Fino a poco tempo fa si pensava che la mancanza di vertebrati acquatici di grandi dimensioni prima del Devoniano fosse correlata con le condizioni fisico-chimiche degli oceani, in particolare con la presenza di bassi livelli di ossigeno, che avrebbero costituito un forte fattore limitante per lo sviluppo dimensionale dei vertebrati.
Negli ultimi anni, complice anche la (giusta e sottovalutata) necessità di capire meglio il clima e l’atmosfera del passato, sono stati effettuati numerosi studi per risalire alla composizione atmosferica, al clima e alle condizioni abiotiche della Terra durante la sua storia evolutiva.
Alcuni modelli basati soprattutto sull’analisi di elementi chimici come il molibdeno e correlati con il record fossile (Bergman et al., 2004; Dahl and Hammerlund, 2011), indicano un aumento della concentrazione di ossigeno negli oceani intorno alla metà del Paleozoico Secondo questi modelli, prima dell’Emsiano (Devoniano inferiore, circa 400 milioni di anni fa) i livelli di ossigeno degli oceani corrispondeva a circa 10-15% dei livelli attuali, con un aumento fino ad arrivare a livelli corrispondenti al 40% di quelli attuali a circa 400 milioni di anni fa.
A questo si pensava fossero collegati i fenomeni della radiazione delle piante terrestri vascolari e l’aumento della biodiversità acquatica a vertebrati, soprattutto per quanto riguarda dimensioni e nicchie trofiche (ad esempi i grandi placodermi e osteitti del Devoniano), favoriti dall’aumento dell’ossigeno (Dahl et al., 2010)
E’ stato osservato infatti come i vertebrati marini predatori attuali siano particolarmente legati ai livelli di ossigeno per quanto riguarda le dimensioni (alto metabolismo dovuto all’attività predatorie e alle dimensioni), con le forme più grandi che consumano più ossigeno di quelle piccole, e che quindi tollerano meno l’ipossia. Inoltre, i “pesci” si dimostrano meno tolleranti riguardo alla scarsità di ossigeno rispetto agli altri animali (Gray et al., 2002)
L’idea dunque è che un basso livello di ossigeno nel Siluriano abbia limitato lo sviluppo di vertebrati di grande dimensioni.
La scoperta di Megamastax, però, ribalta lo scenario.
Negli ultimi anni, complice anche la (giusta e sottovalutata) necessità di capire meglio il clima e l’atmosfera del passato, sono stati effettuati numerosi studi per risalire alla composizione atmosferica, al clima e alle condizioni abiotiche della Terra durante la sua storia evolutiva.
Alcuni modelli basati soprattutto sull’analisi di elementi chimici come il molibdeno e correlati con il record fossile (Bergman et al., 2004; Dahl and Hammerlund, 2011), indicano un aumento della concentrazione di ossigeno negli oceani intorno alla metà del Paleozoico Secondo questi modelli, prima dell’Emsiano (Devoniano inferiore, circa 400 milioni di anni fa) i livelli di ossigeno degli oceani corrispondeva a circa 10-15% dei livelli attuali, con un aumento fino ad arrivare a livelli corrispondenti al 40% di quelli attuali a circa 400 milioni di anni fa.
A questo si pensava fossero collegati i fenomeni della radiazione delle piante terrestri vascolari e l’aumento della biodiversità acquatica a vertebrati, soprattutto per quanto riguarda dimensioni e nicchie trofiche (ad esempi i grandi placodermi e osteitti del Devoniano), favoriti dall’aumento dell’ossigeno (Dahl et al., 2010)
E’ stato osservato infatti come i vertebrati marini predatori attuali siano particolarmente legati ai livelli di ossigeno per quanto riguarda le dimensioni (alto metabolismo dovuto all’attività predatorie e alle dimensioni), con le forme più grandi che consumano più ossigeno di quelle piccole, e che quindi tollerano meno l’ipossia. Inoltre, i “pesci” si dimostrano meno tolleranti riguardo alla scarsità di ossigeno rispetto agli altri animali (Gray et al., 2002)
L’idea dunque è che un basso livello di ossigeno nel Siluriano abbia limitato lo sviluppo di vertebrati di grande dimensioni.
La scoperta di Megamastax, però, ribalta lo scenario.
Pur non avendo le dimensioni una relazione causale così stretta con i livelli di ossigeno (ci sono in gioco molti altri fattori, come la catena trofica e la temperatura, ad esempio), la scoperta di un vertebrato durofago di oltre 1 metro indica che i precedenti modelli basati anche sulla correlazione con il record fossile potrebbe essere distorti dall’incompletezza del record fossile (Choo et al, 2014)
A dar manforte a questa visione si affiancano i recenti studi sull’evoluzione delle piante terrestri e alcuni modelli paleoclimatici basati sul carbonio e sullo zolfo.
Precedentemente si pensava che le piante avessero svolto un ruolo importante per quanto riguarda l’evoluzione dell’atmosfera terrestre e della biodiversità vertebrata a partire dal Devoniano, con la definitiva radiazione delle piante vascolari, la creazione di nuovi habitat e l’impulso per la radiazione dei vertebrati sulla terraferma (Bambach, 2002).
Recentemente però si è potuto osservare (tralasciando il mito della terraferma per quanto riguarda i vertebrati, come abbiamo visto più volte sul blog) come sulla terraferma era già presente una flora molto sviluppata a partire dal Siluriano medio-superiore, con un’invasione delle terre emerse probabilmente avvenuta nell’Ordoviciano Superiore (Gibling and Davies, 2012). Questo significa che l’interazione piante-atmosfera-idrosfera era già in atto ben prima del Devoniano e dell’inizio dell’Età dei Pesci.
Inoltre, due recenti (Berner, 2006; 2009) modelli paleoclimatici basati sul carbonio e zolfo (GEOCARB) forniscono uno scenario diverso da quello mostrato dai modelli con il molibdeno, indicando un aumento della concentrazione di O2 a partire dalla fine dell’Ordoviciano, con un picco verso la fine del Siluriano inferiore e addirittura un calo nel Devoniano, con un punto più basso nel Frasniano (Devoniano superiore, circa 375 milioni di anni fa), guarda caso quando inizia l’estinzione di fine Devoniano.
La scoperta di Megamastax, dunque, oltre a portarci nuovi squisiti dettagli sull’evoluzione dei vertebrati durante il Paleozoico, ci mostra ancora una volta come per capire il passato sia necessario studiarlo in tutte le sue componenti. Il libro della storia della terra ci ha lasciato poche pagine, spesso ingiallite e incomplete. E’ importante leggerne il più possibile per cercare di arrivare a quella che era la storia originaria, soprattutto stando pronti a dover rileggere un pezzo che, fino a poche righe prima, ci sembrava ovvio.
A dar manforte a questa visione si affiancano i recenti studi sull’evoluzione delle piante terrestri e alcuni modelli paleoclimatici basati sul carbonio e sullo zolfo.
Precedentemente si pensava che le piante avessero svolto un ruolo importante per quanto riguarda l’evoluzione dell’atmosfera terrestre e della biodiversità vertebrata a partire dal Devoniano, con la definitiva radiazione delle piante vascolari, la creazione di nuovi habitat e l’impulso per la radiazione dei vertebrati sulla terraferma (Bambach, 2002).
Recentemente però si è potuto osservare (tralasciando il mito della terraferma per quanto riguarda i vertebrati, come abbiamo visto più volte sul blog) come sulla terraferma era già presente una flora molto sviluppata a partire dal Siluriano medio-superiore, con un’invasione delle terre emerse probabilmente avvenuta nell’Ordoviciano Superiore (Gibling and Davies, 2012). Questo significa che l’interazione piante-atmosfera-idrosfera era già in atto ben prima del Devoniano e dell’inizio dell’Età dei Pesci.
Inoltre, due recenti (Berner, 2006; 2009) modelli paleoclimatici basati sul carbonio e zolfo (GEOCARB) forniscono uno scenario diverso da quello mostrato dai modelli con il molibdeno, indicando un aumento della concentrazione di O2 a partire dalla fine dell’Ordoviciano, con un picco verso la fine del Siluriano inferiore e addirittura un calo nel Devoniano, con un punto più basso nel Frasniano (Devoniano superiore, circa 375 milioni di anni fa), guarda caso quando inizia l’estinzione di fine Devoniano.
La scoperta di Megamastax, dunque, oltre a portarci nuovi squisiti dettagli sull’evoluzione dei vertebrati durante il Paleozoico, ci mostra ancora una volta come per capire il passato sia necessario studiarlo in tutte le sue componenti. Il libro della storia della terra ci ha lasciato poche pagine, spesso ingiallite e incomplete. E’ importante leggerne il più possibile per cercare di arrivare a quella che era la storia originaria, soprattutto stando pronti a dover rileggere un pezzo che, fino a poche righe prima, ci sembrava ovvio.
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Bibliografia:
- Bambach R.K. 2002
Supporting predators: changes in the global ecosystem inferred from changes in predator diversity. in The Fossil Record of Predation (eds Kowalewski, M. & Kelley, P. H.) 319–352 (The Paleontological Society, New Haven).
- Bergman N.M., Lenton T.M. and Copse W.A.J. 2004
A new model of biogeochemical cycling over Phanerozoic time.
Am. J. Sci. 304: 397–437
- Berner R.A. 2006
Geocarbsulf: A combined model for Phanerozoic atmospheric O2 and CO2.
Geochim. Cosmochim. Acta 70: 5653–5664
- Berner R.A. 2009
Phanerozoic atmospheric oxygen: New results using the GEOCARBSULF model.
Am. J. Sci. 309: 603–606.
- Choo B., Zhu M., Zhao W., Jia L. and Zhu Y. 2014
The largest Silurian vertebrate and its paleoecological implications.
Scientific Reports 4: 5242
- Dahl T.W. et al. 2010
Devonian rise in atmospheric oxygen correlated to the radiations of terrestrial plants and large predatory fish.
Proc. Natl. Acad. Sci. USA 107: 17911–17915
- Dahl T.W. and Hammarlund E.U. 2011
Do large predatory fish track ocean oxygenation?
Commun. Integr. Biol. 4: 92–94
- Gray J.S., Wu R.S. and Or Y.Y. 2002
Effects of hypoxia and organic enrichment on the coastal marine environment.
Mar. Ecol. Prog. Ser. 238, 249–279
- Gibling M.R. and Davies N.S. 2012
Palaeozoic landscapes shaped by plant evolution.
Nature Geoscience 5: 99–105
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