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Le Cronache di Placodermata (CdP). Episodio 1: la doppia faccia dei placodermi

Con questo post inizio finalmente la serie sui placodermi, come avevo promesso ormai oltre due mesi fa (scusate). Sarà un viaggio lungo attraverso un intricato mondo di termini anatomici, dettagli morfologici, bellissimi fossili tridimensionali, piastre isolate, enormi predatori e piccole forme detritivore. Sarà un viaggio anche nella confusione sistematica, nei miraggi filogenetici e nelle dispute scientifiche.
Insomma, avremo di che discutere nei prossimi mesi.
Visto che l’argomento è ampissimo e non facile, ho deciso di partire piano, dedicando i primi post all’anatomia dei placodermi e alla terminologia necessaria, passando poi all’analisi dei vari gruppi, della loro anatomia, ecologia e filogenesi. E chissà, alla fine di questa estenuante fatica, magari avremo tutti quanti imparato di più a proposito di questo groviglio paleontologico, me compreso. Partiamo.

Nel mondo della divulgazione paleontologica, i placodermi godono di una certa popolarità e sono sovente presenti nei musei, nei libri e nei documentari. Questo è dovuto soprattutto all fatto che molti essi possiedono caratteristiche molto amate dal grande pubblico, come dimensioni importanti, mascelle da predatore, rivestimento corazzato e faccia cattiva. La star, l’avrete già capito, corrisponde senza dubbio al nome di Dunkleosteus, un animale che avrete sicuramente visto da qualche parte prima d’ora. Ma il mondo dei placodermi non è solo muscoli e aggressività, come ci viene spesso detto, ma nasconde numerose sfaccettature, alcune anche assolutamente inaspettate.
Ma cosa sono i placodermi? Quando e dove vissero? Perché sono così famosi?


Partiamo dal nome, che spesso si riferisce a qualche caratteristica importante (ricordate: nomina sunt consequentia rerum, come dicevano i nostri avi latini). Placodermata significa letteralmente “pelle a piastre” (plakos= piastra; derma= pelle), ed effettivamente è questa la caratteristica che più distingue i placodermi: parte del loro corpo (soprattutto la loro zona cefalica) è formata da tante placche, di forma, posizione e dimensioni diversa a seconda del “tipo” di piastra, che si interconnettono tra di loro a formare un rivestimento esterno duro mineralizzato. E’ proprio questo rivestimento duro e robusto che ha permesso a tanti esemplari di placodermi di arrivare fino a noi, sotto forma di fossili. Il numero di piastre è variabile, ma possiamo avere fino a oltre 50 elementi singoli. Le piastre sono interconnesse a formare due zone ben distinte, la corazza cefalica e la corazza toracica, ognuna appunto formata da più elementi.
Le piastre infatti ricoprivano solo la zona cefalica e il torace, mentre il resto del corpo era invece rivestito probabilmente di scagliette di piccole dimensioni. Della morfologia post toracica di molti placodermi si sa ancora poco o nulla, dunque la maggior parte delle informazioni in nostro possesso, e che possiamo usare per scoprire le loro caratteristiche e la loro evoluzione, deriva dalle piastre anteriori.

Anatomia generale di un placoderma.

I placodermi furono uno dei gruppi di maggior successo nel Paleozoico inferiore, in particolare nel Devoniano. Resti di questi animali sono stati trovati praticamente ovunque, dall’Artide (Kiaer, 1915) all’Antartide (Young, 1991), passando per depositi situati a oltre 3700 metri di altitudine (Lago Titicaca, Diaz- Martinez et al., 1996), fino ai 3828 metri di profondità, in sedimenti sottomarini (White, 1969). Di essi conosciamo esemplari lunghi da pochi millimetri come Minicrania, con una zona cefalica di circa 2 milimetri, fino agli enormi Titanichthys e Dunkleosteus, di oltre 8 metri di lunghezza (Young, 2010).

I più antichi placodermi risalgono a circa 440 milioni di anni fa, nel Siluriano inferiore (Llandovery). Dell’evoluzione dei placodermi in questo periodo sappiamo molto poco, perché gran parte dei resti sono rappresentati da frammenti sparsi. Addirittura fino a circa 30 anni fa essi erano noti solo in strati del Devoniano e si pensava fossero apparsi in una sorta di boom evolutivo. I successivi ritrovamenti di placodermi siluriani hanno permesso sia di ampliare la loro distribuzione temporale, sia di ipotizzare che la loro scarsità nel record fossile sia in realtà dovuto al fatto di non aver ancora scavato nei punti giusti. La maggior parte dei placodermi siluriani deriva infatti da depositi della Cina meridionale, una zona ancora da esplorare in maniera intensiva (scavi sono in corso anche in questo preciso istante). Un dato fondamentale da sottolineare è che da questi siti siluriani sono arrivati anche un paio di gioielli, come Silurolepis e Entelognathus (di cui ho parlato qui), taxa che ci hanno fornito numerose informazioni cruciati per la filogenesi dei placodermi. La scoperta di nuovi placodermi siluriani è una delle più grandi speranze dei paleoittiologi che si occupano del paleozoico.
Superato l’oscuro Siluriano, ci si apre davanti una pletora di fossili devoniani. Grazie ad essi sappiamo che già nel Devoniano inferiore i placodermi erano presenti praticamente ovunque sia in ambienti marini che di acqua dolce o salmastra. Essi raggiunsero il periodo di massimo splendore nel Devoniano medio, fino a scomparire poi alla fine del Devoniano. Ma della distribuzione temporale e geografica dei placodermi ci occuperemo in un post apposito.

Perché i placodermi sono così famosi e studiati? Diciamo che i motivi principali sono due, contrastanti tra loro. Innanzi tutto, essi rappresentano gli unici stem gnathostomi dotati di mascelle, posizionandosi infatti tra gli ostracodermi (senza mascelle) e i crown gnathostomi (con mascelle). Inoltre, alcuni placodermi sono noti per essere i primi vertebrati muniti di pinne pelviche (assenti negli agnati), i primi veri denti e per possedere un sistema nervoso simile a quello dei crown gnatostomi. Dal punto di vista anatomico, dunque, essi rappresentano taxa chiave per la nostra conoscenza su come si è passati dalla morfologia dei primi stem gnathostomi fino a quella degli animali attuali con mascelle.
Nonostante però siano stati e siano tutt’ora molto studiati, i placodermi rappresentano un vero incubo per i paleontologi che si occupano di filogenesi. Studi recenti (Brazeau 2009, Davies et a., 2012; Zhu et al., 2013; Brazeau and Friedman, 2014) hanno evidenziato come I placodermi, precedentemente ritenuti un gruppo monofiletico, siano in realtà un gruppo parafiletico format da tanti gruppi relazionati in modo differente tra loro e gli altri gnathostomi. Di alcuni di questi gruppi, come vedremo, sappiamo ancora pochissimo e perciò sono una vera sfida per chi tenta di studiarne l’evoluzione e la filogenesi.
E’ frustrante ma stimolante che il gruppo di animali probabilmente più importante per lo studio del passaggio tra animali senza mascelle e animali con mascelle sia in realtà un groviglio di taxa che non possiamo ancora inquadrare con certezza all’interno di un contesto evolutivo.

Questo è quello che scriveva Alfred S. Romer, grande paleontologo dei vertebrati, nel 1966:
“Except for the little Acanthodians, the Placoderms are the oldest of all jawed vertebrates. They appear at a time- at about the Silurian- Devonian boundary- when we would expect the appearance of proper ancestors for the sharks and higher bony fish groups. We would expect generalized forms that would fit neatly into our preconceived evolutionary picture. Do we get them in the Placoderms? Not at all. Instead, we find a series of wildly impossible types which do not fit into any proper pattern; which do not, at first sight, seem to come from any possible source, or to be appropriate ancestors to any later or more advance types. In fact, one tend to fell that the presence of these Placoderms, making such an important part of the Devonian fish story, is an incongruous episode: it would have simplified the situation if they had never existed! But they did exist… (from Vertebrate Paleontology, 1966)

Quasi cinquant’anni dopo, la situazione non è cambiata di molto.
Lo scopo di questa serie di post sarà proprio quello di cercare di analizzare i vari gruppi di placodermi per cercare di carpirne le caratteristiche più interessanti e che possono aiutarci nell’indagine paleontologica.
Nel prossimo post parleremo dell’anatomia generale dei placodermi. In seguito verranno presentati molto brevemente i vari gruppi di placodermi, in modo che quando inizieremo a parlare di anatomia, potremmo sempre avere un riferimento generico dei taxa menzionati. Ad essi però verranno dedicati dei post specifici più avanti. A questo punto inizieremo ad addentrarci nell’anatomia dei placodermi e vedremo quali tipi di piastre compongono la loro armatura cefalica e toracica, come è fatto il loro sistema sensoriale, di che tessuto è fatto il loro scheletro, cosa e quanto sappiamo dell’anatomia interna, etc..
Spero di riuscire a trattare l’argomento in maniera semplice da capire ma adeguata. 
Mi auguro possa essere interessante per voi e utile per me.

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Bibliografia:

- Brazeau M.D. 2009.
The braincase and jaws of a Devonian ‘acanthodian’ and modern gnathostome origins.
Nature 457: 305–308.

- Brazeau M.D. and Friedman M. 2014
The characters of Paleozoic jawed vertebrates.
Zoological Journal of the Linnean Society

- Davis S.P., Finarelli J.A., Coates M.I. 2012.
Acanthodes and shark-like conditions in the last common ancestor of modern gnathostomes.
Nature 486: 247–250.

- Diaz-Martinez E., Suarez-Riglos M., Lelievre H. and Janvier P. 1996
 Premiere d´ecouverte d’un Arthrodire (Placodermi, Vertebrata) dans le Devonien d’Amerique du Sud.
C. R. Acad. Sci. Paris 323:349–56

- Kiaer J. 1915.
Upper Devonian fish remains from Ellesmere Land, with remarks on Drepanaspis.
Rep. Second Nor. Arct. Exped. “Fram” 1898–1902, No. 33

- Romer A.S. 1966
Vertebrate paleontology. 3rd edn.
Chicago IL: University of Chicago Press.

- White E.I. 1969
The deepest vertebrate fossil and other arctolepid fishes.
Biol. J. Linn. Soc. London 1:293–310

- Young G.C. 1991
Fossil fishes from Antarctica.
In The Geology of Antarctica, ed. RJ Tingey, pp. 538–67. Oxford: Oxford Univ. Press

- Young G.C. 2010.
Placoderms (armored fish): dominant vertebrates of the Devonian Period.
Annual Review of Earth and Planetary Sciences 38: 523–550.

- Zhu M., Yu X., Ahlberg P.E., Choo B., Lu J., Qiao T., Qu Q., Zhao W., Jia L., Blom H. and Zhu Y. 2013.
A Silurian placoderm with osteichthyan-like marginal jaw bones.
Nature 502: 188–193

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