Uno dei motivi per cui è nato Paleostories è dare spazio a
quegli argomenti paleontologici – naturalisti di cui solitamente si parla poco,
a volte per colpa di chi divulga (nel senso che si preferisce concentrarsi su cose
più pop), a volte per colpa di chi ascolta (ci sono argomenti poco letti perché,
per tradizione culturale, si pensa siano poco importanti), altre volte semplicemente
perché così circoscritti da sembrare materia per pochi.
Oggi, per la prima volta, ho il piacere di presentarvi un
post esterno, non scritto da me, ma (su commissione) dal mio amico Andrea Villa (andrewjayhouse@gmail.com), naturalista
dell’Università degli Studi di Milano, che parla di un argomento molto poco
conosciuto (lo ammetto, anche da me stesso, prima di sentirlo con le mie
orecchie dallo stesso autore del post) ma sicuramente molto curioso e interessante.
Spero che anche voi, finita la lettura di questo post, vi sentiate contenti di aver scoperto un’altra piccola caletta in quella sconfinata costa (superaffollata nelle “solite spiagge”) che è la storia della vita sulla Terra.
Spero che anche voi, finita la lettura di questo post, vi sentiate contenti di aver scoperto un’altra piccola caletta in quella sconfinata costa (superaffollata nelle “solite spiagge”) che è la storia della vita sulla Terra.
Lascio la parola ad Andrea Villa.
P.S. Il mio prossime post, invece, sarà la seconda parte del
mito della lotta tra agnati e gnathostomi, a presto.
Il 2012 è stato un anno ricco di eventi importanti per la
scienza: tra Curiosity che atterra su Marte, la prima possibile osservazione del
bosone di Higgs e il completo sequenziamento del genoma del pomodoro (voi
potreste anche riderci su, ma è roba che può tornare parecchio utile), i vari
media che si occupano di temi scientifici hanno avuto di che parlare.
Ovviamente anche i paleontologi si sono dati da fare, sebbene soltanto pochi degli studi presentati nell’ambito abbiano avuto ampia diffusione mediatica.
Tra i vari articoli pubblicati nel corso dell’anno, ce n’è uno in particolare che, apparso a gennaio su Palaeobiodiversity and Palaeoenvironments a firma di Michael Wuttke e altri, ha avuto interessanti risvolti sulla conoscenzache si aveva in precedenza degli organismi di cui tratta, i paleobatrachidi.
Prima di addentrarci nei dettagli, però,è meglio fare una velocissima presentazione e spiegarein poche righe cosa questi paleobatrachidi sono.
Ovviamente anche i paleontologi si sono dati da fare, sebbene soltanto pochi degli studi presentati nell’ambito abbiano avuto ampia diffusione mediatica.
Tra i vari articoli pubblicati nel corso dell’anno, ce n’è uno in particolare che, apparso a gennaio su Palaeobiodiversity and Palaeoenvironments a firma di Michael Wuttke e altri, ha avuto interessanti risvolti sulla conoscenzache si aveva in precedenza degli organismi di cui tratta, i paleobatrachidi.
Prima di addentrarci nei dettagli, però,è meglio fare una velocissima presentazione e spiegarein poche righe cosa questi paleobatrachidi sono.
Palaeobatrachus grandipes. Indovinate un po’… Esatto, un paleobatrachide |
La famiglia Palaeobatrachidae Cope, 1865 comprende anuri
vissuti esclusivamente in Europa (o quasi, come vedremo più avanti) tra la fine
del Mesozoico e il Pleistocene, ritenuti ecologicamente e filogeneticamente
affini ai pipidi (anuri ancora esistenti come Xenopus e Pipa, che
vivono in stagni e corsi d’acqua rispettivamente in Africa e in Sud-America).
Della famiglia fanno parte dieci specie, ma ci sono dei dubbi su una possibile undicesima proveniente dal tardo Cretaceo del Nord-America (che, insieme con alcuni resti trovati in Turchia, risulterebbe essere l’unico paleobatrachide non europeo).
Fondamentalmente, quindi, abbiamo a che fare con rospi estinti risalenti prevalentemente al Cenozoico; non un tema di cui si sente parlare spesso, non credete?
Bene, vediamo a questo punto quali sono gli sviluppi apportati dall’articolo di Wuttke e colleghi.
Fino al 2011, le dieci specie (undici, se si conta anche quella americana) erano inserite in quattro differenti generi: Palaeobatrachus, Albionbatrachus, Messelobatrachus e Pliobatrachus.
Di questi quattro, il primo è il genere tipo della famiglia e i caratteri diagnostici che lo identificano sono in gran parte coincidenti con quelli che identificano la famiglia stessa.
Nella prima parte dell’articolo, gli autori analizzano i caratteri diagnostici degli altri tre generi (concentrati principalmente nelle ossa del cranio o della colonna vertebrale) e giungono a una conclusione netta: i caratteri non sono abbastanza per giustificare la loro separazione dal genere Palaeobatrachus e perciò tutte le specie a essi appartenentivanno inserite nel genere tipo.
Da quattro che erano, quindi, i generi si riducono a uno solo.
Un bel cambiamento…
Ma gli spunti interessanti non finiscono qui: dopo aver discusso la diversità generica della famiglia, infatti, Wuttke e colleghi tracciano anche una sintesi completa della paleobiogeografia di questi anuri, mostrando la tendenza del loro areale a spostarsi verso est nel corso del tempo.
Della famiglia fanno parte dieci specie, ma ci sono dei dubbi su una possibile undicesima proveniente dal tardo Cretaceo del Nord-America (che, insieme con alcuni resti trovati in Turchia, risulterebbe essere l’unico paleobatrachide non europeo).
Fondamentalmente, quindi, abbiamo a che fare con rospi estinti risalenti prevalentemente al Cenozoico; non un tema di cui si sente parlare spesso, non credete?
Bene, vediamo a questo punto quali sono gli sviluppi apportati dall’articolo di Wuttke e colleghi.
Fino al 2011, le dieci specie (undici, se si conta anche quella americana) erano inserite in quattro differenti generi: Palaeobatrachus, Albionbatrachus, Messelobatrachus e Pliobatrachus.
Di questi quattro, il primo è il genere tipo della famiglia e i caratteri diagnostici che lo identificano sono in gran parte coincidenti con quelli che identificano la famiglia stessa.
Nella prima parte dell’articolo, gli autori analizzano i caratteri diagnostici degli altri tre generi (concentrati principalmente nelle ossa del cranio o della colonna vertebrale) e giungono a una conclusione netta: i caratteri non sono abbastanza per giustificare la loro separazione dal genere Palaeobatrachus e perciò tutte le specie a essi appartenentivanno inserite nel genere tipo.
Da quattro che erano, quindi, i generi si riducono a uno solo.
Un bel cambiamento…
Ma gli spunti interessanti non finiscono qui: dopo aver discusso la diversità generica della famiglia, infatti, Wuttke e colleghi tracciano anche una sintesi completa della paleobiogeografia di questi anuri, mostrando la tendenza del loro areale a spostarsi verso est nel corso del tempo.
Immagine tratta da Wuttke et al. 2012 che mostra i ritrovamenti di paleobatrachidi risalenti al cenozoico. Lo spostamento verso est dell’areale è ben evidente. |
La storia dei paleobatrachidi comincia probabilmente nel Giurassico, quando la formazione della Tetide separa Laurasia e Gondwana e forma un’efficace barriera ecologica tra i loro antenati e quelli dei pipidi.
È possibile che queste prime fasi della loro esistenza abbiano avuto luogo in quella che adesso è la penisola iberica e che allora era rappresentata da Iberia, una delle ultime isole a staccarsi dal supercontinente australe; non si conoscono, tuttavia, ritrovamenti risalenti a questo periodo, dato che i più antichi risalgono al tardo Cretaceo di Francia e Spagna (quando Iberia era già in contatto con il resto dell’Europa occidentale e quindi i paleobatrachidi avevano già la possibilità di spostarsi verso l’interno del continente).
Molto più documentato è il Cenozoico, periodo che, per quanto riguarda la storia di questi animali, potremmo dividere in tre “capitoli” coincidenti con le tre parti del continente europeo: occidentale, centrale e orientale.
In quello che possiamo definire il primo capitolo, che temporalmente si estende dal Paleocene al Miocene, i paleobatrachidi si spingono verso nord, raggiungendo il Belgio e l’Inghilterra e diffondendosi in Europa occidentale.
Passano indenni attraverso la transizione Cretaceo/Terziario, quindi, ma la loro condizione di organismi essenzialmente acquatici li mette in difficoltà quando, in corrispondenza del limite Eocene/Oligocene, un raffreddamento a scala globale delle temperaturecausa un passaggio verso condizioni climatiche più aride: è proprio questo evento a innescare la progressiva diminuzione che porterà in seguito alla loro scomparsa dalla parte occidentale d’Europa.
Sul finire dell’Eocene, comunque, riescono a colonizzare anche l’Europa centrale, dando il via a quello che è il secondo capitolo della loro storia; qui gli effetti dell’inaridimento che ne segnano il destino a ovest si sentono molto meno (almeno nell’immediato), come testimoniano i numerosi ritrovamenti oligocenici e miocenici in Germania e Repubblica Ceca.
Nel Pliocene, tuttavia, i paleobatrachidi scompaiono anche da queste zone, forse a causa dell’abbassamento delle temperature sotto il punto di congelamento dell’acqua durante il mese più freddo dell’anno.
Fine della storia di questi anuri?
Ancora no, perché contemporaneamente si aprono le frontiere dell’est.
Mentre la creazione della fossa del Reno (una serie di faglie che creano un mare interno proprio in mezzo al continente europeo) ne impedisce il ritorno a ovest, infatti, l’arcipelago di isole che allora formavano quella che oggi è l’Europa orientale si trasformain un’unica massa continentale in contatto con l’Europa centrale.
Con questa trasformazione geografica inizia il terzo capitolo dell’”epopea” paleobiogeografica dei paleobatrachidi, che dal Miocene arriva fino al Pleistocene ed è ambientato in luoghi come Romania, Polonia e Russia.
Per quanto ne sappiamo fino ad ora, proprio la Russia rappresenta la conclusione sia geografica sia temporale della storia di questa famiglia di anfibi: Apastovo, nel Tatarstan, è la località più orientale in cui essi siano stati trovati, mentre al Pleistocene medio russo risalgono i resti più recenti a essi attribuiti.
È molto probabile che l’espansione verso est del loro areale abbia trovato un limite invalicabile nelle zone periglaciali che circondavano i ghiacciai presenti all’epoca nel nord dell’Europa orientale: essendo anuri essenzialmente acquatici, si ritiene che non potessero sopravvivere in zone in cui per gran parte dei mesi invernali corsi e specchi d’acqua restavano congelati.
A quest’ostacolo insormontabilepresente a nord se ne andò sommando un altro a sud, nella forma di steppe e ambienti aridi che, intrappolando gli ultimi rappresentanti della famiglia tra due sequenze di habitat a loro nettamente sfavorevoli,concorsero probabilmente a causarne l’estinzione.
Ricostruzione artistica di un paleobatrachide che ne mostra l’essenza di animale prevalentemente acquatico. |
Circa 500.000 anni fa si concluse, quindi, la storia della
famiglia Palaeobatrachidae e con la sua estinzione si conclude anche questa mia
momentanea comparsata su Paleostories.
Come ben saprete, però, quando si parla di ricerca scientifica la parola Fine non può mai essere veramente pronunciata e ben presto potrebbe esserci qualcos’altro da dire su questi antichi abitanti delle acque dolci europee.
Non è detto che non ci si possa tornare su più avanti, quindi, sempre su queste pagine,per aggiungere qualche altro dettaglio alla loro storia.
Un ulteriore esempio di storia paleontologica negletta, purtroppo…
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Bibliografia:
Come ben saprete, però, quando si parla di ricerca scientifica la parola Fine non può mai essere veramente pronunciata e ben presto potrebbe esserci qualcos’altro da dire su questi antichi abitanti delle acque dolci europee.
Non è detto che non ci si possa tornare su più avanti, quindi, sempre su queste pagine,per aggiungere qualche altro dettaglio alla loro storia.
Un ulteriore esempio di storia paleontologica negletta, purtroppo…
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Bibliografia:
- Wuttke, M., Přikryl, T., Ratnikov, V.Yu., Dvořak, Z., Roček,
Z. 2012
Generic diversity and distributional dynamics of the Palaeobatrachidae (Amphibia: Anura). Palaeobiodiversity and Palaeoenvironments. DOI 10.1007/s12549-012-0071-y
Generic diversity and distributional dynamics of the Palaeobatrachidae (Amphibia: Anura). Palaeobiodiversity and Palaeoenvironments. DOI 10.1007/s12549-012-0071-y
4 commenti:
Tutti gli argomenti paleontologici sono implicitamente interessanti per chi, come me, ne sa ben poco. A me affascina spt la comparazione strutturale ed i motivi di essa. Es: quali pressioni selettive determinano le variazioni morfologiche e negli attacchi muscolari nei crani di alcuni grandi teropodi predatori? O, nel tuo campo Marco, le differenti composizioni degli scudi tra i vari gruppi di agnati sono perfezionamenti strutturali o il risultato di derive genemiche? Ciao.
Complimenti per l'articolo molto interessante, e soprattutto per la collaborazione al Blog! Continuate così! =)
Essendo io allevatore di Xenopus e Hymenochirus, non ho potuto fare a meno di trovare questo post sui loro antichi parenti davvero interessante! :)
"le differenti composizioni degli scudi tra i vari gruppi di agnati sono perfezionamenti strutturali o il risultato di derive genemiche"
La risposta non è semplice: se per i theropodi è un pò più facile studiare come l'interazione genotipo-fenotipo-ambiente abbia modificato le loro morfologie, conosciamo così poco del mondo degli agnati che queste cose sono più difficili. Ci sono alcune relazioni morfo funzionali che ci aiutano nel dire che, per esempio, agnati dal corpo più piatto e ampio, come gli psammosteidi o i galeaspidi, fossero adattati ad uno stile di vita bentonico, o che alcune estroflessioni laterali potessero essere usate per creare portanza e rendere più facile lo spostamento nel mezzo acquatico. Ma è difficile rispondere se questi siano perfezionamenti strutturali, nostre supposizioni, casi di exaptation o risultato di derive geniche casuali. Purtroppo (ma anche un pò per fortuna, perchè tutto ciò rende certi campi di studi molto avvincenti) di molte coseo paleontologiche sappiamo troppo poco... non ci resta che impegnarci e lavorare...
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