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I predatori della preistoria. Episodio 1: un'indagine fatta con...

Lo studio delle relazioni tra predatori e prede è uno degli argomenti più importanti nella biologia degli animali attuali. Ma, con le dovute precauzioni, può diventare un campo di indagine anche per quanto riguarda gli animali del passato.
Dico con le dovute attenzioni, poichè esso deve essere fatto senza speculare su aria fritta ma basandosi su fatti. 
E questi fatti sono i fossili.

Tipi di tracce usate per questo campo di ricerca sono solitamente tre, più o meno informative a seconda dei casi.
(Ovviamente sto parlando dei vertebrati. Nel mondo degli invertebrati vi sono numerosi tipi di tracce, come le incrostazioni che si ritrovano su molte conchiglie, tracce di parassiti, tracce di organismi fossori, etc.)

La prima e più ovvia traccia di interazione preda/predatore è il rinvenimento di contenuti stomacali all’interno del predatore (o del vegetariano, nel caso di relazione vegetariano/vegetale).
Un caso noto è, per esempio, il ritrovamento di scaglie di pesce e di ossicini di lepidosauro all’interno dello stomaco del nostro Scipionyx
Questi ritrovamenti ci dicono che Scipionyx ha effettivamente mangiato questi animali, dandoci un’idea concreta della dieta dell’animali.
O come non menzionare i numeri esemplari di Xiphactinus rinvenuti con all'interno del corpo i resti delle loro prede.
In teoria questo primo tipo di traccia fossile fornisce dati diretti di interazione preda/predatore, tuttavia questi fossili sono molto, molto rari.
Inoltre, attenzione a prendere questi ritrovamenti come dogmatici: non sempre è chiaro se il contenuto stomacale all’interno del fossile è tale o rappresenta il risultato di sovrapposizione di diversi animali a causa di processi tafonomici.

L'ultima cena! Il famosissimo Xiphactinus di Sternberg, rinvenuto con all'interno dello scheletro un altro grande pesce. Immagine da Wikipedia

Coming soon: i predatori della preistoria

Negli ultimi tempi ho avuto la fortuna di poter collaborare con alcune scuole per fare dei laboratori sui fossili ai bambini delle classi terze elementari ed è sempre un'esperienza piacevole. Ai bambini piace vedere i fossili, toccarli, capire come lavora chi li studia, capire che si tratta di resti di antichissimi animali che ce l'hanno fatta, contro mille imprevisti, a giungere fino a noi sotto forma di roccia.
Tuttavia, alla piacevolezza della curiositas giovanile, spesso si sovrappone un senso di amarezza quando sento le risposte "ma io l'ho visto in un documentario", oppure "sul mio libro c'è scritto così".

In un epoca in cui spopolano film, documentari, libri, cartoni animati, scene dipinte e mostre, spesso diventa difficile carpire il limite tra scienza e immaginazione, tra fantastico e reale, tra ipotesi basati su dati e speculazioni.
E ciò colpisce non solo i più piccoli, ma anche gli adulti.
Casi "scottanti" in cui mi sono imbattuto ultimamente hanno riguardato le dimensioni di alcuni animali e le interazioni (spesso conclamate per simpatia o ossessione verso l'uno o l'altro animale) tra preda/predatore.
 Sembra che certi argomenti siano diventati appannaggio di tutti; tutti possono dire la loro e ipotizzare/speculare le più improbabili situazione anche senza la benchè minima conoscenza dell'argomento.

Eppure, anche se molti non se ne accorgono (o non vogliono), anche su questi argomenti si può fare scienza. Si deve fare scienza, con criterio, partendo dai dati e analizzandoli secondo metodi rigorosi e non in base alle proprie opinioni.

In questa mini serie, vedremo alcuni esempi di come, attraverso lo studio di particolari esemplari o tracce fossili, è stato possibile fare ipotesi su plausibili interazioni tra prede e predatori nel passato.

Presto, su Paleostories!

C'era una volta in Italia: nenia silurica

C'è un qualcosa di misterioso nel Siluriano.
Questo periodo, infilato tra un grande evento di estinzione di massa e uno dei più floridi periodi del Paleozoico (il Devoniano), viene sistematicamente snobbato dalla divulgazione scientifica popolare, come se nel Siluriano non fosse successo niente..
E' vero, guardando a livello globale gli affioramenti siluriani non sono così comuni come quelli di altri periodi, soprattutto per quanto riguarda alcuni ambienti (ad esempio i depositi marginali costieri o estuarini), anche se abbiamo zone in cui esso affiora con grande estensione (ad esempio in Gran Bretagna). 
Se poi consideriamo che il Siluriano è durato solo 20 milioni di anni circa (fino al Cenozoico, nessun periodo dura così poco), la faccenda si fa molto triste.
Eppure nel Siluriano sono successe tante cose, le prime piante terrestri hanno cominciato timidamente ad espandersi, gli artropodi hanno colonizzato la terraferma, vari gruppi di vertebrati hanno subito un momento di radiazione significativo.
Ma tutto questo sembra non bastare per far avere al Siluriano lo spazio che si merita nella letteratura popolare...

Disegno di una possibile scena di vita in un mare del siluriano. Da http://www.karencarr.com
Questa premessa/lamento introduce il tema del post di oggi, che, riprendendo la serie iniziata tre post fa, introduce alcuni dei più importanti siti paleontologici italiani.
Esatto, sto dicendo che, nonostante tutto, anche in Italia abbiamo un pò (giusto un pò) di Siluriano.

Euphanerops e le mille strade dell'evoluzione

Tempo fa avevo scritto una serie di post sull'evoluzione dei cyclostomi, sui taxa fossili attualmente noti, sulle loro caratteristiche più peculiari.
Nell'ultimo post, avevo presentato Euphanerops e Jamoytius, due curiosi gnathostomi stelo, a metà strada (morfologicamente parlando) tra lamprede e anaspidi.
Per chi di voi non si ricordi, invito a rileggere almeno questo post.

L’evoluzione dei vertebrati con mascelle dai loro antenati senza mascelle rappresenta uno dei momenti più importante della storia evolutiva dei vertebrati.  Durante questo episodio, sono avvenuti numerosi episodi di cambiamento genetico, morfologico e dello sviluppo.
Oggi, i vertebrati senza mascelle, rappresentati solo da missine e lamprede, sono in numero assai minore rispetto ai vertebrati con mascelle (“pesci” e tetrapodi). Inoltre, essi sembrano veramente distanti a livello morfologico.
Capire come sono stati acquisti i tratti chiavi dei vertebrati attuali è possibile solo guardando il record fossile, che può colmare il gap creato dalla distanza morfologica dei gruppi di vertebrati rimasti al giorno d’oggi.
Un nuovo capitolo di questa emozionante avventura è stato aggiunto oggi grazie alla ridescrizione di Euphanerops, un vertebrato basale del Devoniano del Canada, filogeneticamente posto molto vicino al punto di separazione tra cyclostomi e gnathostomi.


Esemplare fossile di Euphanerops

Tetrapodomorphi in carne e ossa

Se vi doveste trovare a Milano il 17 aprile, quale migliore occasione per sentire una grande paleontologa come Jennifer Clack (a cui è dedicato un animale di cui ho parlato qui) esporre i suoi ultimi lavori sui tetrapodomorphi e l'origine del movimento in ambiente terrestre? Imperdibile.
La trovate alle 10.30 nell'aula BS del dipartimento di biologia dell'Università degli Studi di Milano.

Ah, quello che introduce sono io..ma potete benissimo venire 10 minuti più tardi che tanto non vi perdete niente.

Nel pomeriggio, altri due interessantissimi interventi, uno del prof. Andrea Tintori sull'origine dei rettili marini, l'altra sempre della professoressa Clack riguardante l'estinzione di fine Devoniano,il "Romer Gap", ossia quell'arco di tempo (circa 15 milioni di anni) dopo l'estinzione al limite Devoniano/Carbonifero in cui si trovano pochissimi fossili di vertebrati terrestri, e la ripresa dopo tale crisi.

Ripeto: imperdibile!


Se avete voglia, magari per prepararsi un pochino potete rileggere la mini serie legata ai tetrapodi basali, qui, qui e qui (e volendo anche qui).

Occhio alle spine: A tu per tu con gli acanthodi (Parte ultima)

Questo post chiude la serie sugli acanthodi che ho iniziato diversi post fa. Inizialmente abbiamo visto i caratteri anatomici generali degli acanthodi e poi ci siamo addentrati nei diversi gruppi, da Climatiiformes ad Acanthodiformes, passando per Ischnacanthiformes. Di ogni gruppo abbiamo visto le caratteristiche morfologiche principali, l'estensione temporale e geografica, le possibili ipotesi ecologiche.
Ho voluto passare in rassegna i vari gruppi di acanthodi per prepararci meglio a questo post.
Mi è capitato recentemente di partecipare ad un incontro sul tema dell'evolzione, in cui si è parlato molto di amminoacidi, geni, codificazioni, e (ahimè) poco dei fossili e della storia della vita.
E invece i fossili sono importanti, soprattutto se parliamo di evoluzione.
Quando guardiamo un gruppo di organismi, oltre che soffermarci sulle sue caratteristiche anatomiche, è importante inquadrarlo in un contesto evolutivo, giacchè le strutture anatomiche che noi analizziamo sono il frutto di adattamenti, modifiche, retaggi, dipendenti dal fattore tempo.
Senza i fossili non potremmo considerare l'evoluzione morfologica nel tempo, la nostra conoscienza della biodiversità e della "biodiversificazione" sarebbe alquanto limitata.
Dunque, è assolutamente fondamentale integrare la nostra conoscienza della vita del passato.
Senza fossili, non avremmo alcuna idea dell'evolzuione dei caratteri, di come gli animali si sono modificati nel tempo, di come siamo giunti alle forme di oggi dalle forme di ieri.
Tuttavia, per comprendere al meglio l'evoluzione di un gruppo di viventi, è necessario conoscerli in dettaglio. Ed è per questo motivo che ho voluto prima fare tre post "anatomici" e poi concludere con la filogenesi.