Questo è l’ultimo post della serie sull’estinzione ordoviciana.
Nel primo abbiamo visto la portata dell’evento glaciale avvenuto verso la fine di questo periodo, probabilmente la causa prima dell’estinzione; nel secondo abbiamo invece tentato di capire quali furono i motivi che portarono all’innesco di questa fase glaciale intensa all'interno di un periodo di clima caldo e umido come fu praticamente tutto l’Ordoviciano.
In questo ultimo post analizzeremo infine le vittime, la portata distruttiva dell’estinzione e le cause più specifiche che portarono i vari gruppi a subire fenomeni di estinzione in alcuni casi anche superiori al 50%.
Nonostante sia ormai appurato che gran parte della LOME fu causata dalle conseguenze dirette dell’insorgere della glaciazione, è altresì chiaro che il fenomeno di estinzione fu esteso a tutto il globo, anche a zone, come i continenti di Laurentia, Baltica e Siberia, che non erano (o lo erano parzialmente) interessati dalla calotta polare e che stavano vicino alle zone equatoriali.
Dunque, benché la glaciazione colpì duramente un mondo di esseri viventi abituati ad un clima caldo e umido globale, non va trascurato il fatto che anche in posti dove la glaciazione si fece sentire meno (come le fasce equatoriali) avvennero drastici eventi di sparizione di taxa.
Nel 2011, Christian Rasmussen e David Harper hanno puntato l’attenzione su un altro fattore geofisico che potrebbe aver avuto un ruolo importante in questa estinzione.
Abbiamo visto nel post dedicato alla G.O.B.E. e alla paleobiogeografia vertebrati ordoviciani come l’Ordoviciano fu caratterizzato da un grande tasso di endemismo, dovuto anche al particolare momento geofisico della Terra, con continenti molto distanziati tra loro, piccole isole e arcipelaghi fonte di nuovi habitat, un livello del mare molto alto con conseguente formazione di numerosi mari epicontinentali (luoghi ideali alla speciazione), etc.
Se si osservano i movimenti delle placche e lo spostamento dei continenti nel corso del periodo Ordoviciano fino al successivo Siluriano, si vede chiaramente come le masse continentali si siano piano piano avvicinate e compattate, in quel fenomeno che porterà poi alla creazione di un nuovo grande supercontinente, la celeberrima Pangea.
Rasmussen e Harper (2011) suggeriscono che proprio questo cambiamento della conformazione dei continenti, con riduzione delle isole e delle aree costiere, quindi con la perdita di numerosi habitat, abbia pesantemente influenzato la vita degli organismi di acque basse – medio basse, portando al declino di numerose comunità endemiche di questi ambienti. Poi, l’avvento della glaciazione portato ulteriori difficoltà (una sorta di “colpo di grazia”) ad una situazione già in crescente declino.
Mappa geofisica della Terra nell'Ordoviciano superiore (sopra) e nel
Siluriano (sotto). Notare come cambia soprattutto la disposizione di
Laurentina, Baltica e Siberia
Lo studio di Rasmussen e Harper fornisce un ulteriore ottima prospettiva di quanto fattori secondari e extraglaciazionali possano aver influito su questo evento, soittolineando come questo sia stato molto duro anche perchè indirizzato da più fenomeni diversi.
Alla fine, possiamo dire che particolare ciò che veramente colpì la vita fu la perdita degli habitat e la trasformazione delle loro condizioni di vita. Queste, furono dovute ad un cambiamento nella geofisica del pianeta, ma anche agli effetti secondari della glaciazione, come il drastico abbassamento del livello dei mari (dovuto all’acqua trattenuta dalla calotta glaciale), con conseguente sparizione dei numerosi mari epicontinentali, o come il rimescolamento di acque calde poco ossigenate con acque fredde ben ossigenate, che comportò sensibili cambiamenti nelle temperature e nel grado di ossigenazione dei mari ordoviciani e difficoltà sia alle specie adattate ad acque ben areate che a quelle amanti degli ambienti disaerobici.
Tutto questo avvenne in maniera più o meno globale, così che i taxa che abitavano le zone non colpite direttamente dalla glaciazione furono comunque messi a dura prova dai cambiamenti ecologici dovuti alle generali trasformazioni climatiche e geofisiche del pianeta.
Ma quali gruppi furono colpiti e quanto duramente?
L’estinzione interessò in egual modo tutto il pianeta o in modo diversi ambienti e taxa diversi?
Come accaduto per tutti gli eventi di estinzione di massa, anche la LOME non fu così drastica per tutti i gruppi di organismi viventi. Alcuni subirono gravi conseguenze, altri furono poco interessati da questo eventi e proseguirono il loro cammino senza intralci. Anche a livello geografico, si possono fare interessanti osservazioni che indicano come l’estinzione si fece sentire in modo diverso a seconda delle diverse aree e dei diversi tipi di ambienti.
Inoltre, a differenza di altre estinzioni, la causa climatica della LOME provocò una situazione di doppia trasformazione climatica, tale che possiamo evidenziare due distinti momenti di crisi biologica (Sheenhan, 2001): uno all’inizio della glaciazione, con l’estinzione dei taxa ordoviciani abituati al clima caldo a seguito della diminuzione delle temperature e della fase glaciale, e un secondo momento alla fine della glaciazione, quando la fine della glaciazione, l'aumento delle temperature e un nuovo innalzamento del livello del mare provocò l’estinzione della fauna hirnatiana, abituata a climi freddi, che si era insediata a seguito del raffreddamento globale e dell’occupazione delle nicchie ecologiche lasciate libere dall’estinzione delle associazioni di clima più caldo.
La zona più colpita fu ovviamente quella dei mari epicontinentali, prosciugati dal crescere della calotta di ghiaccio, che videro la sparizione delle loro tipiche faune endemiche e una riduzione drastica di superficie e biodiversità. Meno colpite invece le faune abitanti i mari aperti, dove l’abbassamento del livello del mare non modificò le loro condizioni di vita.
Tra gli organismi, si estinse la quasi totalità dei brachiopodi abitanti la Laurentia, la Baltica e la Siberia (Sheenhan & Coorough, 1990), a causa della perdita di habitat, così come la maggior parte dei numerosi brachiopodi che componevano la fauna a Hirnantia, a causa del riscaldamento post glaciazione (alcuni riuscirono comunque a superare la glaciazione). Quasi metà (6 su 15) delle famiglie di brachipodi inarticolati, fino ad allora i dominatori del benthos, furono spazzate via dall’estinzione, con i restanti che mai più ritornarono al vecchio splendore (Holmer e Popov, 1996).
Per quanto riguarda i coralli, si assistette ad un cambiamento nella dominanza tra i rugosa e i tabulata, con i primi che sorpassarono i secondi come numero (Scrutton, 1998) e continuarono la loro radiazione, fino alla fine dell’Devoniano dove entrambi i cladi, molto, molto abbondanti, subirono un duro colpo. La glaciazione ordoviciana causò comunque episodi di estinzione locale di comunità endemiche di coralli, come quella presente in Nord America (Elias & Young, 1998).
Trematis millepunctata (a sinistra in vista dorsale, a destra in vista ventrale)
brachiopode inarticolato dell'ordoviciano superiore di Cincinnati.
Da http://drydredgers.org/brach_trematis.htm
Un corallo del gruppo dei Tabulata (destra) e dei Rugosa (sinistra), entrambi dall'Ordoviciano superiore Nordamericano.
Foto dell'Università di Bristol (sinistra) e dell'Università del Kentucky (destra.
Simili episodi di estinzioni localizzate
si verificarono anche tra gli echinodermi, con la sparizione di oltre
il 70% dei generi di crinoidi nordamericani in seguito alla glaciazione
(Eckert, 1988). Durante il periodo freddo, apparvero nuovi crinoidi che
sopravvissero alla crisi (con comunque un 30% di estinzione a livello
generico dovuto all’aumento di temperature post glaciazione). Fenomeni
analoghi avvennero anche tra i trilobiti, con faune endemiche che si
estinsero e altre che videro una netta radiazione, passando quasi senza
problemi il limite O/S. Una curiosità legata ai trilobiti riguarda la
maggior sparizione di faune di acqua profonda rispetto a quelle di acqua
bassa (Owen et al., 1991), nettamente in contrasto con quanto
verificato negli altri gruppi.
Notevolmente colpiti furono i conodonti, che subirono una diminuzione di
oltrel’80% (Sweet, 1990) e furono senza dubbio il gruppo maggiormente
danneggiato, gli ostracodi, con la sparizione di circa 1/3 delle
famiglie (Copeland, 1981). Tra i grossi predatori, molto forte fu
l’effetto dell’estinzione sui cefalopodi, in particolare sui nautiloidi
(Crick, 1990).
Altri gruppi videro notevolmente ridurre la loro distribuzione
geografica, come i graptoliti, che da globali divennero confinati a
tropici (Skevington, 1978).
Vi furono però anche vari gruppi che non subirono danni significativi e continuarono il loro cammino evolutivo senza particolari problemi, soprattutto per quanto riguarda il plancton (acritarchi, chitinozoi e radiolari furono poco colpiti), i gasteropodi (solo il 31% di estinzione a livello generico) o i briozoi (appena il 13% delle famiglie estinte, anche se vi fu un forte declino di alcuni gruppi tipici dell’Ordoviciano).
Un misterioso dato riguarda i vertebrati: il record fossile attuale indica una netta distinzione geografica delle faune ordoviciane a vertebrati, come abbiamo visto qui. Dall’inizio di questo periodo, man mano che si va verso la fine dell’ordoviciano, sembra che le faune a vertebrati si spostino sempre più a Nord, verso l’equatore. Durante e dopo la glaciazione, si assiste addirittura alla comparsa di nuove forme, con le maggiori innovazioni morfologiche all’interno di telodonti, pteraspidomorphi e acanthodi. Poi, attorno al limite Ordoviciano/Siluriano, per un periodo di circa 3 milioni di anni, si ha un gap nel record fossile (chiamato da Turner et al., nel 2004, il “Talimaa’s gap”). In questo intorno non sappiamo niente della storia dei vertebrati, fino alle prime forme di inizio Siluriano, che comunque senbrano non aver sofferto particolarmente la crisi, visto che abitavano principalmente le zone equatoriali.
In generale, i taxa cosmopoliti o i gruppi con distribuzione geografica molto estesa subirono perdite più contenute.
Si dice che l’estinzione ordoviciana fu poco importante dal punto di vista ecologico, visto che quasi nessun gruppo si estinse completamente e che la veloce ripresa siluriana riportò le catene trofiche e le comunità ecologiche ad un grado molto simile a quello pre-estinzione (Sheenhan, 2001).
Tuttavia, credo che questa conclusione non renda troppa giustizia a quello che è stato il secondo evento di estinzione di massa, in termini i di specie scomparse, che la Terra abbia mai visto da quando la vita complessa è apparsa su di essa. Inoltre, si sottovaluta come essa sia avvenuta dopo un grandissimo evento di biodiversificazione, che ne ha un po’ mitigato le conseguenze, almeno dal punto di vista ecologico e filogenetico.
Vorrei concludere citando un pezzo della pubblicazione di Rasmussen e Harper (2011), che esplicita in maniera molto diretta quello che anch’io penso della LOME e della sua importanza.
“If life had not been so well diversified as it was at the end of the Ordovician, this particular mass extinction event could very possibly have had an even more severe outcome that could have seriously influenced the subsequent overall structure of palaeozoic ecosystem”
“Se la vita non fosse stata così ben diversificata come lo era alla fine dell’Ordoviciano, questo particolare evento di estinzione di massa avrebbe potuto avere un effetto molto più severo, che avrebbe seriamente influenzato la seguente struttura generale degli ecosistemi paleozoici.”
Per favore, almeno voi che avete letto il post, non lasciate l’estinzione di fine Ordoviciano nel cassetto ma ricordatevi di quanto è stata importante per la vita sul nostro pianeta.
Con questo post chiudo un bel pezzo di storia di questo blog, che si è concentrato per molto tempo sull’Ordoviciano e i suoi abitanti.
Da qui in poi, continueremo il nostro viaggio nell’evoluzione dei vertebrati.
A presto, nel Siluriano, su Paleostories!
1 commento:
Ciao Marco, bell'articolo.
Continua così.
Federico
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