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I thelodonti e l'importanza dei dettagli

Quando iniziai a lavorare per la tesi di laurea triennale, il mio relatore mi disse che avrei dovuto contare una per una, fila per fila, riga per riga, le scaglie dell’esemplare di pesce fossile che avrei dovuto studiare. Immaginate cosa pensai inizialmente di tutto ciò.

Tuttavia, dopo un po’ di tempo che ero piegato sul reperto e contavo e annotavo il numero di scaglie che componevano ogni riga, mi accorgevo di quante informazioni potevano essere ricavate da elementi anatomici così piccoli e apparentemente insignificanti.
Le scaglie hanno una forma, a volte sono ornamentate o possiedono processi peculiari, hanno un orientazione precisa, possono essere disposte tra di loro in molti modi (ad esempio embricate, allineate, sovrapposte, etc..), il loro quantitativo e la loro forma possono variare a seconda della posizione del corpo in cui si trovano (ad esempio essere diverse vicino al cranio rispetto alla zona caudale), etc… Insomma, non pensiate che studiare le scaglie sia una cosa banale e semplice.
La storia di oggi parla del gruppo di vertebrati fossili che forse detiene il primato di importanza per le scaglie: Thelodonti




 Per i coraggiosi studiosi che si vogliono cimentare nello studio dei thelodonti, la conoscenza della struttura delle loro scagli è fondamentale, visto che esse rappresentano quasi la totalità del record fossile attualmente noto relativo a questi animali.
Le loro scaglie presentano  una spessa corona ricoperta di dentina, a volte molto elaborata e una base ossea con una grande cavità della polpa centrale. Queste misurano generalmente da 0,5 a 2 millimetri ed erano disposte lungo tutto il corpo dell’animale e persino all’interno, nella zona della bocca e delle branchie (e, come vedremo dopo, questo potrebbe avere implicazioni filogenetiche importanti).
Ad un primo sguardo ricordano vagamente le scaglie placoidi degli squali. Ovviamente, come avviene anche in molti altri gruppi, la morfologia delle varie scaglie, e qui anche la componente tissutale, cambia a seconda della zona da cui provengono tali scaglie. Come potete intuire, tutto ciò rende difficile individuare le diverse specie partendo unicamente da scaglie isolate, visto che due scaglie di forma diversa potrebbero appartenere allo stesso individuo.
Il lavoro non è certamente facile.

Esempio di quanto possono essere diverse le scaglie di un thelodonte, anche all'interno della stessa specie.

Descrivere la morfologia generale dei thelodonti non è molto semplice, dato che essi sono abbastanza diversi tra loro. La caratteristica comune è che a differenza degli altri “agnati” che abbiamo visto fin’ora (anaspidi esclusi) essi non presentano grandi piastroni dermici ma sono invece ricoperti appunto da minutissime scaglie.
Rari fossili di esemplari completi mostrano forme molto diverse, alcune a corpo alto e appiate lateralmente, come il curioso il gruppo dei Furcicaudiformes, dotati di una strana coda biforcuta e una particolare pinna dorsale triangolare, come in Furcicauda e Sphenonectris, altri taxa invece più allungati, come Loganellia o Thelodus, altri ancora con un corpo piatto ventro-dorsalmente, come Turinia.
Diciamo che non è possibile descrivere la “forma base” di Thelodonti.
Le dimensioni vanno da pochi centimetri fino a quasi 1 metro di lunghezza, ma generalmente in media possiedono una lunghezza di circa 15 centimetri.
Le branchie sono posizionate sotto una sorta di flap, che si proietta lateralmente su entrambi i lati del corpo. Tale struttura potrebbe aver rappresentato l’analogo (non omologo) delle pinne pari. E’ presente una piccola pinna dorsale, tondeggiante o subrettangolare a seconda delle forme, così come una piccola pinna anale. La coda è generalmente ipocerca, ma vi sono alcune eccezioni , come nei furcicaudiformi.

Furcacauda
Sphenonectris










All’interno del gruppo, la diversità di forme presente in Thelodonti a portato a ipotizzare differenze nello stile di vita in rapporto alla morfologia dei vari gruppi (Turner, 1992; Turner 1999): le forme a corpo alto, come i furcidaudiformi, sarebbero stati nuotatori attivi e discreti manovratori, con modalità di alimentazione filtratrici o da predatori attivi; specie piatte dorso- ventralmente invece si sarebbero trovate a più stretto contatto con il terreno, catturando invertebrati nella sabbia o tenendo agguati alle prede, un po’ come le razze. Alcuni telodonti, come Lanarkia, possiedono delle proiezioni spinose molto robuste che si estendono lateralmente dal corpo ed è stato ipotizzato (Turner, 1992) che esse potrebbero essere state protese all’occorrenza, per proteggersi dai predatori, come avviene in vari pesci attuali (ad esempio in maniera simile alla spina della pinna dorsale di alcuni siluriformi).
I più antichi membri del gruppo provengono da depositi dell’Ordoviciano superiore, come quello che abbiamo incontrato qui. Essi subirono una forte radiazione nel Siluriano, dove arrivano addirittura a rappresentare una cospicua porzione della biomassa totale a vertebrati, e nel Devoniano, scomparendo alla fine di questo periodo. Un dato interessante è la diversità geografica – temporale dei thelodonti devoniani, con i taxa euroamericani che si estinguono verso la fine del devoniano inferiore, mentre alcuni generi gondwaniani, come Turinia, persistono fino alla fine del Devoniano. Inoltre, sembra che il gruppo si sia originato in ambienti marini per poi passare ad una fisiologia più eurialina, con specie capaci di abitare anche acque salmastre o dolci (Turner, 1999).
Dal punto di vista filogenetico, i thelodonti racchiudono ancora parecchi misteri. Varie caratteristiche invece, come la presenza di denticoli all’interno nella faringe (osservati in Loganellia), di uno stomaco ben formato (ma attenzione alle “macchie” e ad affermare con troppa sicurezza la presenza o l’assenza di parti molli nei fossili) e di scaglie simili a quelle placoidi degli squali, sembrano porre Thelodonti in stretta relazione con i vertebrati con le mascelle. Alcuni studiosi, come la paleontologa australiana Susan Turner, ritengono che essi possano essere considerati i più prossimi parenti degli squali, e stanno indagando su una possibile origine dei denti degli gnathostomi a partire dalle scaglie di questi animali (Turner and Miller, 2005). 
Altre caratteristiche anatomiche, come la presenza di una coda biforcuta (osservata anche in alcuni strani heterostraci canadesi – Pellerin e Wilson, 1995) e l’assenza di pinne pari, accomunano questi animali agli heterostraci.

Forse, la risposta sta nel mezzo.
La monofilia di Thelodonti potrebbe non essere così robusta, con forme che andrebbero a cadere vicino agli heterostraci e altre che sarebbero più legate ai vertebrati con le mascelle.
Anche in questo caso, come spesso accade, c’è ancora molto lavoro da fare.
Quest’affascinante mondo di scaglie e taxa con caratteristiche anatomiche “ben shakerate”  nel prossimo futuro darà sicuramente molto filo da torcere (ma anche grande soddisfazione) ai paleontologi.
Non sorprendetevi né meravigliatevi se leggete di studi basati su scaglie o microfossili: il record paleontologico è avaro e in certi casi, come spero di avervi mostrato oggi, anche un pugno di scaglie può raccontarci cose che non ci saremmo mai aspettati di poter pensare.

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Bibliografia:

- Pellerin N. M., and Wilson M. V. H. 1995 
New evidence for structure of Irreulareaspididae tails from Lochkovian beds of the Delorme Group, Mackenzie Mountains, Northwest Territories, Canada.  Geobios, Mémoire spécial 19:45-50

- Turner,S.  1992 
Thelodont lifestyles. Pp 21-40 in Mark – Kurik, E. (ed.), Fossil fishes as living animals. Academy of Sciences, Estonia.

- Turner, S. 1999 
Early Silurian to Early Devonian thelodont assemblages and their possible ecological significance. In Boucot A. J. and Lawson J.D. (ed), Paleocommunitiies – a case study from the Silurian and Lower Devonian Pp 42 - 78. Cambridge University Press, United Kingdom.

- Turner, S. and Miller R.F. 2005 
New Ideas About Old Sharks, American Scientist 93: 244 - 252

1 commento:

Marco Milardi ha detto...

Bell'articolo, bravo!