"Supporre che l’occhio con tutti
i suoi inimitabili meccanismi per aggiustare la focalizzazione a
differenti distanze, per far entrare differenti quantità di luce e
per correggere l’aberrazione sferica e cromatica, si possa esser
formato con selezione naturale, sembra, lo confesso liberamente,
assurdo al massimo grado. [...] La ragione mi dice che se numerose
gradazioni da occhio semplice ed imperfetto ad uno complesso e
perfetto, possono esser dimostrate nella loro esistenza, se in più,
l’occhio cambia sempre e le variazioni sono ereditate, come è
parimenti sicuramente il caso; e se queste variazioni sono utili a
qualche animale in condizioni di vita mutevoli, allora la difficoltà
di credere che un occhio perfetto e complesso può esser formato
dalla selezione naturale, tuttavia insuperabile nella nostra
immaginazione, non è considerata così sovversiva. "
C. Darwin,
L'origine delle specie, Capitolo 6
Vedere
è importante.
Anzi,
non solo è importante ma in molti casi può essere determinante per
sopravvivere, nutrirsi e dare una discendenza.
Il
mondo animale è un mondo dominato dai colori, dai segnali visivi,
dalle interazioni dirette tra paesaggio in cui essi vivono e
percezione dello stesso.
Va da
se quindi che l'evoluzione degli occhi e del modo di vedere abbia
costituito un argomento fondamentale nella storia della vita degli
organismi.
Nel
capitolo sesto del suo "L'Origine delle specie", Charles R.
Darwin aveva capito come la spiegazione dell'evoluzione di organi
così complessi come l'occhio, fosse uno dei punti chiave per
dimostrare la veridicità della sua teoria (oggi dimostata come
fatto, che vi piaccia o no).
Ed
effettivamente, l'evoluzione dell'occhio è qualcosa di veramente
complesso, che ancora oggi non si è compresa fino in fondo.
In
questo post, vedremo brevemente cosa sappiamo dell'evoluzione
dell'occhio per quanto riguarda i vertebrati, e in particolare le
prima fasi della loro storia.
Lasciatevi incantare dallo sguardo di questa lampreda |
Decidere
se un occhio riesce a distinguere bene le immagini e/o è in grado di
vedere i colori, non è una cosa facile da fare in un fossile, visto
che queste strutture così delicate si conservano molto raramente
(quasi mai, non conosco neanche un caso ma non posso escludere
niente).
Dunque,
per studiare l'evoluzione degli occhi nei vertebrati, dobbiamo andare
a vedere come vedono i rappresentanti attuali dei vari gruppi (i cuoi
occhi possono essere studiati in laboratorio con le più disparate
tecniche) e poi fare ipotesi per quanto riguarda il passato.
Vediamo
dunque cosa possiamo dire degli occhi di alcuni dei rappresentanti
dei principali gruppi di vertebrati esistenti.
Le
missine possiedono un paio di occhi laterali icorporati sotto un
sottile strato di pelle. I loro occhi non sono particolarmente
sviluppati, mancando sia del sistema di lenti tipico degli altri
vertebrati che di muscoli per il movimento degli occhi. Benchè non
sia stati effettuati molti esperimenti e se ne sa ancora poco, sembra
(Lamb et al., 2008) che le missine posseggano un sistema visivo
abbastanza scarso, che non riesce bene a mettere a fuoco le immagini
ma che funzioni piuttosto come organo sensoriale per captare
differenze di luce e controllare il ritrmo circadiano (del giorno e
della notte).
I ben
più numerosi studi sugli organi visivi delle lamprede danno invece
qualche informazione aggiuntiva. Gli occhi delle lamprede sono ben
sviluppati e prominenti (dunque non coperti da nessun epitelio),
piuttosto simili a quelli degli altri vertebrati, con un sistema di
lenti multi focali, muscoli per muovere gli occhi e una retina ben
sviluppata (Gustafsson et al., 2008). Le larve delle lamprede invece
mostrano un'interessante similitudine nel sistema ottico con le
missine. Esse infatti posseggono occhi incorporati sotto la pelle,
una retina ancora parzialmente indifferenziata e scarsa capacità di
mettere a fuoco le immagini.
Andando
più su di grado, poi, troviamo che tutti gli gnathostomi – con
qualche eccezione, come le chimere - posseggono occhi ben formati,
generalmente grandi e con alta capacità di mettere a fuoco, nonchè
con un sistema di lenti e muscoli decisamente sviluppato.
Recentemente sono stati effettuati numerosi studi su vari gruppi di
gnathostomi, tra cui anche alcune forme ritenute più primitive, come
i dipnoi (Hart et al., 2008) o gli squali chimeroidi (Davies et al.,
2009).
Lo
studio degli organi sensoriali fotorecettori (generalmente occhi) di
questi gruppi è qualcosa di molto importante, perchè essi
rappresentano taxa chiave nell'evoluzione dei vertebrati, fornedo
così una sorta di scorcio sul passato – anche se sempre parziale
-.
Considerando
questi dati nell'insieme si può presumere che l'occhio dei
vertebrati (missine comprese) così come lo conosciamo ora, che ben
si differenzia da quello degli invertebrati per tutta una serie di
parametri morfologici, si sia originato quasi subito nella storia del
gruppo. Il possesso comune di lamprede e gnathostomi di occhi
similmente complessi, con lenti multifocali, porta a ipotizzare che
essi fossero presenti già nell'antenato comune a lamprede e
gnathostomi. Poi, per tranquillizzare il buon Darwin, comunque la
selezione naturale ha affinato e selezionato vari tipi di occhi per
poter meglio adattarli a tutti gli ambienti (da un medesimo occhio
complesso derivano organi per vedere al buio, fuori dall'acqua, in
acqua, con abilità più o meno diverse di mettere a fuoco l'immagine
da distante diverse, etc..).
L'occhio
dei vertebrati, più o meno come lo conosciamo ora, è stata una
caratteristica importante già dei primissimi vertebrati.
(Questione
aperta riguarda le missine e il loro occhio ancora primitivo, il cui
significato è strettamente legato alla loro posizione filogenetica.
Considerando i cyclostomi monofiletici, si può ipotizzare che
l'occhio delle missine possieda una struttura così meno complessa a
causa di una profonda modifica dettata dal loro particolare ambiente
di vita, e che quindi la condizione basale dei cyclostomi è il
possesso di un occhio complesso come quello degli gnathostomi. Chi
supporta ancora la parafilia di Cyclostomata, invece, ponendo le
missine come più primitive delle lamprede, considera l'occhio delle
missine come una forma intermedia tra quello degli invertebrati e
quello degli altri vertebrati)
E per
quanto riguarda i colori? Oggi sappiamo che più o meno tutti i
vertebrati posseggono occhi capaci di vedere varie scale cromatiche
(chi più chi meno) e diverse sfumature, sia fuori dall'acqua che in
acqua. Recettori di colore sono stati ritrovati nelle lamprede, nei
pesci cartilaginei, nei pesci ossei e in quasi tutti i tetrapodi.
(Diffidate
di chi vi dice che solo l'uomo e pochi altri animali vedono a colori,
è un'antropizzazione inutile e ignorante che ha volte ho sentito
dire),
Ciò
suggerisce che la visione a colori è presente da almeno 500 milioni
di anni, poichè dalla presenza in tutti questi gruppi di recezione
dei colori si può ipotizzare come essa si sia originata
nell'antenato comune di tutti i vertebrati.
Un
ultimo quesito rimane ancora irrisolto: quale pressione selettiva
avrebbe portato a sviluppare una vista a colori (per dire: non
bastava semplicemente la capacità di focalizzare le immaginj) già
nei primissimi vertebrati?
Non si
sa ancora, tuttavia si può notare come i primi vertebrati si siano
originati in acque poco basse (come abbiamo visto qui), vivendo a
stretto contatto con il fondo. In un mondo del genere, poteva anche
bastare la semplice visione dei movimenti e delle ombre, utile per
poter individuare in fretta i predatori e mettersi in salvo.
Tuttavia,
considerando che la bassa profondità spesso causa fenomini di
riflessione di luce del substrato e che questi ambienti sono
frequentemente distubrati da onde e increspature, dovevano esserci
anche allora frequenti sfarfallii e variazioni di luminosità.
In una
situazione del genere, distinguere potenziali predatori solo in base
alla luminosità o individuare altri organismi su un fondo magari
molto riflettente e con colorazione simile a quella degli altri
animali,poteva essere piuttosto difficile.
Evolvendo
la capacità di vedere i colori, che sono grossomodo indipendententi
dall'illuminazione, un organismo sarà in grado di distinguere una
preda o un predatore anche in situazioni di estremo cambiamento della
luminosità, aumentando notevolmente la sua efficienza predatoria o
le sue possibilità di sopravvivenza.
Inoltre,
questi ambienti erano molto illuminati e letteralmente cosparsi di
cianobatteri, alghe e altri animali acquatici evidentemente colorati
(la maggior parte degli invertebrati marini oggi sono molto colorati,
come ad esempio le spugne, i coralli, i molluschi). Un così ampio
spetto di luce e un mondo così colorato potrebe aver selezionato gli
animali ad evolvere recettori di colore sviluppati, così da poter
rispondere con comportamente complessi ad un altrettando complesso
ambiente.
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Bibliografia:
- Davies,
W. L., Carvalho, L. S., Tay, B. H., Brenner, S., Hunt, D. M. &
Venkatesh, B. 2009
Into the
blue: gene duplication and loss underlie color vision adaptations in
a deep-sea chimaera, the elephant shark Callorhinus milii Genome
Research 19, 415 – 426
-
Gustafsson, O. S. E., Collin, S. P. & Kroger, R. H. H. 2008
Early
evolution of multifocal eye optics for acute colour vision in
vertebrates. Journal of Experimental Biology 211 , 1559 –
1564.
- Hart,
N. S., Bailes, H. J., Vorobyev, M., Marshall, N. J. & Collin, S.
P. 2008
Visual
ecology of the Australian lungfish (Neoceratodus forsteri) BMC
Ecology 8: 21
- Lamb,
T. D., Pugh Jr, E. N. & Collin, S. P. 2008
The
origin of the vertebrate eye. Evol. Educ. Outreach 1, 415 –
426
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