A me non piacciono le categorizzazioni.
Sia nell’ambito
delle scienze naturali, come può esserlo in parte la sistematica linneana, sia nella
vita, nell’arte, nella musica, etc. Categorizzare spesso vuol dire prendere una
linea generale di riferimento, che secondo il nostro principio
descrive in maniera univoca una particolare qualità, e adattarla ad una serie
di cose che, sempre secondo la nostra linea di riferimento, apparterranno
dunque alla nostra categoria.
Benché indubbiamente la categorizzazione, lo smistamento in
comparti ben distinti e definiti, sia utile e necessaria in alcuni campi,
spesso questo modo di vedere le cose ha portato ad una percezione non
esattamente corretta, ad una generalizzazioni superficiale e troppo dettata
dalla comodità che non dalla vera essenza delle cose.
Oggi vorrei parlarvi della “categoria” che io reputo più
fuorviante in assoluto (all’interno del mondo animale) e che, da qualche tempo
a questa parte, sto cercando di abbattere nell’ideologia delle persone che
frequento.
Tale categoria ha il comunissimo nome di “pesci”.
Con questo termine vengono definiti solitamente tutti i
vertebrati dotati di branchie, pinne, idrodinamicità, buona capacità di
nuotare, scaglie, assenza di arti e varie caratteristiche, che, può o meno
giustamente, vengono considerate così particolari da poter essere attribuite a
questo gruppo leggendario.
Tralasciando la questione che oggi, nel linguaggio comune,
come ad esempio nella ristorazione, viene chiamato “pesce” anche ciò che pesce
non è, come gamberetti (che sono crostacei), cozze (che sono molluschi bivalvi)
e seppie (molluschi cephalopodi), la situazione è meno complessa di quanto sembri.
A livello evolutivo, il gruppo dei “pesci” non ha significato,
poiché esso rappresenta un raggruppamento artefatto dall’uomo e non naturale,
in quando non esiste un gruppo monofiletico che racchiuda tutto quello che oggi
noi chiamiamo pesce. O meglio, ci sarebbe, ma non è quello che viene
solitamente inteso.
Per capire meglio, prendiamo un albero filogenetico dei
vertebrati, che punti in particolare a far vedere la biodiversità dei pesci
(che, per altro, coprono almeno il 50% di tutte le specie di vertebrati
attualmente esistenti).
Come potete vedere visivamente, la situazione all’interno di
quello che è considerato “pesce”, che io ho ripassato in rosso, è molto
complicata. Non solo il gruppo in questione è parafiletico, perché “ad un certo
punto si interrompe”, per dirlo in maniera semplice, ossia non include tutti i
discendenti dell’antenato comune al gruppo (segnato con il pallino verde), ma
inoltre i vari sottogruppi al suo interno non sono così omogeneamente imparentati
tra di loro. Ad esempio, le lamprede o le missine (pesci agnati,
ossia senza mascelle, non presenti nel grafico ma considerati a tutti gli effetti pesci, tale che il nome inglese per missina è hagfish - fish=pesce -), dal punto di vista evolutivo sono estremamente lontane dai dipnoi o dai tonno o dallo storione. Oppure, gli squali e le razze, che
vengono considerati pesci al pari di salmoni, tinche o sogliole, nonostante abbiano avuto un' evoluzione completamente a se stante, pur avendo (siamo tutti
cugini!) un antenato in comune con
salmoni & Co.
I pesci dunque non esistono? No, o meglio, non come li
intendiamo noi.
Se volessimo per forza di cose instaurare un gruppo dei
pesci che rispetti ciò che oggi viene considerato tale, dovremmo inserire tutte
le specie che hanno un antenato comune con i pesci cartilaginei, con le
lamprede, con i tonni e con gli storioni. Volendo dare grado monofiletico a
Pisces, il risultato sarebbe che tutti i Vertebrati sarebbero in realtà pesci! E’ una soluzione, ma una soluzione che
comunque risulterebbe fuorviante, perché non si sarebbe fatto altro che
includere gruppi ancora più diversi tra di loro in una categoria standard.
La soluzione dunque è un’altra.
Da un punto di vista evolutivo, è sbagliato raggruppare tutti questi
animali in un unico grande gruppo (potremmo dire in una grande insalata mista) solo perchè hanno, apparentemente, caratteristiche così simili tra loro
e così diverse dagli altri vertebrati (pinne, branchie, scaglie, silhouette). Ed è anche abbastanza fuorviante perché porta a pensare ad un
evoluzione comune, ad una parentela stretta che in realtà non è così stretta.
La realtà è che tra l’origine dei vertebrati e l’origine dei
tetrapodi (che abbiamo visto qui, qui e qui), è avvenuta l’evoluzione di un
vastissimo numero di gruppi, non così simili da poterli chiamare banalmente
pesci. Di alcuni, conosciamo solo taxa fossili tale che possiamo solo immaginare come fossero in vita. Troppo poco per poterli etichettare come i soliti pesci.
I “pesci” comprendono un'immensa diversità di specie,
che hanno sviluppato una serie di variegati adattamenti nel corso della loro
lunghissima storia evolutiva, che dura da circa 530 milioni di anni, seguendo spesso percorsi imprevedibili e ben lontani gli uni dagli altri.
Quindi, per favore, non chiamateli pesci.
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