Per chi si fosse perso i due post precedenti (qui e qui), riassumo dicendo che sono state trovate, in
Polonia, nella cava di Zachelmie, orme di tetrapodi di vario tipo (piste, orme
singole) e dimensioni, in strati marini di ben 10 milioni di anni più antiche
di qualunque resto scheletrico noto di tetrapodomorfo. Esse indicano come, a
differenza di quello che si pensava prima di questa scoperta, vari taxa di tetrapodi
erano già presenti nel Devoniano Medio.
Negli scorsi post ho parlato dei risvolti relativi al tempo
e all’ambiente in cui si sono originati
i tetrapodi.
Oggi invece vi voglio mostrare forse il più importante
insegnamento dato da questo ritrovamento.
Alcuni utenti mi hanno scritto in privato dicendomi di
essere rimasti un po’ confusi da questa scoperta: “ma quindi i tetrapodi si
sono originati in acqua dolce o salata?” Com’è possibile che i resti di tetrapodomorphi siano più recenti dei primi segni di tetrapodi?”
Queste domande sono tutte correlate ad una sola, grande
domanda, che è l’argomento del post di oggi: “quanto il record fossile dei
primi tetrapodi rispecchia la loro reale evoluzione?”
Il problema è proprio questo.
Non sappiamo niente di cosa è successo nell’evoluzione dei tetrapodi per ben 20 milioni di anni!
Inoltre, anche i resti fossili dei primi tetrapodomorfi
(es. Panderichthys) sono stati rinvenuti
in strati di circa 10 milioni di anni più recenti delle prime orme dei
tetrapodi.
Questo vuol dire che, ipotizzando che il punto di divergenza
tra i tetrapodi e gli altri sarcopterigi è avvenuto prima delle orme di
Zachelmie, non conosciamo niente delle forme di tetrapodomorphi basali vissuti
tra il Devoniano medio e Panderichthys.
Insomma, una situazione abbastanza desolante.
Tutto questo deriva dal fatto che il processo di
fossilizzazione è molto raro e molto spesso collegato a parametri ambientali
ben definiti. Non basta che in un dato luogo vi sia abbondanza di organismi
viventi: perché questi si fossilizzano servono condizioni chimico – fisiche,
temporali, diagenetiche, ben precise.
Analizzando il record fossile dei primi tetrapodi, questo
appare chiaro.
Le orme di Zachelmie si trovano all’interno degli strati
della formazione Wojciechowice, deposta in ambiente di acqua marina bassa. Benché
si siano preservate molto bene un gran numero di orme, questa formazione è
poverissima di resti fossili. Non vi è traccia osteologica di nessun possibile
tetrapode che abbia lasciato quelle orme.
I depositi in cui sono stati trovati i resti dei primi tetrapodi (es. Ichthyostega e Acanthostega), invece, sono collegati ad ambienti di acqua dolce o salmastra, ricchi di vegetazione, e sono solitamente ricchi di fossili.
I depositi in cui sono stati trovati i resti dei primi tetrapodi (es. Ichthyostega e Acanthostega), invece, sono collegati ad ambienti di acqua dolce o salmastra, ricchi di vegetazione, e sono solitamente ricchi di fossili.
Dunque, da ambienti diversi provengono tipi di fossili
diversi: il fatto che i più antichi segni di tetrapodi provengano da ambienti d’acqua
marina non significa per forza che essi si siano originati in tale ambiente ma è
correlato alla tafonomia.
Inoltre, gran parte dei ritrovamenti di tetrapodi basali
derivano da depositi europei o groenlandesi, mentre rocce della stessa età del
resto del mondo sono state ben poco scavate.
Dunque, a scoperta delle orme di Zachelmie ha focalizzato l’attenzione sulla tafonomia e sulla scarsità del record fossile. Con un gap di circa 20 milioni di anni esistente tra i primi segni (orme) di tetrapodi e i primi resti osteologici di tetrapodi, nonché con importanti differenze ambientali per quanto riguarda le possibilità di conservazione allo stato fossile di questi animali, dobbiamo aspettarci nei prossimi anni notevoli sorprese.
Tuttavia, nonostante l’incompletezza del record fossile, il
lavoro dei paleontologi di tutte questi anni è risultato fondamentale per la
nostra comprensione dei passaggi morfologici che hanno portato allo sviluppo
degli arti e delle dita. Oggi sappiamo che alcuni sarcopterigi hanno sviluppato
le dita da una pinna carnosa dotata di ossicini che sono poi diventate le
nostre ossa del polso, che è avvenuto un processo di trasformazione del cranio
verso forme sempre più specializzate per un ambiente aereo, che la colonna
vertebrale ha subito modificazioni per aumentare il sostegno del corpo fuori
dall’acqua.
Il mito della conquista della terraferma è caduto: sappiamo
abbasta cose su come si sono originati i
tetrapodi e sulle loro modificazioni anatomiche. Ma attenzione a non credere
in altri miti: al momento non sappiamo quasi niente di dove, quando e in che
ambiente.
Abbiamo dunque ancora molta strada da fare prima di poter
ricostruire l’origine dei tetrapodi tutte le sue sfaccettature. E questo è
senza dubbio un grande stimolo per i paleontologi di oggi e di domani
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