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Lyrarapax, il cervello degli anomalocaridi e l'evoluzione degli artropodi

Nonostante siano molto conosciuti sia dal punto di vista dei resti fossili che in generale della loro anatomia e ecologia, gli anomalocaridi rimangono un gruppo ancora oscuro dal punto di vista filogenetico. I loro tratti particolari, come le appendici trasformati in pinze di diversa forma e funzione (come abbiamo visto qui), il loro apparato buccale circolare, unite ad alcune loro caratteristiche simili a quelle di altri invertebrati, come ad esempio il possesso di occhi composti da un gran numero di elementi, rende questi animali difficili da collocare sull’albero evolutivo degli invertebrati (il rischio di omoplasie, per questi taxa così “mixati”, è piuttosto alto).
Negli ultimi anni esso sono risultati a volte (Haug et al., 2013) all'interno di Euarthropoda (insetti, millepiedi, chelicerati, crostacei), in particolare vicino a Chelicerata (ragni, scorpioni, limuli); altre volte (Daley et al., 2009) sono risultati esterni ad Euarthropoda , altre volte ancora sono risultati addirittura non imparentati con gli artropodi ma rappresentanti una linea isolata di ecdisozoi preistorici (Hou and Bergstrom, 2006).
In particolare, ciò che da sempre ha reso difficile un paragone tra gli anomalocaridi e gli altri artropodi era la morfologia e la posizione delle loro appendici frontali. 
In soldoni, la domanda era: queste appendici sono omologhe a qualche appendice di altri artropodi noti, sono un carattere esclusivo degli anomalocaridi o sono il risultato di convergenza con altri artropodi? Il caso ricorda un po’ il classico esempio che si usa per parlare di analogia e omologia, evidenziando le differenze e similitudini tra pinne dei pesci, dei cetacei e l’arto dei tetrapodi.
In questo caso specifico, scoprire che le particolari appendici degli anomalocaridi sono evolutivamente omologhe a qualche tratto già esistente negli artropodi noti sarebbe cruciale per poter meglio risolvere la loro posizione filogenetica.
Lo studio della filogenesi attraverso i fossili si basa essenzialmente sulla comparazione delle strutture anatomiche. E’ chiaro quindi che piò informazioni si hanno a disposizione, più si conosce l’anatomia di un animale, più si può inquadrarlo in un contesto evolutivo.
Abbiamo visto in alcuni post (qui ad esempio), come recentemente, grazie a metodologie nuove e tecniche all’avanguardia, è possibile raccogliere informazioni anche di aspetti degli animali fossili fino a poco tempo fa inaccessibili, come i tessuti molli.
Lo studio dei tessuti molli degli anomalocaridi, in particolare del cervello e dei nervi, è l’argomento del recentissimo articolo pubblicato su Nature da Cong et al. (2014). Esso ci svela nuovi dettagli dell’anatomia interna di questi animali e soprattutto fornisce una chiara e precisa collocazione filogenetica degli anomalocaridi, grazie appunto a questi nuovi dati. 

Rcostruzione (sinistra) e foto (destra) di un esemplare (YKLP13305) di Lyrarapax. Da Cong et al., 2014

Megamastax amblyodus, un nuovo gnathostomo siluriano. Parte 3: il clima del Siluriano e lo studio multidisciplinare

Fino a poco tempo fa si pensava che la mancanza di vertebrati acquatici di grandi dimensioni prima del Devoniano fosse correlata con le condizioni fisico-chimiche degli oceani, in particolare con la presenza di bassi livelli di ossigeno, che avrebbero costituito un forte fattore limitante per lo sviluppo dimensionale dei vertebrati.
Negli ultimi anni, complice anche la (giusta e sottovalutata) necessità di capire meglio il clima e l’atmosfera del passato, sono stati effettuati numerosi studi per risalire alla composizione atmosferica, al clima e alle condizioni abiotiche della Terra durante la sua storia evolutiva.
Alcuni modelli basati soprattutto sull’analisi di elementi chimici come il molibdeno e correlati con il record fossile (Bergman et al., 2004; Dahl and Hammerlund, 2011), indicano un aumento della concentrazione di ossigeno negli oceani intorno alla metà del Paleozoico Secondo questi modelli, prima dell’Emsiano (Devoniano inferiore, circa 400 milioni di anni fa) i livelli di ossigeno degli oceani corrispondeva a circa 10-15% dei livelli attuali, con un aumento fino ad arrivare a livelli corrispondenti al 40% di quelli attuali a circa 400 milioni di anni fa.
A questo si pensava fossero collegati i fenomeni della radiazione delle piante terrestri vascolari e l’aumento della biodiversità acquatica a vertebrati, soprattutto per quanto riguarda dimensioni e nicchie trofiche (ad esempi i grandi placodermi e osteitti del Devoniano), favoriti dall’aumento dell’ossigeno (Dahl et al., 2010)
E’ stato osservato infatti come i vertebrati marini predatori attuali siano particolarmente legati ai livelli di ossigeno per quanto riguarda le dimensioni (alto metabolismo dovuto all’attività predatorie e alle dimensioni), con le forme più grandi che consumano più ossigeno di quelle piccole, e che quindi tollerano meno l’ipossia. Inoltre, i “pesci” si dimostrano meno tolleranti riguardo alla scarsità di ossigeno rispetto agli altri animali (Gray et al., 2002)
L’idea dunque è che un basso livello di ossigeno nel Siluriano abbia limitato lo sviluppo di vertebrati di grande dimensioni.
La scoperta di Megamastax, però, ribalta lo scenario.

Megamastax amblyodus, un nuovo gnathostomo siluriano. Parte 2: il più grande predatore dell'epoca

Nello scorso post vi avevo introdotto Megamastax amblyodus, un nuovo sarcopterygio del Siluriano Medio, recentemente scoperto e descritto da Choo et al. (2014). Ne avevo viste le caratteristiche morfologiche e discusso della sua possibile posizione filogenetica.
Oltre ad essere interessante per le sue peculiarità anatomiche, Megamastax è però importante poiché ci fornisce anche molte informazioni per quanto riguarda la paleocologia e la biodiversità di un periodo così poco noto come il Siluriano.
Fino ad ora, vertebrati di lunghezza superiore al metro erano conosciuti solo a partire dal Devoniano, dove troviamo anche forme di notevoli dimensioni, come i placodermi Dunkleosteus e Titanichthys (fino a 10 metri di lunghezza), il sarcopterygio Onychodus (2-4 metri di lunghezza) o il condritto Cladoselache ( 1,5 – 2 metri di lunghezza). Non per niente il Devoniano è chiamato “l’età dei pesci”.
Nel Siluriano, i più grandi vertebrati noti erano rappresentati invece da forme piuttosto piccole se comparate con quelle del Devoniano. Con una media che si aggira sui 20 centimetri, i più grandi taxa sono rappresentati dall’osteitto Guyu e dal placoderma Silurolepis, entrambi lunghi all’incirca 35 centimetri.
Le dimensioni delle mascelle di Megamastax ci consentono di ipotizzare le sue dimensioni complessive, che possono essere stimate comparando appunto le misure delle sue mascelle con quelle delle mascelle di altri sarcopterygii fossili ad esso simili.
La fusione degli elementi ossei che compongono la mascella ci dicono che i due esemplari sono entrambi di età o vicini comunque alla fase adulto, e dunque dobbiamo confrontare le proporzioni tra mascelle e resto del corpo in altri sarcopterygii adulti (durante l’ontologenesi, le proporzioni tra le varie parti del corpo può essere anche molto diversa).
Una delle due mandibole, che misura 12,9 centimetri, è completa in tutte le sue parti e consente di stimare la lunghezza complessiva dell’altra mandibola, incompleta e lunga 10,9 centimetri, che dunque doveva avere una lunghezza di circa 17,5 centimetri.
Confrontando queste lunghezze con quelle di altri osteitti del Siluriano (Guyu) e del Devoniano (Miguashaia, Gogosardinia, Strunius e Howqualepis), Choo et al. stimano una lunghezza per Megamastax compresa tra i 64 e i 90 centimetri per l’esemplare più piccolo e tra 86 e 121 centimetri per quello più grande. Ciò fa di Megamastax il più grande vertebrato siluriano, nonché il primo a superare il mezzo metro di lunghezza.

Paragone tra Guyu (alto a sinistra) e i due esemplari di Megamastax. Da Choo et al., 2014
Cosa comporta una così grande disparità dimensionale tra Megamastax e gli altri vertebrati Siluriani?