti piccoli elementi, che ricoprono le pinne, parte della testa e il resto del corpo. Nella regione cefalica, esse riempiono gli spazi tra le poche piastre ossee che ricoprono questa zona del corpo, a volte sovrapponendosi ad esse. La morfologia delle piastre è così strana rispetto allo standard dei placodermi che solo alcuni degli elementi che rivestono la testa possono effettivamente essere identificati, in particolare le piastre suborbitali (intorno agli occhi), submarginali (vicini alle pinne pettorali), paranucali (dietro la volta cranica) e a volte una piccola piastra pineale. Anche la zona toracica è pressoché ricoperta da piastre di piccole dimensioni, con la sola eccezione di alcuni elementi di maggiori dimensioni che possono essere riconosciuti, per esempio la piastra mediana dorsale, anteriore dorsolaterale e anterolaterale (fate il confronto con gli antiarchi per avere un’idea). A volte queste piastre però sono ridotte o addirittura ricoperte da altri microelementi, tale che è difficile poterle identificare con precisione. 

Rappresentazione artistica di Jagorina, frutto del lavoro dell'ottimo Kahless28
La natura così particolare dei renanidi, con la loro ridotta copertura di piastroni, sostituite da piccole tessere che ricoprono la maggior parte del corpo, ha sempre costituito una grande fonte di incertezza per quanto riguarda la loro posizione all’interno della filogenesi degli gnathostomi. A questo si aggiunge che vari caratteri della loro anatomia interna, come la morfologia del neurocranio, del labirinto, delle vertebre e dell’arco mandibolare, ricordano quelli presenti nei batoidei. Alcuni studiosi nel passato, come Stensio (1969), hanno suggerito una parentela filogenetica tra questi due gruppi, ma alcuni caratteri della loro armatura dermica, come la presenza di un piastra mediale dorsale, così come la forma del palatoquadrato e l’istologia, indicano chiaramente che essi sono placodermi (o vicini a quelli che definiamo placodermi). Inoltre, essi differiscono dai batoidei nella posizione delle loro narici, disposte dorsalmente, e dalla presenza di una sola apertura branchiale. In passato essi sono stati considerati talvolta placodermi molto primitivi, con l’assenza di un estesa armatura dermica come carattere primitivo, a volte come forme molto derivate per questioni ecologiche, con l’assenza di armatura dermica estesa dovuta a perdita secondaria. 
E’ significativo che molte delle recenti analisi filogenetiche, anche quelle piuttosto complete (ad esempio quella di Entelognathus, Zhu et al., 2013), non presentino alcun renanide. Questo perché, probabilmente, i loro caratteri peculiari possono in qualche modo fare interferenza con gli altri taxa, a causa delle possibili omoplasie. 
Una soluzione potrebbe essere utilizzare più caratteri dell’anatomia interna, in particolare del neurocranio, che sono più conservativi all’interno di Gnathostomata e molto probabilmente meno soggetto ad analogie e convergenze. 
Ma purtroppo conosciamo ancora troppo poco dell’anatomia dei renanidi (abbiamo bisogno di più fossili). 
Curioso comunque che varie caratteristiche del loro neurocranio ricordino quelle dei condritti batoidei. Chissà che un giorno non si scopra che queste similitudini non sono solo frutto del caso… (io un’idea ce l’ho, ma siccome il mio progetto di ricerca è proprio sul neurocranio dei placodermi, per ora non posso sbottonare niente..scusate…work in progress). 

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Bibliografia:

- Denison R.H. 1978. 
Handbook of Paleoichthyology, ed. H-P Schultze.Vol. 2: Placodermi. Stuttgart: Gustav Fischer Verlag. 128 pp.
 
- Janvier P. 1996. 
Early Vertebrates. Oxford: Clarendon. 393 pp. 
 
- Stensiö E. 1969. 
Elasmobranchiomorphi; Placodermata; Arthrodires. I: Traité de Paléontologie (red. J. Piveteau), 4(2), 71-692. Paris: Masson.

- Zhu M. et al. 2003
A Silurian placoderm with osteichthyan-like marginal jaw bones.
Nature.

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